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Luce nel buio del tunnel. Come gli ostaggi a Gaza celebravano Hanukkah 13/12/2025

Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.



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Libero Rassegna Stampa
16.03.2024 I compagni e l’istinto di imbavagliare tutti, adesso tocca a Maurizio Molinari
Commento di Daniele Capezzone

Testata: Libero
Data: 16 marzo 2024
Pagina: 1/3
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: «I compagni e l'istinto di imbavagliare chi la pensa diversamente»

Riprendiamo da LIBERO di oggi 16/03/2024, a pag.1/3, con il titolo "I compagni e l'istinto di imbavagliare chi la pensa diversamente", il commento di Daniele Capezzone.

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

Molinari contestato dai collettivi studenteschi dell'università Federico II di Napoli, al grido di "fuori i sionisti dalle università". La tolleranza secondo i compagni

Credo di conoscere direttamente e piuttosto bene, come forse qualche lettore ricorderà, il tema delle aggressioni violente volte a impedire una conferenza in un’università o a minacciare personalmente un relatore: a me capitò alla Sapienza, nell’ottobre 2022, partecipando a un convegno dei giovani di Azione Universitaria, che poi si svolse sotto l’assedio di qualche centinaio di estremisti di sinistra. Nelle ore e nei giorni successivi – in una surreale inversione delle parti – a meritare la solidarietà dei media e della politica, in particolare a sinistra, furono naturalmente i facinorosi e gli aggressori, non certo gli aggrediti.
Non consola – al contrario: inquieta e amareggia – il fatto che ieri a Napoli sia stato vittima di un trattamento analogo il direttore di Repubblica Maurizio Molinari, che merita dunque la nostra piena e incondizionata solidarietà, esattamente come David Parenzo, a sua volta oggetto di un atto di squadrismo rosso la settimana scorsa alla Sapienza.
E fa piacere che – stavolta – anche il Capo dello Stato abbia pronunciato parole chiare.
L’andazzo è letteralmente insopportabile: ormai, i gruppi di estremisti di sinistra pensano di detenere il diritto di stabilire chi sia autorizzato a parlare e chi invece non lo sia.
E dall’ottobre scorso questa pretesa è stata perfino inasprita e incanaglita con riferimento alla situazione in Medio Oriente: chiunque parli o sia sospettato di voler parlare a favore di Israele rischia di essere preventivamente imbavagliato.
È l’ora di chiamare le cose con il loro nome: si tratta di comportamenti intolleranti per noi totalmente irricevibili. Non chiamateli “fascisti”, per favore: si tratta di piccoli estremisti rossi, e come tali occorre inquadrarli e qualificarli. Né si deve cadere nella trappola retorica dei loro difensori, lestissimi a invocare un presunto “diritto al dissenso”.
E ovviamente quest’ultimo è un concetto sacro in democrazia: ma un conto è dissentire da una posizione altrui ed eventualmente opporvisi, altro conto è tentare di impedire con la violenza che essa possa essere espressa.
Dunque, qui a Libero, rivendichiamo un criterio chiaro, univoco, senza tartufeschi doppi standard: chiunque voglia sopprimere la libertà di parola altrui è un nemico della democrazia. Punto. Siamo peraltro in presenza di una “tecnica” ormai codificata e collaudatissima nelle università americane e britanniche: il cosiddetto no platforming (o de-platforming) consiste infatti nelle azioni voltea impedire che opinioni e voci “sgradite” possano partecipare a dibattiti, convegni, eventi. Insomma, se un libro si censura in modo tradizionale, a una persona si impedisce di prendere la parola: o disinvitandola, o costringendola a fare un passo indietro (com’è accaduto ieri a Molinari), o impedendo materialmente l’evento.

AMARCORD

I precedenti, pure in Italia, già non mancavano purtroppo, ben prima del caso che mi riguardò personalmente: nel 2019 al giornalista Fausto Biloslavo fu impedito da un gruppo di facinorosi di sinistra di tenere una conferenza all’università di Trento; e ancora prima, tra fine 2007 e inizio 2008, una lettera di protesta di 67 docenti (poi sottoscritta da una valanga di altri professori universitari, e seguita da una raffica di manifestazioni di collettivi studenteschi) aveva portato Joseph Ratzinger, papa Benedetto XVI, a declinare l’invito che gli era stato originariamente rivolto dal rettore dell’università La Sapienza di intervenire alla cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico. Erano avvisaglie gravissime e clamorose: ma allora – almeno – si trattava in qualche misura di episodi isolati.
Invece adesso ormai siamo in presenza di un metodo, e i casi – dagli Usa al Regno Unito – non si contano più da almeno quattro-cinque anni, in qualche circostanza anche con atti di violenza fisica e plateale bullismo. L’anno scorso, il quotidiano londinese Sunday Times ha pubblicato un appello di circa duecento accademici britannici contro questo andazzo, e il giornale ha aggiunto un impressionante servizio sui professori o comunque sui relatori variamente minacciati (perfino di morte) solo in virtù delle loro opinioni, o delle idee che avrebbero presumibilmente potuto esprimere in una imminente conferenza. In altre situazioni (e la cosa – a ben vedere – è perfino più grave) è stata sufficiente l’intimidazione preventiva, con le autorità universitarie che si sono piegate nel timore di guai peggiori, e hanno provveduto a ritirare un invito o a cancellare un convegno.
Certo, resta una questione che qui non possiamo – per un malinteso senso di eleganza – occultare. A sinistra, per un tempo tutt’altro che breve, gli autori di queste pratiche sono stati giustificati, allevati, coccolati, vezzeggiati. C’è da augurarsi che adesso, quando sono perfino personalità di notorie convinzioni progressiste a essere oggetto di questi metodi, pure da quelle parti ci sia un sussulto di consapevolezza. Nel caso, perfino questa sorta di sgradevole nemesi potrebbe almeno rivelarsi utile a qualcosa.
Resta – non ultimo per rilievo– il caso della professoressa Donatella Di Cesare, che ieri ha levato alti lai per ché, durante una sua lezio ne, alcuni giovani di Forza Italia, a onor del vero in modo silenzioso e pacifico, hanno mostrato le foto di vittime delle Br, in chiara polemica con il ricordo – ambiguo ed emozionato – che la docente aveva lasciato a verbale sui suoi canali social dopo la morte di Bar bara Balzerani.

CORSI E RICORSI

Qui restiamo del parere che le lezioni non andrebbero mai interrotte o disturbate in alcun modo: ma è curioso che una intellettuale di ultrasinistra, sempre ipersensibile alle idee e alle ragioni degli studenti (a patto che coincidano con le sue), stavolta abbia prote stato in modo vibrante. Solita storia, solito doppio standard, solita sinistra. La morale? I compagni non cambiano mai: per loro, l’istinto dell’imbavagliamento del “nemico” rimane un eccitante irresistibile.

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