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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio Rassegna Stampa
05.05.2025 C’è una destra che riesce a resistere a Trump
Editoriale del direttore Claudio Cerasa

Testata: Il Foglio
Data: 05 maggio 2025
Pagina: 1/4
Autore: Claudio Cerasa
Titolo: «Resistere a Trump è possibile. E c’è pure una destra che ci riesce»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 05/05/2025, a pag. 1/4, con il titolo "Resistere a Trump è possibile. E c’è pure una destra che ci riesce", l'editoriale del direttore Claudio Cerasa.

ClaudioCerasa
Claudio Cerasa
Trump 2.0: This Time the Stakes for ...
Un leader che incarna buona parte di ciò che le destre combattono è diventato il punto di riferimento delle destre mondiali. Per chi non si rassegna al paradosso c’è qualche elemento di conforto e di speranza, in America e in Europa

Se vi sentite di destra o quanto meno non di sinistra e vi sentite a disagio o quanto meno in imbarazzo ogni volta che osservate Trump, ogni volta che lo sentite parlare, ogni volta che lo sentite ragionare, ogni volta che gli sentite dire qualcosa che riguarda il futuro della globalizzazione, il futuro dell’Ucraina, il futuro dell’Europa, il futuro del mondo libero, sappiate che non siete soli, sappiate che c’è qualcuno con la testa sulle spalle che su questi temi la pensa come voi, soffre come voi, si agita come voi e si straccia le vesti come voi in tutte le occasioni in cui il presidente degli Stati Uniti d’America dà un bacetto al protezionismo, dà un abbraccio a tutti i nemici della così detta società aperta, dà una carezza a Putin, ritrovandosi insieme a Cuba, Nicaragua, Venezuela, Siria, Afghanistan e Corea Del Nord tra i pochi sfortunati paesi pronti a riconoscere ufficialmente l’annessione illegale della Crimea alla Russia. Se siete di destra o quanto meno non di sinistra e cercate conforto, di fronte allo tsunami trumpiano, ecco qualche consiglio per sopravvivere in questa fase complicata.

Il primo elemento di conforto è la straordinaria prova di forza dei giornali della famiglia di Rupert Murdoch, dal Wall Street Journal al Times di Londra passando per l’Australian, che da mesi, nonostante la vicinanza con il mondo dei repubblicani, battono sul tamburo la marcia dell’anti trumpismo su due temi: la sfida alla globalizzazione, il cedimento al putinismo. Una vera destra, dicono da giorni le testate del gruppo Murdoch, non può arretrare sulla difesa del mercato, non può arretrare sulla difesa della democrazia, non può arretrare sulla difesa della società aperta e se sceglie di farlo tradisce non solo ciò che rappresenta il sogno americano ma anche ciò che rappresenta il sano pensiero repubblicano. Un secondo elemento di conforto arriva da tutta una serie di piccoli segnali disseminati sul terreno di gioco del mondo repubblicano, e qualcuno che si sta accorgendo della pericolosità di Trump c’è. C’è il caso formidabile di Bill Ackman, miliardario e finanziatore repubblicano, che ha criticato le politiche tariffarie di Trump, sostenendo che, a causa dei dazi, “gli investimenti aziendali si fermeranno e i consumatori chiuderanno i portafogli”, ed evidenziando come i rischi economici delle misure protezionistiche siano decisamente troppo alti. C’è il caso di Ken Langone, cofondatore di Home Depot e megadonatore Gop, che ha espresso forte disapprovazione per i dazi di Trump. C’è il caso di Ted Cruz, senatore repubblicano del Texas, che ha lanciato un appello contro le politiche tariffarie del presidente, che potrebbero portare a una “sanguinosa sconfitta” per i repubblicani nelle elezioni di medio termine del 2026, sottolineando i potenziali danni economici e occupazionali del protezionismo trumpiano. C’è il caso del senatore Mitch McConnell, repubblicano del Kentucky, che ha rotto con il suo partito per opporsi ai dazi imposti da Trump al Canada, votando contro la risoluzione che giustificava l’emergenza nazionale utilizzata per legittimare quei dazi. C’è il caso di Mike Johnson, speaker della Camera, repubblicano, che un più di una occasione ha espresso scetticismo profondo riguardo all’inclusione di un aumento delle tasse per i più ricchi nel piano fiscale repubblicano, sottolineando la tradizionale opposizione del partito agli aumenti fiscali. C’è il caso di Elon Musk, poi, persino Elon Musk, che non appena si è reso conto degli effetti deleteri della lotta contro la globalizzazione sulla propria pelle, ha iniziato a dare segni di assennatezza, arrivando a criticare pubblicamente le politiche tariffarie di Trump, definendo il principale sostenitore dei dazi, Peter Navarro, “veramente un idiota” e “più stupido di un sacco di mattoni”. C’è poi il caso del senatore John Thune, repubblicano del South Dakota, che come altri colleghi ha espresso una forma di opposizione ai dazi di Trump, sottolineando che potrebbero danneggiare l’economia e l’occupazione negli Stati Uniti. C’è il caso di Ron Paul, repubblicano, ex candidato presidenziale, che ha definito le politiche restrittive sul rilascio di alcuni certificati amministrativi, Real ID, una delle più grandi minacce alle libertà civili degli americani degli ultimi decenni. C’è poi il caso del megadonatore repubblicano Ken Griffin che sui danni causati dalla guerra commerciale di Trump ha utilizzato delle parole semplici e disarmanti, nella loro linearità: “Gli Stati Uniti sono più di una semplice nazione. Sono un marchio… lo stiamo erodendo proprio ora… quando si rovina quel marchio, può volerci una vita per riparare il danno fatto”. Se vi sentite di destra, o quanto meno non di sinistra, e non vi sentite trumpiani, pur sentendovi conservatori e anche repubblicani, ci sono molti elementi che potete trovare per confortarvi. Potete spulciare il Times o il Wsj, potete passare le ore a divertirvi scrollando uno degli account su X più di aiuto in questi giorni, @RpsAgainstTrump, potete anche cercare nella politica italiana qualche elemento utile a sentirvi conservatori senza sentirvi trumpiani, e in tal caso potete cercare ogni tanto qualche posizione non trumpiana di Giorgia Meloni, tra le righe, qualche uscita antitrumpiana di Antonio Tajani, nei fatti, qualche dichiarazione più netta di Marina Berlusconi, sui giornali, anzi su un giornale. Ma se volete provare a non accontentarvi, se volete cercare qualche elemento di conforto ulteriore, se volete cercare qualche leader, magari in Europa, che possa avere la forza giusta per mettere in campo un’idea di destra non antieuropeista, non filoputiniana, non antimercatista, non nemica della globalizzazione, ci sono due paesi dove provare a sbattere la testa. Potete farvi un’escursione politica, per esempio, nell’unica destra pro mercato al governo in Europa, quella greca, quella guidata da Kyriakos Mitsotakis. E potete farvi un giro, a brevissimo, nella Germania di Friedrich Merz, prossimo cancelliere tedesco, unico esempio, come abbiamo già avuto modo di dire su questo giornale, di una destra contemporaneamente a favore della globalizzazione, a favore del sovranismo europeista, contro gli estremismi, contro la Decima Musk, contro il trumpismo, contro il putinismo, contro il cialtrosovranismo. C’è stato un tempo in cui l’attuale segretario di stato dell’Amministrazione Trump, Marco Rubio, quando lottava come un ossesso contro il trumpismo, nel 2016, si lasciò sfuggire questa frase: “Per anni a venire, ci saranno molte persone di destra, nei media e tra gli elettori in generale, che dovranno spiegare e giustificare come sono caduti nella trappola di sostenere Donald Trump”. Rubio aveva ragione. Perché oggi il trumpismo non è solo un guaio per il mondo libero, non è solo un guaio per l’America, non è solo un guaio per tutte le destre mondiali che si appiattiscono sul trumpismo e che per questo vengono travolte (vedi i risultati delle elezioni in Australia e in Canada, dove per le destre, come notato da Matteo Renzi, l’abbraccio di Trump si è trasformato in un bacio della morte). Ma è un gaio per tutti coloro che si sentono di destra, o quanto meno non si sentono di sinistra, e non si rassegnano al fatto che un leader che incarna buona parte di ciò che le destre combattono, quando ragionano di diritti, di mercato, di occidente, di libertà, sia diventato il punto di riferimento delle destre mondiali. Resistere si può. Basta sapere aprire gli occhi e capire non solo cosa si deve avere il coraggio di combattere ma anche cosa si deve avere la sfrontatezza di difendere.

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