Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
L’equivoco anti-israeliano sull'occupazione. Il piano per la resa di Hamas e liberare gli ostaggi Commento di Fiamma Nirenstein
Testata: Il Giornale Data: 06 maggio 2025 Pagina: 13 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «L’equivoco anti-israeliano sull'occupazione. Il piano per la resa di Hamas e liberare gli ostaggi»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 06/05/2025 a pag. 13 il commento di Fiamma Nirenstein dal titolo: "L’equivoco anti-israeliano sull'occupazione. Il piano per la resa di Hamas e liberare gli ostaggi".
Fiamma Nirenstein
L'IDF prosegue le operazioni a Gaza e mobilita. E scatena l'isteria anti-israeliana: vorranno l'occupazione del territorio di Gaza? Si tratta di una guerra anti-terrorismo e visto che la precedente strategia (mordi-e-fuggi) non ha funzionato, ora l'esercito presidierà il territorio fino alla sconfitta di Hamas. E' guerra anti-terrorismo, appunto, non è colonialismo.
Territori, territorio... E' la parola magica dell’odio antisraeliano, quella che si coniuga con “occupazione” e anche con “colonialismo”. L’opinione pubblica internazionale al solito attacca invece di cercare di capire cosa sta succedendo a Gaza: ieri il Gabinetto di sicurezza ha approvato il piano che espande l’operazione dell’Idf a Gaza e prevede che dove l’Esercito arriva là resterà, secondo il vecchio dettato strategico per cui la conquista deve essere tenuta per vincere qualsiasi guerra invece di proseguire negli avanti e indietro che hanno caratterizzato 19 lunghissimi mesi di guerra. Il motivo per cui Israele terrà in mano spazi territoriali a Gaza è semplice, anche se enormemente estraneo a chi non è abituato a affrontare giorno dopo giorno il rischio di attacchi terroristici e missili.
La svolta definita dal Governo e dall’Esercito minaccia Hamas di perdere territorio, ciò che non ha mai fatto prima, e vuole tre risultati fondamentali: ottenere una resa di Hamas stretto in spazi ristretti, diviso dalla sua popolazione-scudo umano, che ha sempre sfruttato col più bieco cinismo per nascondere i suoi uomini e le sue armi. Israele infatti sposterà a sud in zone umanitarie, rifornite di cibo e generi primari, una parte consistente della gente di Gaza, e l’assedio intanto dovrebbe portare Hamas alla restituzione dei rapiti. La convinzione del Governo è che lo spazio per ottenere la restituzioni almeno di alcuni rapiti in cambio di una tregua dopo la quale si torna a combattere (era l’ipotesi Witkoff, l’inviato di Trump), si creerà solo con una forte pressione bellica, proprio come quella che portò all’inizio alla liberazione di decine di ostaggi. Dopo Hamas, non più costretto, ha seguitato a cercare di imporre una lunga, forse definitiva sosta per restare al potere. Israele non può accettare, vuole indietro gli ostaggi e la neutralizzazione di Hamas, quindi prova una nuova carta e cerca anche di risolvere il problema degli aiuti umanitari, cambiandoli completamente.
Lo Stato Ebraico ha fornito fino a marzo 600 camion di cibo al giorno (quantità molto maggiori al fabbisogno, conservate fino ad oggi) e poi ha fermato le derrate che finivano tutte in mano a Hamas o a bande violente. Adesso, mentre avvia la nuova campagna, Israele sta portando a termine con gli americani una strategia affidata a organizzazioni private o internazionali che consegni quantitativi minori, non per essere accumulate ma utilizzate. Non è facile tornare a Gaza mentre soldati ventenni seguitano a cadere. Ma l’indispensabile operazione è molto calibrata, non parte a tutta velocità, il suo sguardo attento è puntato sul viaggio di Trump in Medio Oriente: su Gaza il Presidente americano ha espresso mille opinioni. “Se non restituiscono i rapiti l’inferno si aprirà su Hamas”, poi il piano di ricostruzione, l’idea di gestire in proprio la Striscia, e poi anche “non si sta bene a Gaza, bisogna aiutare”. Dunque, dopo l’incontro coi sauditi, dove sarà per Trump Gaza nel disegno mediorentale? Come vede, in questo quadro, la promessa a Israele che l’Iran non possa mai completare la bomba atomica, mentre vanno avanti le trattative USA-Iran? Alla fine della visita, Israele capirà quanto i piani si intrecciano, e quanto invece deve contare solo su sé stesso. Intanto ieri inaspettatamente Trump ha invitato Erdogan, arcinemico di Israele e capo dei Fratelli Musulmani di cui Hamas fa parte, alla Casa Bianca. Il puzzle non è completo. Anche se Trump seguita a bombardare i Houty e in Iran si sentono molte esplosioni, di fatto Israele si mette in posizione per affrontare ogni evenienza. Hamas è comunque il nemico da battere adesso per la sua guerra di sopravvivenza, vicino e lontano.
Per inviare la propria opinione al Giornale, telefonare: 02/85661, oppure cliccare sulla e-mail sottostante