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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Il Giornale Rassegna Stampa
09.12.2024 L'Asse del Male finito il 7 ottobre
Commento di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 09 dicembre 2024
Pagina: 2
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «L'Asse del Male finito il 7 ottobre»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 09/12/2024 a pag. 2 il commento di Fiamma Nirenstein dal titolo: "L'Asse del Male finito il 7 ottobre". 


Fiamma Nirenstein

Via le statue di un altro dittatore anti-israeliano. Anche Assad è vittima dell'attacco del 7 ottobre, con cui l'Asse del Male si sta rapidamente autodistruggendo. Prima Hamas, poi Hezbollah, ora anche la dittatura siriana, tutti vengono travolti dalle loro stesse decisioni di aggredire Israele. 

Il mondo è cambiato con la caduta di Assad, e non solo il Medio Oriente. La ragione sta in un subitaneo scivolamento delle “fiches” dell’asse del male l’una sull’altra, tutte di colore nero: questo movimento continua, tocca fino Mosca, chiede risposte dall’Occidente, dal Lontano Oriente, dall’Africa. Perché se la sua caratteristica è che i malvagi uno a uno perdano, non è tempo di cambiare strategia, di puntare alto, un po' per tutti?  I leader degli assassini, i terroristi di Hamas (come Sinwar), di Hezbollah, (come Nasrallah) sono stati uccisi; oppure come Assad, il dittatore che ha ucciso col gas venefico mezzo milione dei suoi cittadini, sono fuggiti. Quale che sia il futuro, oggi i piani del “cerchio di fuoco” che parevano guidare la danza sono finiti, chiusi; i grandi capi della vicenda sono stupefatti e dolenti, in particolare gli Ayatollah e Putin.

Vero, un dittatore, il turco Erdogan, vive un momento di felici aspettative perché i sunniti, che in Siria sono il 70 per cento, guidati da Hayat Tahrir al Sham e dal suo amico al-Julani gli crea spazio per i suoi disegni espansionisti. Ma in Siria i Curdi che occupano il 40 per cento del territorio non intendono accettare che il loro peggiore nemico dilaghi, e forse al-Julani, che si esprime in maniera cauta, vuole rafforzare il suo potere. La grande jungla non è diventata un boschetto. Ma questo, fa parte della storia del Medioriente e Israele dopo aver bombardato un paio di depositi e fabbriche di armi di distruzione di massa (gas Sarin, forse, e altro) e aver stanziato per la prima volta dal 67 qualche carro armato nella zona cuscinetto del Monte Hermon, dalla parte siriana, è consapevole che i nuovi padroni non sono amanti di Sion. La storia è stata fra le più concitate possibile, un regime pronto a tutto da 53 anni è stato rovesciato in poche ore, e quasi senza violenza. Ma l’inizio della fine del cerchio di fuoco che ieri ha preso l’ultimo colpo, è il 7 di ottobre del 2023 quando dilaga la spaventevole fuoriuscita di orrore, con cui Hamas credette di poter fare a pezzi lo Stato di Israele. Doveva essere la fine dello Stato Ebraico il grande piano congegnato con la leadership iraniana gli Hezbollah invincibili, superattrezzati con 250mila missili. Con loro l’Iraq e i Houty, e a guardia di Assad, la Russia di Putin con gli hezbollah. Le armi iraniane passano tutte dalla Siria.

Solo due giorni fa a Doha la Russia, l’Iran la Turchia, siedevano con cinque stati arabi. Già si leccavano le ferite, spostavano le pedine… e poi, la Siria: il ministro degli esteri iraniano Abbas Araghchi, nervoso e stravolto racconta che ha chiesto invano più volte all’Iraq di intervenire; Sergei Lavrov si spazientisce col giornalista di al Jazeera: quello gli chiede quel che succederà col porto di Tartus o l’aeroporto di Hmeimim, da cui la Russia tiene il Medioriente per il collo, e Lavrov risponde “insomma, vuoi che ti dica che  abbiamo perso!” e poi passa all’Ucraina, dove per altro è in crisi il rapporto con un’Iran basato sui fruttuosi droni contro Israele e contro Zelensky. Ambedue hanno perso tanti miliardi e tempo a Gaza, a Beirut, a Damasco.  L’Iran teme, raccontano adesso da Teheran in molti, che la sua sconfitta si trasformi in un rovesciamento del regime; potrebbe avere una crisi isterica e passare alla bomba atomica, anche se l’attacco del 26 ottobre dei cento F35 lo ha lasciato quasi senza missili balistici e sistemi di difesa. E i suoi Hezbollah dopo il fantasmagorico attacco dei beeper e poi la fine dell’invincibile Nasrallah, sono l’ombra di sé stessi. Israele ha sconfitto l’asse del male. La leadership della Jihad Islamica è scappata da Damasco e si è rifugiata a Teheran. È chiaro che la sconfitta dell’asse sciita fa posto ai sunniti che contano anche le peggiori organizzazioni terroriste. Esse hanno l’appoggio di Erdogan. Ma il fattore Trump per cui Putin e Khamenei hanno lasciato perdere Assad, può avere un suo riflesso speculare sulla parte sunnita, più esplicitamente interessata, in alcune componenti, a un rapporto con gli USA e anche con Israele. 

Inoltre Israele ha imparato la lezione: non tornerà al 6 di ottobre. L’Iran battuto e spaventato non è diverso dalla vecchia entità fanatica e violenta che marciava vittoriosa: Israele deve tener presente come primo fronte quello della bomba atomica. Da una parte ha di fronte Juliani, da verificare, e Erdogan che potrebbe anche giuocare il ruolo di domatore degli estremisti. Dall’altro Khamenei che certo sta già progettando la puntata nucleare della guerra contro Israele e l’Occidente.  

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