Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Sbloccato l’invio di armi a Kiev Cronaca di Mirko Molteni
Testata: Libero Data: 03 maggio 2025 Pagina: 7 Autore: Mirko Molteni Titolo: «Sbloccato l’invio di armi a Kiev. Ma gli Usa sono stufi di mediare»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 03/05/2025, a pag. 7 con il titolo "Sbloccato l’invio di armi a Kiev. Ma gli Usa sono stufi di mediare" la cronaca di Mirko Molteni.
Mirko Molteni
La firma dell'accordo sulle terre rare, fra Usa e Ucraina, sblocca anche gli aiuti militari americani a Kiev. Alla buon'ora! Intanto i russi di Putin, approfittando delle difficoltà dei difensori, hanno già fatto stragi tutti i giorni.
Pur chiamato “accordo delle terre rare”, quello siglato fra Stati Uniti e Ucraina riguarda lo sfruttamento congiunto di risorse minerarie ed energetiche non classificabili sotto quella definizione. L’Ucraina è ricca di uranio, titanio, ferro, carbone, litio, petrolio e gas, ma fra le vere “terre rare”, quei 17 metalli dai nomi bizzarri vitali per l’industria elettronica, dispone solo di un’aliquota di scandio.
Ieri il capo dell’ufficio presidenziale di Kiev, Mikhailo Podolyak, ha rivendicato che «non si prevede alcun obbligo di compensazione per il costo dei precedenti aiuti militari statunitensi». Gli ucraini hanno ottenuto più vantaggi rispetto alle precedenti bozze con cui il presidente americano Donald Trump intendeva farsi ripagare gli aiuti militari ed economici sganciati in tre anni da Washington a Kiev.
La firmataria ucraina, ministra dell’Economia Yulia Svyrydenko, ha ribadito che «tutte le risorse appartengono all’Ucraina, ed è lo Stato ucraino a determinare dove e cosa estrarre». I proventi dei giacimenti confluiranno in un Fondo di Investimento per la Ricostruzione Stati Uniti-Ucraina formato dalla società americana U.S. international development finance corporation e quella ucraina Ppp. Il fondo manterrà su territorio ucraino la ricchezza prodotta in valuta locale, la grivnia. Ma la società verrà registrata legalmente negli Usa.
L’accordo, stando a Podolyak, copre fino al 2034 e «miliardi di dollari verranno destinati allo sviluppo infrastrutturale e tecnologico». Gran parte dei soldi tornerà agli americani come profitti delle joint venture, ma anche come nuove commesse militari che, per la prima volta dall’arrivo di Trump alla Casa Bianca, sarebbero in procinto d’essere sbloccate.
Indiscrezioni della stampa ucraina, specie del Kyiv Post, hanno anticipato che l’amministrazione Trump ha chiesto al Congresso l’autorizzazione a vendere all’Ucraina materiale militare per 50 milioni di dollari. È un segnale a Mosca, come lo è lo stesso accordo minerario. Gli ucraini non hanno ottenuto garanzie difensive Usa, ma lo spirito dell’accordo è che l’intreccio di interessi Ucraina-Stati Uniti scoraggi futuri attacchi russi.
La Casa Bianca ha precisato che il fondo Ucraina-Usa «avrà un rappresentanza paritaria di tre membri del consiglio di amministrazione ucraini e tre americani». L’accordo verrà ratificato dal Parlamento ucraino l’8 maggio. Peril presidente ucraino Volodymir Zelensky, «l’accordo è il risultato dell’incontro con Trump nella Basilica di San Pietro», a Roma, durante i funerali del Papa.
Resta però in alto mare un cessate il fuoco, sebbene, per l’agenzia Bloomberg, Trump e il suo staff abbiano «preparato opzioni per aumentare la pressione economica sulla Russia».
L’esasperazione americana nel mediare fra la Russia, che non vuole certo perdere le conquiste sul campo, e l’Ucraina, che pretende di non perdere territori senza però aver la forza di recuperarli, è palpabile.
La portavoce del dipartimento di Stato Usa, Tammy Bruce, ha dichiarato: «Gli Stati Uniti non svolgeranno più il ruolo di intermediari. Siamo ancora impegnati. Ma non ci metteremo a volare dall’altra parte del mondo per mediare gli incontri». Il segnale è chiaro, all’America preme ancora di porre fine alla guerra russo-ucraina, ma invita le due parti a impegnarsi in prima persona, magari con un incontro diretto fra Zelensky e lo “zar” russo Vladimir Putin, sfilandosi laddove possibile. Lo stesso segretario di Stato Marco Rubio ha aggiunto: «Putin non può prendere tutta l’Ucraina, l’Ucraina non può respingere i russi fino al punto in cui erano nel 2014».
MA KALLAS NON TRATTA A “pompare” Kiev è l’Unione Europea, che spiazzata dalle iniziative americane tenta di imporsi con un’irrealistica intransigenza, tanto che la rappresentante Ue agli Esteri, Kaja Kallas, sostiene che «nessun paese Ue riconoscerà mai la Crimea territorio russo». L’Ue vuole «una vittoria totale per Kiev» lontanissima dalla realtà. Solo ieri, i russi hanno lanciato ben 150 droni sull’Ucraina, mentre gli ucraini, a loro volta, ne hanno sparati 120, di cui 89 solo sulla Crimea e oltre 50 in quello che è stato definito «il più massiccio raid su Sebastopoli», sebbene in maggioranza abbattuti dall'antiaerea.
Le truppe russe, inoltre, dopo aver scacciato gli ucraini dal Kursk, stanno creando una fascia di sicurezza sul confine con la regione ucraina di Sumy.
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