Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 05/05/2025, a pag. 9, con il titolo "Gli Huthi colpiscono l’aeroporto Ben Gurion. Israele: «L’Iran pagherà»", la cronaca di Amedeo Ardenza.
Missile dallo Yemen colpisce l'aeroporto Ben Gurion, iniziano le indagini per comprendere cosa, realmente, abbia colpito l'aeroporto e perché non sia stato intercettato dallo scudo anti-missile in 2500 km di tragitto. Sia Netanyahu che Trump sono comunque convinti che la responsabilità dell'attacco sia dell'Iran che detta le regole agli Houthi e fornisce loro i missili.
Qualcosa non ha funzionato. Così, un missile lanciato dal territorio dello Yemen dagli Huthi è caduto in territorio israeliano nei pressi dell’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv. Un tragitto di oltre 2.500 chilometri che ha permesso a un proiettile balistico esploso dai ribelli yemeniti di attraversare indenne le acque internazionali dove incrociano due portaerei statunitensi, il territorio dell’Arabia Saudita, che degli Huthi è un nemico ufficiale, di violare lo spazio aereo israeliano e ancora di cadere vicino al principale scalo aeroportuale che collega lo Stato ebraico al resto del mondo.
Con il risultato che le principali compagnie aeree globali, i loro voli per Israele chi per alcune ore, come Swiss Air e Ita Airways e chi, come Air India, Air France e Lufthansa, per due o tre giorni, probabilmente in attesa di capire l’evoluzione del quadro geopolitico nella regione. Comunque sia, Israele ha incassato un colpo: se nelle ultime settimane i missili esplosi dagli Huthi sono stati distrutti prima ancora che entrassero sopra i cieli israeliani, ieri lo scudo missilistico del paese ha fallito. E nonostante gli allarmi siano risuonati in tutto il centro del paese, l’impatto del missile su una strada vicina all’aeroporto ha provocato il ferimento di sei persone che sono state ricoverate in ospedale. Secondo il corrispondente militare di Channel 14, Hillel Bitton Rosen, sia il sistema Thaad (Difesa d’area terminale ad alta quota) di fabbricazione statunitense sia il sistema israeliano Arrow hanno tentato di intercettare il missile senza riuscirvi e le autorità stanno indagando se l’esplosione nei pressi del Terminal 3 di Ben Gurion sia stata causata dal missile, da suoi frammenti o dai proiettili intercettori.
In tema di protezione antimissile proprio ieri il New York Times ha annunciato lo spostamento da parte degli Usa di una batteria di missili Patriot – per intercettare missili a corto raggio – da Israele all’Ucraina. E ieri il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che dal suo insediamento ha dichiarato guerra gli Huthi, è stato tra i primi a commentare l’aggressione contro Israele. «Non facciamo prenderci in giro», ha scritto, «le centinaia di attacchi degli Huthi, criminali odiati dal popolo yemenita, promanano tutte dall’Iran». Sono gli iraniani, ha proseguito il commander in chief, «a dettare ogni mossa, a fornire ogni arma agli Huthi. L’Iran è il responsabile, ne pagherà le conseguenze e le conseguenze saranno pesanti!». Poco dopo si è fatto sentire il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. «Il presidente Trump ha perfettamente ragione: gli attacchi degli Huthi hanno origine in Iran. Israele risponderà agli attacchi contro il nostro aeroporto e – nel momento e nel luogo che riterremo opportuni – risponderemo anche agli iraniani». Ieri il gabinetto di sicurezza convocato dal capo del governo ha stabilito che ogni risposta «sarà coordinata con gli Usa».
Gli iraniani dal canto loro sono da giorni alle prese con gravi incendi ed esplosioni: il 26 aprile 57 persone sono rimaste uccise e oltre 800 ferite a causa di una devastante deflagrazione nel porto di Shahid Rajaee nel sud del paese, uno degli scali marittimi-chiave della Repubblica islamica. Ieri le autorità hanno condotto due arresti in relazione all’esplosione. Sabato, Iran International ha riferito di un grave incendio in una fabbrica di cartone a Karaj, vicino a Teheran. E ancora, ieri mattina il canale televisivo dell’opposizione Iran International batteva la notizia prima di un’esplosione in un impianto di materie prime petrolchimiche in una zona industriale di Qom, nel centro del paese, con un bilancio di cinque feriti. Poche ore dopo Iran International riferiva anche di una potente detonazione in una fabbrica di motociclette a Mashhad, nel nord dell’Iran. Mashad e Qom sono considerate due città sante dell’Islam sciita, il cui clero è il padrone dell’ex Persia.
Mentre guarda agli Huthi e all’Iran, Israele continua a combattere contro Hamas a Gaza mantenendo tuttavia un canale aperto per trovare un accordo negoziato con il gruppo terrorista gazawi, anch’esso sostenuto da Teheran. Le condizioni poste del governo di Netanyahu sono che Hamas restituisca tutti i 59 ostaggi che detiene ancora dal 7 ottobre 2023 e che disarmi. A colloquio ieri con il presidente di Cipro, Nikos Christodoulides, Netanyahu ha chiesto a tutti i paesi «di esercitare pressioni non solo su Hamas, ma anche sul Qatar, che ha un’influenza significativa su Hamas, un’influenza che non viene sempre utilizzata».
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