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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Il Foglio Rassegna Stampa
16.01.2025 Il dilemma d’Israele
Intervista di Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 16 gennaio 2025
Pagina: 1/4
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Il dilemma d’Israele»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 16/01/2025, a pag. 1/4, l'intervista di Giulio Meotti a Matti Friedman dal titolo: "Il dilemma d’Israele".

Informazione Corretta
Giulio Meotti
Matti Friedman - Wikipedia
L’accordo per il rilascio degli ostaggi rappresenta un dilemma morale e strategico enorme per Israele, un paese che bilancia la solidarietà verso le vittime con il rischio di rafforzare Hamas a lungo termine. Le parole di Matti Friedman evidenziano il contesto globale, segnato da una crescente ostilità ideologica verso Israele, che rende il quadro ancora più oscuro.

Roma. Non c’è bisogno di indorare la pillola: l’accordo di cessate il fuoco e rilascio degli ostaggi pone un dilemma immenso a Israele. E i nomi dei terroristi palestinesi da liberare lo dicono: Abdullah Barghouti, che sta scontando 67 ergastoli e Hamas non è riuscita a ottenere nell’accordo di rilascio di Gilad Shalit nel 2011; Marwan Barghouti, il segretario di Fatah che ha orchestrato attacchi terroristici in cui sono stati uccisi cinque israeliani; Ahmed Saadat, ideatore dell’assassinio del ministro israeliano Rehavam Ze’evi; Ibrahim Hamed, la “mente” dietro agli attacchi suicidi durante la Seconda intifada da Ben Yehuda al Cafe Moment, e Abbas al Sayyed, il pianificatore del massacro di Pasqua del 2002 a Netanya condannato a 35 ergastoli. “Gran parte degli israeliani è a favore dell’accordo” ci dice Matti Friedman, che ha lavorato per l’Associated Press e scritto per il New York Times, autore di bestseller (da “The Aleppo Codex” a “Who by Fire: Leonard Cohen in the Sinai”) e intellettuale nato in Canada e che vive a Gerusalemme. “Israele ottiene dozzine di ostaggi, che non abbiamo saputo riprendere con i mezzi militari. Questa è la verità. Le alternative erano continuare la guerra per sei mesi: quanti sarebbero stati vivi? Per Israele c’è un grande senso di solidarietà per gli ostaggi. Siamo un esercito di riservisti, sono esausti, hanno famiglie e lavori. Israele può fare una guerra per un tempo limitato”.

Friedman non è sorpreso dalla capacità di Hamas di nascondere gli ostaggi per tutto questo tempo: “Gaza è incredibilmente densamente popolata e poi le televisioni mostrano solo immagini di distruzione di Gaza, ma ci sono molte aree che non sono state toccate dalla battaglia fra Israele e Hamas, dove Israele non può entrare per ragioni umanitarie. Gli ostaggi possono essere ovunque, anche nella stanza da letto di un bambino palestinese. Hamas ha costruito poi una incredibile rete di tunnel. Non sono sorpreso, dunque, ma deluso dall’esercito. Hamas è stata drammaticamente ferita da Israele, ma ancora funziona come organizzazione terroristica”.

Alcuni israeliani pensano che se non riprendono gli ostaggi Israele crollerà. “Penso che sarebbe un prezzo enorme per una società così piccola e così solidale come la nostra. Questo è il dilemma e chi critica da destra l’accordo ha un punto nel dire che tra cinque anni ci sarà un altro 7 ottobre con la liberazione di centinaia di terroristi palestinesi, come avvenne per Gilad Shalit. Per avere un solo soldato abbiamo liberato anche Yahya Sinwar, la mente del 7 ottobre. La nostra società è stata brutalizzata in molti modi in questo anno e forse sopravviverebbe al sacrificio degli ostaggi, ma la maggioranza di israeliani non vuole pagare questo prezzo”.

Friedman è preoccupato per il futuro d’Israele: “Il paese affronta il suo momento più cupo della sua storia: il 7 ottobre, l’attacco dall’Iran, Libano, Yemen, Iraq e l’incredibile ostilità dell’occidente, ma abbiamo anche un problema interno con una classe politica incompetente. E poi ci sono tante ragioni di ottimismo, come l’affascinante numero di bambini che nonostante la guerra continuano a nascere, con tassi superiori a tutti i paesi occidentali”. Ma forse il capitolo più assurdo è il pezzo d’occidente che vuole vedere Israele scomparire.

“C’è un genocidio in Sudan ma a nessuno importa” continua Friedman. “E’ come se Israele fosse oggi il simbolo di tutto quello che odiano dell’occidente: colonialismo, razzismo, nazionalismo, militarismo etc. E’ qualcosa di psicologicamente molto profondo. Se ci liberiamo degli ebrei, tutto andrà bene, pensano: lo si pensava nella cristianità, nel fascismo, nel comunismo, nell’illuminismo e oggi in un pezzo di occidente. Io pensavo che i liberal il 7 ottobre avrebbe reagito a quella barbarie medievale, invasioni, stupri, uccisioni, rapimenti di bambini, invece abbiamo visto manifestazioni contro Israele proprio il 7 ottobre in molte città. E’ uno choc, ma forse riguarda la stessa sfida islamista e migratoria che l’occidente deve affrontare al suo interno e la negazione del problema esplode in mille pezzi. Molti occidentali sperano che con la resa al jihadismo e l’abbandono di Israele saranno risparmiati: non sarà così”.

Lo psicoanalista israeliano Zvi Rix una volta ha usato un paradosso tragico, dicendo che i tedeschi “non perdoneranno mai gli ebrei per la Shoah”. “E’ come se la Shoah avesse creato un accumulo di colpa tanto che vedere gli ebrei come i nuovi nazisti ci sarà una sorta di sollievo” conclude Friedman. “Il credito morale che Israele aveva dopo la Shoah di fatto è scomparso”.

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