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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Il Giornale Rassegna Stampa
16.01.2025 La gioia e il sollievo, ma anche le critiche sul «rischio» di Bibi
Commento di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 16 gennaio 2025
Pagina: 14
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «La gioia e il sollievo, ma anche le critiche sul «rischio» di Bibi»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 16/01/2025 a pag. 14 il commento di Fiamma Nirenstein dal titolo: "La gioia e il sollievo, ma anche le critiche sul «rischio» di Bibi".


Fiamma Nirenstein

Tregua a Gaza per la liberazione degli ostaggi: sollievo per le famiglie dei rapiti, ma tanti dubbi sulle condizioni dello scambio. La prima fase durerà un mese e mezzo e sarà un periodo di intenso dibattito politico sui rischi che Netanyahu si è accollato.

Ci saranno da oggi finalmente momenti di grande gioia. Israele è una comunità molto compatta: il premier ha rispettato il principio per cui Israele non lascia indietro nessuno. Siano soldati, feriti, malati o rapiti. Gioiranno le famiglie dei rapiti, gioirà la grande massa che ha manifestato a ogni fine settimana di fronte alla casa di Netanyahu, gioiranno i giornalisti che a frotte hanno seguito la storia colpevolizzando Netanyahu molto più di Hamas; respirerà chi ha visto la pazzesca sofferenza dei rapiti nei racconti di chi è tornato e si sentirà vittorioso chi ha predicato il cessate il fuoco. Oggi Israele sarà un Paese con il volto proteso verso Gaza, aspetterà i primi tre liberati, le ambulanze che poco a poco porteranno i 33 rapiti «umanitari»; la gente piangerà sui corpi di chi verrà riportato senza vita, un’altra vittima della furia di chi si trova sotto i riflettori di tutto il mondo come se non fosse un assassino ma un grande della storia.

I 42 giorni per la prima fase saranno ancora una fiera di opinioni contrapposte, il ministro Ben Gvir seguiterà a battersi con Smotrich per bloccare ragionevolmente che Hamas sia lasciato solo nella Striscia, libero di riorganizzarsi. Nei 42 giorni le famiglie degli ostaggi parleranno di nuovo della selezione arbitraria dei restituiti, se la prenderanno con Netanyahu perché non è riuscito a ottenere tutto e subito; i pullman di terroristi liberati verranno osservati e temuti giustamente da un pubblico ammaestrato al pericolo più di prima, vittime che ricordano quanto dolore hanno portato i 1.007 (fra cui Sinwar) liberati per Gilad Shalit. Netanyahu si avventura in un ruolo inusitato, quello in cui si adatta a una situazione di necessità ed elabora una strategia internazionale in cui conta sull’appoggio di Trump sia per eventualmente riprendere le armi se sarà violato il contratto, sia per affrontare la vera grande guerra, quella contro l’Iran. Le promesse tra i leader sono segrete e finché non affioreranno si vede solo la fatica di Netanyahu e si dimenticano la sua astuzia e il suo valore in guerra.

Bibi si prende il rischio che i soldati si sentano messi da parte dopo 800 perdite sul terreno ora abbandonato, che le famiglie dei soldati uccisi lo guardino con stupore e non lo riconoscano. Prende di nuovo un rischio, così fanno i leader. Rinuncia all’ammirazione di gran parte del pubblico che vuole la vittoria completa, sgominare subito con Hamas ed Hezbollah l’Iran che li nutre. Dopo il 7 ottobre, Bibi ha sfidato divieti e disapprovazione: alla richiesta internazionali di cessate il fuoco ha risposto combattendo a Gaza e in Libano, all’imposizione di Biden di non entrare a Rafah e di lasciare lo Tzir Filadelfi ha risposto dando la caccia a Sinwar là fino a eliminarlo e ha ucciso in Libano Nasrallah. Dopo l’accordo per i rapiti col nemico più sanguinoso, che adesso verrà rimpinguato di terroristi freschi, le critiche saranno pesanti. I rabbini più severi, come rav Dov Fisher, dicono che anche la legge santa, l’alachà, proibisce di mettere in pericolo preziose vite anche nel santo compito di salvare i prigionieri. Dall’altra parte, la sinistra chiederà a Netanyahu altri pegni, lo accuserà di non aver piegato Hamas e anche di non essersi piegato alle sue richieste: avrebbe dovuto ottenere tutti i rapiti e guai a impugnare l’accordo. Anche se Hamas lo violerà penserà di poter contare sul dolore delle famiglie.

Dunque Bibi si è messo in trappola? Difficile crederlo: l’odierna rinuncia promette una vittoria maggiore, con l’aiuto di Trump. Huckabee, Hegseth, Rubio: impossibile dimenticare che il loro sostegno per Israele è molto diverso dall’atteggiamento di Biden e di Blinken. Hamas ha accettato, perché è debole più di sempre: Netanyahu e Trump sono un nemico troppo forte. E così resteranno. E tuttavia il suo popolo, quello di cui si dice «due ebrei tre opinioni», resta lo stesso: due delle tre saranno critiche, qualsiasi cosa faccia il Primo Ministro.

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segreteria@ilgiornale.it

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