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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
12.06.2003 Una tragedia a lieto fine
Le porcellane rubate nel 1939 ritornano a casa

Testata: Corriere della Sera
Data: 12 giugno 2003
Pagina: 22
Autore: Alessandra Farkas
Titolo: «La famiglia del tesoro restituito «Noi, ebrei in fuga dall’Italia»»
Riportiamo un articolo di Alessandra Farkas pubblicato sul Corriere della Sera giovedì 12 giugno 2003.
Non riguarda propriamente nè Israele nè il Medio Oriente, ma la storia è di quelle che fanno talmente bene al cuore che la dedichiamo ai nostri lettori tra un attentato terroristico e l'altro. E i complimenti di Informazione Corretta alla tenacia e buona volontà di Federico Steinhaus.

NEW YORK - Un Arlecchino, una minuscola coppia di innamorati, bouquet multicolori, un gruppo di animaletti di squisita fattura. La preziosa collezione Kaumheimer, 69 statuette di porcellana finissima del XVIII secolo, assicurate per un valore di 3 milioni di euro e confiscate nel 1939 ad una famiglia ebrea tedesca che aveva cercato rifugio in Alto Adige, verranno restituite domenica prossima agli eredi legittimi nel corso di una cerimonia al Castello del Buonconsiglio di Trento.
«Sarà una giornata meravigliosa», racconta Greta Kaumheimer, che arriverà a Trento con sua figlia Janet, il fratello Hans e il figlio di lui Robert. «E’ tutto merito del presidente della comunità ebraica di Merano, Federico Steinhaus - aggiunge - avrebbe potuto benissimo tenersi quegli oggetti d'arte senza che nessuno venisse a saperlo».
Il 24 gennaio 2002, nel giorno della Shoah, Steinhaus ricevette in dono dal presidente della Provincia di Trento, Lorenzo Dellai (ufficialmente proprietaria fino a quel giorno), la collezione sequestrata dai fascisti ai Kaumheimer, dopo una segnalazione anonima, mentre stavano per scappare da Merano in America.
Per rintracciare le gemelle Greta e Ruth Kaumheimer e i loro fratelli Fritz (nel frattempo morto) e Hans, Steinhaus ha fatto miracoli. «Era come cercare un ago in un pagliaio - spiega Greta - visto che in America abbiamo cambiato il cognome e siamo diventati rispettivamente Margaret, Ruth, Fred e John». Ma il lieto fine nella vicenda delle preziose miniature non è che un dettaglio della straordinaria odissea di una grande famiglia mitteleuropea il cui destino si intreccia con uno dei capitoli più tragici nella storia del ventesimo secolo.
Tutto ha inizio a Stoccarda, dove Greta viene alla luce 20 minuti prima di Ruth nel 1926. Le ultimogenite di Julius Kaumheimer e Selma Landauer, una delle famiglie più facoltose della città, hanno un’infanzia felice ed agiata. Il nonno materno, Louis Landauer, è un ricchissimo uomo d’affari proprietario di una catena di grandi magazzini nel Sud della Germania. Il padre, Julius Kaumheimer, è un avvocato di successo con un affermato studio a Monaco di Baviera. Ma un giorno del 1934, quando Grete ha 8 anni, un tipo si avvicina alla sua governante Emma, chiedendole di poter riprendere una foto della bimba «perché il simbolo perfetto dell'infanzia ariana tipica». «Greta è ebrea», ribatte la donna. Ma il misterioso uomo scatta comunque.
«Capimmo come si stavano mettendo le cose quando un compagno di scuola, che girava con una ghirlanda di aglio attorno al collo per non ammalarsi, ci chiamò "sporche ebree" - rievoca Ruth -. Noi lo riempimmo di botte, allarmando i nostri genitori: il padre di quel moccioso, ci spiegarono, era un membro delle SS».
Ruth e Greta avevano già compreso di essere «diverse» quando, alle elementari, erano le uniche non invitate alle feste di compleanno. Più tardi il governo ordinò di mettere la «J» di Jude (giudeo, ndr ), sui documenti di tutti gli uomini e le donne ebree, che dovevano aggiungere Israel e Sarah accanto al loro nome. «Ci obbligarono a frequentare tutti i giorni la scuola ebraica, dopo i corsi regolari. Eppure la nostra famiglia era talmente assimilata che facevamo persino l’albero di Natale - spiegano le gemelle - eravamo più tedeschi che ebrei: andavamo in sinagoga solo per la celebrazione dello Yom Kippur».
Allarmati dall’escalation di angherie, Julius persuade la riluttante Selma ad abbandonare Stoccarda alla volta di San Francisco. Ma il viaggio diretto non era possibile: bisognava uscire dal Reich attraverso tappe intermedie. «Cercammo di stabilirci in Belgio e Svizzera, per fortuna senza successo, prima di ripiegare su Merano», spiega Grete. In Alto Adige la famiglia si illude di aver finalmente trovato casa. Karl frequenta la scuola di avviamento e viene assunto dalla Rinascente di Milano; le gemelle si iscrivono ad una scuola privata cattolica e nell’ora del catechismo le suore permettono loro persino di studiare l’ebraico.
«La gente era gentile, tutti parlavano la nostra lingua e avevamo tante amiche - puntualizzano - i tre anni in Italia furono come una meravigliosa vacanza. Ricordo che marciammo addirittura insieme alle ragazze Balilla ». Ma nel 1938, nonostante fossero passate entrambe col massimo dei voti all’esame di quinta elementare, gli fu vietata l’iscrizione alle medie in quanto ebree. «Ero devastata - spiega Grete - ormai Mussolini era in combutta con Hitler». I genitori decidono che era giunto il momento di ripartire. Il 2 febbraio 1939 il consolato americano di Napoli gli rilascia il visto per emigrare in Usa. Il 29 aprile la nave Zaandam salpa da Rotterdam con i sei Kaumheimer a bordo. «Sette giorni più tardi attraccammo a New York: eravamo tutti salvi». Durante i loro rocamboleschi pellegrinaggi hanno la fortuna di portarsi dietro tutti i loro averi, tranne la collezione di porcellane.
Ma l'impatto col nuovo mondo è traumatico. «Papà trovò lavoro solo come postino, mentre io lavavo piatti e portavo a spasso i cani per 5 centesimi l’ora - dice Greta - ma per nessuno l’America è stata amara quanto per mamma: la paragonava sempre alla sua grande Germania ed è morta rimpiangendola».
Ad alleviare le difficoltà, nel 1954, arriva il risarcimento del governo tedesco. Ma la cosa più straordinaria è il fatto che nessun membro, vicino e lontano, dell’enorme clan di zii e cugini sia perito nell’Olocausto. «Siamo stati tra i primi a lasciare la Germania, emigrando in Argentina, Lussemburgo, Usa e Inghilterra - spiega Grete -. Non abbiamo commesso l’errore di molti, che hanno tardato ad andarsene, convinti che a loro non poteva succedere». Come il nonno Landauer, che solo nel 1940 lasciò Stoccarda riparando in Svizzera, dopo che il nazismo gli aveva confiscato la sua immensa fortuna. «Aveva 81 anni, una valigia e solo 10 marchi in tasca - racconta Greta - morì un anno dopo e sua moglie Cilly andò a vivere in Argentina con la figlia Frida».
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