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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale Rassegna Stampa
05.05.2025 Israele, missile Houthi, risponderemo all’Iran
Commento di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 05 maggio 2025
Pagina: 16
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Razzo su Tel Aviv, Netanyahu pronto ad attaccare l'Iran»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 05/05/2025 a pag. 16 il commento di Fiamma Nirenstein dal titolo: "Razzo su Tel Aviv, Netanyahu pronto ad attaccare l'Iran".


Fiamma Nirenstein

Missili sull'aeroporto internazionale Ben Gurion. Gli Houthi passano un'altra linea rossa, usando un missile a lungo raggio, evidentemente fornito dall'Iran (non possono certo fabbricarselo da soli), per bucare le difese israeliane. Per Netanyahu la responsabilità è dunque dell'Iran e la risposta sarà sul regime di Teheran.

Quattro missili nel weekend avevano spedito tre milioni di persone (compreso chi scrive e famiglia) nei bunker, 27 missili piovuti in due mesi. Poi finalmente ieri agli Houthi è riuscito il colpo grosso: il residuo dei proxy iraniani, lontano 2mila chilometri, ha colpito il grande aeroporto internazionale, unica via di uscita aerea di Israele, snodo strategico fondamentale. Chi aspettava di imbarcarsi, accalcatosi nei rifugi, ha sentito il botto clamoroso. Il missile ha scavato un cratere inusitato vicino alle piste di atterraggio. Il traffico ha subito ore e ore di ritardo e cancellazioni che chiudono. È stato un miracolo che sia finita con otto feriti, colpiti da schegge volanti; altri in stato di choc sono stati curati. Parecchie compagnie aeree di nuovo hanno annunciato sospensioni più o meno lunghe dei voli. Israele ne vive: è un piccolo Paese occidentale nel mare magno di una grande area islamica, in parte ostile.

Gli occhi puntati su prossimi sviluppi sottendono sempre la stessa domanda mediorientale: sei ancora forte o finalmente indebolito dagli eventi? L’immediata riunione di gabinetto ha dato la risposta aspettata, gli Houthi hanno esagerato, Israele ha intenzione di non lasciare il contenimento del loro fanatismo che lo condanna a morte a fianco dell’Iran nelle mani di Trump: «Israele risponderà in un momento e luogo a nostra scelta, anche ai loro padroni del terrore iraniani» ha detto il Premier Netanyahu. Non è semplice, la richiesta americana di lasciar stare è nota, come quella di non anticipare mosse che possano infastidire una trattativa con l’Iran in stallo ma non conclusa. Israele non può muoversi secondo i suoi immediati interessi: deve tenerli tutti presenti, compreso il fatto che ci sono nel Governo americano anche voci contrarie a considerare un problema fondamentale l’intenzione distruttrice dell’Iran: sia Jd Vance sia Steve Witkoff che, si dice, Donald jr, il figlio di Trump, considerano eccessivo il legame con Israele a fronte dei programmi da Premio Nobel per la Pace del Presidente americano, e con loro si schiera un gruppetto di iperconservatori che non amano gli ebrei, come Tucker Carlson, commentatore tv che ce l’ha fitta con Israele ma frequenta Mar-a-Lago. Lo spostamento di Michael Waltz da Consigliere per la Sicurezza nazionale ad ambasciatore all’Onu rispecchierebbe una vittoria momentanea di questo gruppo, e deriverebbe soprattutto da una conversazione privata di Waltz con Netanyahu sull’Iran, che Bibi ha però negato.

Ma il sentimento pro Israele è prevalente, anche quando la linea del governo di Gerusalemme è quello di evitare qualsiasi cappio che lasci immaginare un nuovo 7 ottobre palestinese e internazionale: l’esercito, di fronte ai rifiuti di Hamas a trattare sugli ostaggi se non a condizioni impossibili come la permanenza al potere per anni, ha deciso per una nuova operazione importante. Le riserve sono da ieri in viaggio verso il posto di combattimento per la quarta volta, con sacrificio personale immenso. Il governo, fra le critiche delle famiglie dei rapiti che vorrebbero un cessate il fuoco totale, sostiene la determinazione a spingere Hamas in un angolo fino a costringerlo a ragionare sui rapiti.

Gli aiuti alimentari sono una parte di questa vicenda: dal 19 gennaio fino a marzo avanzato Gaza ha ricevuto 650 camion di aiuti al giorno, molto più dei 2/300 del fabbisogno. Da qui un surplus di cibo per gli ultimi due mesi che avrebbero evitato ogni pericolo di penuria nella Striscia se il cibo non fosse stato rubato da Hamas e usato per ricattare e sottomettere e per fare del cibo un nuovo elemento di biasimo internazionale affamando la gente. Il fine di Israele è un accordo internazionale che possa garantire che riaprire all’aiuto sia un mezzo per spingere a cedere gli ostaggi e non il contrario. Ma Hamas vuole una cosa sola: uccidere gli israeliani e quindi tenersi Gaza come sfondo geografico e logistico. Israele si accinge ad affrontare questo nuovo capitolo, la variante Trump è decisiva, anche se Israele sa che comunque non ha scelta: deve combattere da sola. E ieri ha di nuovo seppellito due ragazzi di 20 anni caduti a Gaza, il capitano Noam Ravid e il sergente Yaly Seror.


segreteria@ilgiornale.it

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