Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.
Se sei di sinistra puoi fare ciò che vuoi Commento di Daniele Capezzone
Testata: Libero Data: 28 marzo 2025 Pagina: 1 Autore: Daniele Capezzone Titolo: «Prodi perdonato: se sei dei 'loro' tutto è concesso»
Riprendiamo da LIBERO di oggi 28/03/2025, a pag. 1, con il titolo "Prodi perdonato: se sei dei “loro” tutto è concesso", il commento di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
Tira i capelli alla giornalista e va bene così. In un periodo in cui c'è gente che finisce in carcere per una pacca sul sedere e le "micro-aggressioni" alle donne sono uno stigma sociale gravissimo, per Prodi c'è l'eccezione, la corsia preferenziale. Se lo fa lui, alle femministe sta bene così e la stampa di sinistra non ne parla, dopo aver negato i fatti.
Manca solo che, a questo punto, qualcuno chieda a Lavinia Orefici di scrivere – lei – un messaggio di scuse a Romano Prodi per aver infilato a tradimento una sua ciocca di capelli tra le dita del povero e incolpevole Professore.
Giova precisare che si tratta di una battuta paradossale: perché, con l’aria che tira, qualcuno potrebbe fare veramente qualcosa del genere.
Ieri mattina sfogliare diversi giornali era davvero un’esperienza psichedelica.
Sulla Stampa – quotidiano rimasto imperterrito su una linea di censura pressoché totale sull’argomento – tutto è stato liquidato con un microscopico box a pagina 10. Peraltro con un titolo farlocco: «Le scuse di Prodi». La realtà è che Prodi non si è affatto scusato con la vittima del suo gestaccio. Al massimo – dopo cinque giorni di bugie e negazione dell’evidenza – ha parlato di «errore», salvo rifugiarsi nell’avventurosa formula della «gestualità familiare». A prenderlo sul serio, se ne deduce che casa Prodi debba essere un posto movimentato: al primo diverbio, qualcuno ti acciuffa per i capelli.
Con evidenza maggiore (ma solo il Corriere della Sera a pagina 15), ha scelto a sua volta di far credere ai lettori che il padre nobile della sinistra si sia scusato: «Ora le scuse, ma lo scontro resta». La cosa curiosa è che nell’articolo – assai corretto – firmato da Fabrizio Caccia si mette nero su bianco che le scuse non ci sono state. E tuttavia – magie della titolazione – il lettore che si sia fermato solo al titolo si sarà convinto del contrario. Inutile girarci intorno: i grandi giornali, dopo aver protetto Prodi per quasi una settimana, ieri, nell’urgenza di chiudere il caso, sono arrivati a “prestargli” una gentilezza che lui non ha avuto.
Quanto a Repubblica, per trovare un articolo sull’argomento ieri i lettori sono dovuti arrivare – cammina cammina – fino a pagina 23.
Qui almeno non sono state inventate scuse da parte o a favore del Professore. In compenso, non è mancato un tocco lirico sulla vita del Prof: «A 85 anni gira instancabilmente il mondo», «il disimpegno americano lo preoccupa». E quindi capite bene che se giri per il mondo e Trump ti angoscia, dev’essere per lo meno comprensibile che tu ti metta a tirare le ciocche della prima malcapitata giornalista che ti capiti a tiro.
Scherziamo, amici lettori, ma onestamente c’è poco da ridere.
Non ce ne voglia la brava Lavinia Orefici. Ma il caso – ormai – non riguarda più lei, che resta creditrice di scuse non ricevute. Il caso riguarda semmai – per l’ennesima volta – un sistema mediatico ancora largamente controllato dai progressisti (anche per il sonno, le distrazioni, le inerzie dei conservatori), in modo da consentire ai loro amici – calcisticamente parlando – di giocare sempre “in casa”, mentre i loro avversari sono perennemente “in trasferta”.
Fateci caso: quando è nei guai per qualsiasi ragione un esponente di centrodestra, è un gioco da ragazzi – sui giornali e in tv, ormai quasi senza eccezioni – costringerlo sulla difensiva, imporgli costantemente lunghe spiegazioni e autodifese per tentare di dimostrare di non essere come viene descritto-rappresentato-disegnato.
Quando invece il problema è a sinistra, arrivano subito i barellieri, gli infermieri, gli assistenti sociali e spirituali a confortare il malcapitato, che ne esce più o meno come un santo (laico, si capisce).
Nel magico mondo della sinistra, di chi ama definirsi “liberal” ma non sa cosa sia il liberalismo, la narrazione stravince sempre sui fatti. E la narrazione – a sua volta – è basata su una preventiva assegnazione delle parti: di là i cattivi (di volta in volta, populisti-fascisti-razzisti-trumpiani), di qua i buoni (rossi-rosé-fucsia-sfumature varie).
Secondo un format rigidissimo e a ruoli fissi, i cattivi hanno sempre torto, anche quando siano evidentemente le vittime; mentre i buoni hanno comunque ragione, qualunque cosa dicano o facciano.
Curioso, eh? I detrattori di Donald Trump gli hanno spesso rimproverato (talora, ammettiamolo, a ragione), una propensione alla post-verità, a una post-truth manipolata e ricostruita a posteriori in base a esigenze di riadattamento propagandistico delle cose. Peccato però che loro (gli autonominati “buoni”) siano i campioni incontrastati della pre-truth, cioè di una verità preconfezionata a tavolino, in cui i torti e le ragioni non dipendono da ciò che si fa ma da ciò che si è. Anzi, da chi si è. E se – per tua fortuna – sei nel perimetro del pensiero accettato, delle opinioni ammesse, allora puoi fare qualunque cosa. Proprio come Prodi.
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