Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Non illudiamoci: gli abitanti della Striscia di Gaza hanno accolto con entusiasmo gli eventi del 7 ottobre. Le immagini di centinaia di abitanti di Gaza che torturano, violentano, massacrano civili israeliani e danno fuoco alle loro spoglie sono state filmate dagli stessi perpetratori, poi trasmesse e ritrasmesse sui social network arabi. Un giovane aveva telefonato con orgoglio ai suoi genitori per annunciare trionfante che era coperto del sangue dei dieci “sionisti” che aveva ucciso. I suoi genitori si sono congratulati con lui. Poi, quelli che devono essere descritti come terroristi assetati di sangue se ne sono andati, portando con sé il loro bottino: in particolare dei neonati, dei bambini, delle donne, degli anziani. Naturalmente, nessuno a Gaza allora si aspettava la portata della risposta israeliana e la sua natura devastante. Oggi, dopo tre mesi di guerra, molti abitanti di Gaza pensano che forse non ne è valsa la pena, e che il loro futuro e quello dei loro figli sia più oscuro che mai. Nessuno osa dirlo ad alta voce perché la paura nei confronti di Hamas è ancora forte. Non dobbiamo però farci illusioni. L’odio per il vicino ebreo è il massimo comune denominatore tra gli abitanti di Gaza. Un odio abilmente inculcato e instillato fin dalla prima infanzia – in casa, nelle scuole dell’UNRWA – ma anche attraverso i sermoni settimanali nelle moschee. L’annuncio di un attacco “nella Palestina occupata”, che sia Haifa, Tel Aviv o Gerusalemme, è accolto con esplosioni di gioia. Vengono distribuite caramelle per strada. I “combattenti della resistenza” non si fermano davanti a niente, come sgozzare un bambino nella culla o lanciare una bottiglia incendiaria attraverso il finestrino di un’auto, colpendo una bambina che morirà un anno dopo per le ferite riportate. Quanto accaduto il 7 ottobre è il frutto di un odio viscerale che non vede più l’umanità come oggetto della sua empatia. Squarciare il ventre di una donna incinta, estrarre il feto e mozzargli la testa prima di colpire la madre? Tagliare le braccia e le gambe ad una vecchia signora e darle fuoco? E poi stuprare, e ancora stuprare. Degli oltre due milioni di abitanti di Gaza, non ce n’è stato uno che si sia alzato e abbia condannato queste atrocità che, ci viene detto, l’Islam condanna. In questa moderna Sodoma non c’è stato neppure un solo giusto. Nessuno è venuto ad aiutare gli ostaggi. È inutile cercare di scappare, viene detto loro: i bambini per strada ti riconosceranno e ti denunceranno. Cosa che effettivamente è accaduta a uno di loro. Capiamoci bene. Sono stati i leader di Hamas, sostenuti dalla popolazione, a prendere l'iniziativa di questo nuovo ciclo di violenza. Non si tratta per questo di privare gli abitanti di Gaza degli aiuti umanitari di cui hanno bisogno. Solo che non ci si deve aspettare che un odio così radicato scompaia, anche se a Gaza venisse instaurato un altro regime.