Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Washington Post cancella la vignetta che dice la verità Commento di Pietro De Leo
Testata: Libero Data: 11 novembre 2023 Pagina: 3 Autore: Pietro De Leo Titolo: «Il Washington Post cancella l’immagine che irride i terroristi»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 11/11/2023, a pag.3, con il titolo 'Il Washington Post cancella l’immagine che irride i terroristi' l'analisi di Pietro De Leo.
Pietro De Leo
Un saggio infelice, ma molto significativo, di zelo confuso che impera in certi ambienti del pensiero occidentale lo si ricava da una vicenda avvenuta al Washington Post. Il quotidiano americano pubblica una vignetta, realizzata da Michael Ramirez. Un fumettista celebre assai, vincitore di due premi Pulitzer. Negli anni ha giocato con Donald Trump (“accusato” nelle sue vignette, di non essere proprio un’aquila) così come con Joe Biden, alla cui senilità non risparmia freddure. Ebbene, stavolta Ramirez aveva disegnato un esponente di Hamas (secondo qualche indiscrezione potrebbe trattarsi di Ismail Haniyeh) che tiene legati a sé quattro bambini e una donna. Nella nuvoletta, il truce estremista esclama: «Come osa Israele attaccare i civili». Il disegno è un chiaro riferimento alla pratica di Hamas di utilizzare civili come scudi umani, per amplificare l’impatto delle vittime nei momenti di scontro bellico con Israele e mettere all’indice Tel Aviv nel consesso internazionale. Un espediente cui ricorre in questa fase attuale così come è accaduto in passato. Un pugno in un occhio, quel disegno, che fa pensare con lo strumento di una satira cruda ma metafora del reale. Ebbene, il Washington Post, quella vignetta l’ha rimossa dai suoi canali web. Perché? Per via delle proteste degli utenti che hanno accusato la testata di avere pregiudizi. Ecco qualche esempio: «Stereotipi razziali offensivi e inquietanti», scrive uno. E ancora, un altro, punta il dito contro «elementi della vignetta» che sono «offensivi non solo per i musulmani, ma per me e per tutte le mie sorelle e fratelli cristiani palestinesi». Addirittura il redattore responsabile della pagina delle opinioni, David Shipley, ha vergato un testo di scuse: «Una vignetta di Michael Ramirez di cui ho approvato la pubblicazione- scrive - è stata considerata razzista da molti lettori. Non era questo il mio intento. Ho visto il disegno come una caricatura di un individuo specifico, il portavoce di Hamas (...) Tuttavia, la reazione all’immagine mi ha convinto che mi ero perso qualcosa di profondo e divisivo e me ne pento. La nostra sezione ha lo scopo di trovare punti in comune, comprendere i legami che ci tengono uniti, anche nei momenti più bui. Con questo spirito abbiamo rimosso il disegno». In realtà, lo spirito pare essere un altro: l’auto tagliola sulla libertà di espressione, fondamento della civiltà Occidentale in cui la provocazione utilizzata per far riflettere è il sale del pensiero. I profeti del bavaglio su più o meno intensa imposizione coranica, dall’altra parte del mondo (e non solo), hanno segnato un altro punto. E quanto accaduto con la vignetta va letto in combinato disposto con un’altra scelta del giornale, ovvero pubblicare un commento di Philippe Lazzarini, capo dell’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi. «La carneficina deve semplicemente finire», osserva a proposito dell’offensiva israeliana su Gaza, demandando alla genericità la mattanza del 7 ottobre, quando miliziani di Hamas hanno ucciso, violentato, rapito. E allora ecco che certe opere di autocensura appaiono come il frutto di una scelta politico-culturale. E questo è ancora più grave.