Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
India e Pakistan: ombre nucleari Analisi di Maurizio Molinari
Testata: La Repubblica Data: 08 maggio 2025 Pagina: 1 Autore: Maurizio Molinari Titolo: «India-Pakistan, ombre nucleari»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 08/05/2025, a pag. 1, con il titolo "India-Pakistan, ombre nucleari", il commento di Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
Attentato islamico nel Kashmir indiano, l'India risponde con raid aerei sul Pakistan. Il nuovo conflitto India-Pakistan riguarda tutto il mondo, perché sono entrambe potenze nucleari.
Il duello militare India-Pakistan sul Kashmir risveglia il conflitto regionale più pericoloso del Pianeta, evidenzia il rischio geopolitico di scontri armati fra potenze regionali e alza il velo su un focolaio di guerra nello scacchiere sud-asiatico con implicazioni per la sicurezza globale.
Il conflitto fra New Delhi e Islamabad è il più pericoloso perché coinvolge due potenze nucleari acerrime rivali sin da quando i musulmani di Mohammed Ali Jinnah nel 1947 si staccarono dall’India di Jawaharlal Nehru sfruttando l’indipendenza dall’Impero britannico per creare il Pakistan con una gigantesca migrazione umana. Fra i numerosi contenziosi che le dividono il più esplosivo è la disputa sul confine del Kashmir fonte di fibrillazioni costanti e anche di scontri militari. L’ultima volta che l’India aveva colpito oltre frontiera risaliva al 1971 e se ora il presidente Narendra Modi ha ordinato all’aviazione di lanciare i raid dell’Operazione Sindoor è perché il 22 aprile un gruppo terroristico pakistano ha varcato la frontiera uccidendo a sangue freddo nella valle di Pahalgam 26 turisti — quasi tutti indiani — nel più grave attacco contro i civili dal feroce assalto agli hotel di Mumbai del novembre 2008.
In quell’occasione a insanguinare la città fu un commando di Lashkar-e-Taiba, un gruppo jihadista portatore della stessa ideologia di Al Qaeda, e in quest’ultima occasione a firmare la strage è stato il Fronte della Resistenza considerato da New Delhi proprio un discendente diretto dei kamikaze di Mumbai. Per Modi si tratta dunque di difendere l’India dal ritorno dei jihadisti, già evidenziato da attacchi avvenuti nel 2016 e 2019, e il suo governo accusa senza mezzi termini il premier di Islamabad, Shehbaz Sharif, di coprirli e proteggerli con una «dichiarazione di guerra» a cui risponde non solo con i blitz aerei, che hanno fatto nelle ultime 48 ore almeno 31 vittime, ma anche con la sospensione del Trattato sulle acque dell’Indo, firmato fra i due Paesi nel 1960 sotto gli auspici della Banca mondiale, che comporta bloccare il corso di almeno tre grandi fiumi “verso Occidente”. Le immagini della diga sul fiume Chenab che interrompe il flusso delle acque significano per Islamabad un danno economico e umano di dimensioni tali da farlo considerare, a sua volta, una «dichiarazione di guerra». Da qui la minaccia di Sharif sul rischio estremo di un «conflitto nucleare».
Ci troviamo dunque davanti a una sfida militare fra due potenze con armi di distruzione di massa che somma dispute territoriali, rivalità ataviche, ostilità religiose e la contesa su acque strategiche da parte di governi che esaltano entrambi il nazionalismo. Se a ciòaggiungiamo la sospensione reciproca dei visti, che evoca la separazione delle popolazioni nel 1947 con esodi paralleli in direzioni opposte, non è difficile arrivare alla conclusione che il mondo sta tremando davanti al rischio di un’escalation fra nazioni atomiche.
Ma non è tutto perché se osserviamo le reazioni delle tre maggiori potenze militari ci accorgiamo che, con linguaggi e iniziative differenti, Washington, Mosca e Pechino sono accomunate dal tentativo di frenare l’escalation. E poiché nessuna di loro è finora riuscita nell’intento ciò evidenzia come nella geopolitica a soqquadro del nostro tempo potenze regionali dotate di armamenti significativi — quali sono India e Pakistan — sentono di avere l’autonomia necessaria per continuare i propri duelli senza curarsi troppo delle relazioni internazionali. Non c’è dubbio sul fatto che Islamabad deve il proprio arsenale nucleare a Pechino come è vero che New Delhi vuole ammodernare il proprio grazie a intese privilegiate con Washington ma ciò non rende nessuno dei contendenti sensibili in maniera decisiva a pressioni esterne.
La loro scelta di tenere in sospeso l’escalation in Kashmir senza però compiere passi indietro dimostra la volontà e capacità di essere indipendenti da tutto e tutti. In maniera talmente evidente da evocare la Turchia di Recep Tayyip Erdogan protagonista, dall’invasione di Cipro Nord nel 1974 all’insediamento in Tripolitania fino al neo-protettorato su Damasco, di una proiezione neo-ottomana a dispetto di ogni legame con la Nato o accordo con Mosca. Per non parlare del duello militare ed esistenziale fra Iran e Israele in Medio Oriente che tiene banco dal 1979 senza esclusione di colpi ed è arrivato a superare nel 2024 la soglia del maggiore conflitto aereo-missilistico mai combattuto.
Se Usa, Cina e Russia non riescono a prevenire, arginare o gestire in maniera decisiva i conflitti regionali fra medie potenze significa che una nuova tipologia di rischi alla sicurezza si affaccia sullo scenario internazionale. Con la quale anche l’Europa deve fare i conti perché lo spazio strategico dell’Indo-Pacifico è vitale anche per sicurezza e prosperità dei nostri Paesi.
Ad avvalorare questo scenario c’è quanto sta avvenendo attorno al duello militare India-Pakistan perché proprio Ankara si è affrettata a «sostenere Islamabad», inviando anche una nave militare nelle acque dell’alleato, come Gerusalemme ha fatto in favore «dell’autodifesa dell’India» dalla «minaccia del terrorismo islamico». Creando una continuità nell’Asia del Sud della rivalità che tiene banco nella Siria del dopo-Assad fra chi, come la Turchia, professa ovunque la solidarietà pan-islamica e chi, come Israele, ritiene si tratti di una minaccia alla sicurezza collettiva. Ecco perché quanto avviene nelle valli contese del Kashmir riguarda anche noi.
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