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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Libero Rassegna Stampa
08.06.2024 Elezioni europee
Editoriale di Daniele Capezzone

Testata: Libero
Data: 08 giugno 2024
Pagina: 1/5
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: «La vera posta in gioco del voto. Come capire vincitori e vinti»

Riprendiamo da LIBERO di oggi 07/06/2024, a pag. 1/8, con il titolo "Una rinuncia alla nostra identità", l'editoriale di Daniele Capezzone. 

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

Al voto per le europee: come si distingueranno i vincitori e i vinti? Ecco alcuni elementi da guardare, dopo i risultati, per capire come sono andate le elezioni. Tre sono le parole magiche che interessano agli elettori: tasse, sicurezza, immigrazione.

La posta in palio tra oggi e domani sera non è certo rappresentata solo da una manciata di voti in più o in meno per ciascuna lista: dal gioco dei decimali dipende molto altro.
Gli elementi da tenere d’occhio alla chiusura delle urne possono essere così elencati: livello di affluenza complessiva; più o meno marcata differenza di votanti tra Nord e Sud; risultati di ogni singola lista comparati con le politiche del 2022 e le europee del 2019; somma delle forze di centrodestra paragonata a quella dei partiti di centrosinistra (e relativa distanza tra le coalizioni); travasi interni ai due schieramenti.
A sinistra assisteremo quasi certamente a un paradosso: i grillini hanno egemonizzato culturalmente e politicamente lo schieramento progressista, imponendo a tutti gli altri toni e contenuti (dalla “pace” all’economia). E tuttavia rischiano di rimediare una sberla clamorosa: per un verso per la prevedibile valanga di astensioni al Sud, e per altro verso per la scelta di Schlein di sovrapporsi quasi in tutto al Movimento, con l’obiettivo di pescare nel medesimo serbatoio elettorale. Dunque, è altamente probabile che la somma dei due partiti resti praticamente uguale, senza alcuna capacità di allargare il recinto attuale, ma con una fortissima redistribuzione dei pesi a vantaggio dei dem.
Rimarranno comunque tutte intere le incognite che tante volte abbiamo evidenziato su Libero (politica estera, grandi opere e infrastrutture, tasse, sicurezza e immigrazione, rifiuti e termovalorizzatori, per citare cinque macro-aree), nel senso che ci sarebbe da tremare - tra qualche anno - nel rivedere al timone della nave Italia un’accozzaglia giallorossa portatrice di idee tanto scombiccherate e impresentabili su quei temi decisivi.
Ma c’è da scommettere che i maggiori azionisti della coalizione (peraltro ancora da costruire) faranno finta di non vedere il problema, mettendo in primo piano - dopo il voto - la necessità di unirsi “contro le destre”. È la logica dell’ammucchiata, anzi dell’«ammucchiatissima», come l’abbiamo ribattezzata in una nostra prima pagina di qualche mese fa. A costoro della “governabilità” non importa affatto: l’unica cosa a cui pensano è costruire (a partire dallo spauracchio del premierato) una sorta di confusa “unione sacra” anti-Meloni.
Sul lato destro, al di là del derby Salvini-Tajani per la seconda piazza della coalizione (per larghi tratti della campagna elettorale si è registrato tra i due un duro scambio di colpi), la sensazione è che il peso dell’azione di governo gravi politicamente e comunicativamente soprattutto su Giorgia Meloni, nel senso che è quasi sempre lei che sembra avvertire più di altri il dovere di spiegare e difendere l’azione comune della coalizione, anche facendosi carico dei relativi costi di consenso.
Non c’è da scandalizzarsi, intendiamoci: in una competizione proporzionale, è fatale che le cose vadano così, nel senso che ognuno pensa a correre per sé. Ma da lunedì sarebbe molto opportuno che le tre forze di centrodestra ritrovassero, oltre a una maggiore armonia, anche una condivisione pubblica ed esplicita del comune lavoro di governo, evitando che sia solo la premier ad assumersi l’onere di difendersi e contrattaccare rispetto all’artiglieria della sinistra politica e mediatica. Lo stesso appello finale al voto di Giorgia Meloni, ieri, è stato misuratissimo e molto istituzionale: una sobria rivendicazione delle cose fatte a dispetto dei «profeti di sventura» e un invito a sostenere «il partito che difende l’interesse nazionale».
A questo punto (comunque vada il voto: e dal nostro punto di vista è ovviamente auspicabile che vada al meglio per tutte le forze di centrodestra) Fdi, Lega e Fi farebbero bene a tenere d’occhio gli obiettivi di legislatura. Gli elettori di centrodestra sono pazienti, non pretendono miracoli, conoscono bene i danni lasciati dalla lunga stagione del Pd: e però si aspettano, da qui al voto politico del 2027, alcuni passi più decisi sui tre dossier determinanti, e cioè sul trittico tasse-sicurezza-immigrazione. È certo comprensibile dedicare attenzione al day by day, alle questioni del giorno: ma non bisognerebbe mai dimenticare le tre citate missioni di medio periodo. È su quelle che la coalizione di maggioranza sarà giudicata fra tre anni.
A ben vedere, gli elettori italiani sono più saggi (e decisamente meno nevrastenici) di come qualcuno vorrebbe descriverli. Ne è prova proprio lo scarso entusiasmo generale delle persone comuni per la campagna appena conclusa. Anzi, mettiamola così: è sempre più frequente che, quando gli attori della bolla politico-mediatica sono “caldi”, gli elettori siano “freddi” e viceversa.
Infatti, molti politici e “analisti” sono tuttora misteriosamente convinti che la loro eccitazione (tutta interna alla “bubble”) per l’approssimarsi di una scadenza elettorale sia necessariamente condivisa dal grosso degli elettori. Spiace procurare a qualcuno un lutto psicologico: ma non è affatto così.
A scaldarsi, al massimo, sono le curve elettorali più politicizzate e già schierate, che effettivamente sentono subito il clima da derby. Ma, per restare alla metafora dello stadio, le tribune sono piene solo in parte, e soprattutto l’arena non è un catino ribollente, ma uno spazio sempre più ristretto e in qualche caso perfino laterale, rispetto a preoccupazioni dei cittadini che stanno altrove, talora non solo non affrontate ma nemmeno intercettate dai radar della grande informazione.
Naturalmente non sto invitando leader e osservatori a distrarsi rispetto al risultato che conosceremo domenica sera. Ma occorrerebbe anche uno sguardo più ampio e più lungo, per non essere presidi sorpresa da ciò che invece si potrebbe già agevolmente scorgere. Basterebbe un poco di attenzione, in fondo, a quelle tre parole magiche. Ripetiamole ancora una volta: tasse-sicurezza-immigrazione.
Buon voto a noi, allora, e soprattutto buona riflessione post-voto a tutti i protagonisti, vincitori e vinti.

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