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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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La Repubblica Rassegna Stampa
05.11.2023 Tra i soldati israeliani
Cronaca di Daniele Raineri

Testata: La Repubblica
Data: 05 novembre 2023
Pagina: 7
Autore: Daniele Raineri
Titolo: «»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 05/11/2023, a pag.7, con il titolo "Gaza, la caccia ai leader Hamas" l'analisi di Daniele Raineri

Festival Internazionale del Giornalismo
Daniele Raineri

How Hamas uses its tunnels to kill and capture Israeli soldiers - The  Washington Post
Tunnel a Gaza 

ASHKELON — Dov’eri quando ti hanno ferito? «Nel settore nord, lato spiaggia. Faccio parte del gruppo che si muove parallelo al mare e scende da nord a sud verso Gaza City ». E come ti hanno ferito? «Con un missile anticarro. Sparano questi missili da lontano, è andata bene, io sono l’unico della mia squadra che è stato preso». Il secondo giorno di operazioni Hamas ha centrato un trasporto truppe israeliano, un Namar, e ha ucciso tutti e undici i soldati a bordo. Eri anche tu a bordo di un trasporto corazzato? «No, le schegge mi hanno colpito mentre ero con i miei compagni, ma eravamo a piedi. La mia squadra avanza sempre a piedi. Ci spostiamo da un palazzo all’altro, in alcuni entriamo e in altri no perché sono troppo pericolosi, attraversiamo zone che sono campo aperto specie vicino al mare». È una tattica di guerra moderna, i missili anticarro non servono più soltanto per far saltare i carri, sono sparati anche contro i soldati, ormai vanno pensati come l’arma di un supercecchino con un complesso di onnipotenza: una squadra di due di Hamas, pancia a terra, che non vede l’ora di inquadrare un bersaglio, con il missile e il sistema di puntamento che a malapena sporgono da un bordo di terra o dal parapetto di un edificio che a volte è a chilometri di distanza. In questo caso il bersaglio è stata la squadra del fante israeliano Ira. Ira, ventun’anni, sdraiato in un letto d’ospedale a Ashkelon a sette km dalla Striscia, con la gamba avvolta in una fasciatura bianca macchiata di sangue, appartiene alla brigata Nahal ed è stato ferito ieri nella prima settimana di invasione israeliana della Striscia di Gaza. Faceva parte del lato Nord della tenaglia che assedia Gaza City. I combattimenti contro il gruppo Hamas sono violenti e sono già morti ventisei soldati israeliani, tre volte la media settimanale dell’ultima operazione di terra dentro la Striscia – ormai nove anni fa. Questa volta la guerra è differente, ha una natura esistenziale perché in teoria, secondo quello che dicono governo e generali di Israele, alla fine dell’operazione Hamas non dovrebbe esistere più. Una coppiadi amici di Ira è accanto al letto, lei in tuta con anello al naso, lui in sandali e mitra a tracolla. Arriva anche la fidanzata di Ira si sdraia nel letto e lo contempla. E civili ne vedete, mentre avanzate? «No, è un deserto, non vediamo nessuno, sono andati tutti via da quel settore perché nessuno vuole stare in mezzo ai combattimenti tra noi e Hamas. Alla sera quando sta per fare buio ci raggiunge un bulldozer blindato, spinge la terra che si alza e diventa un muro, lo fa quattrovolte in modo da creare un piccolo perimetro e noi ci mettiamo lì in mezzo e dormiamo. Meglio che passare la notte dentro un edificio, perché non sai cosa ci può essere dentro ». L’assunto base, per le truppe israeliane che entrano dentro Gaza, è che tutto è minato e ci sono trappole esplosive dappertutto, perché è così che combatte Hamas e il gruppo palestinese sapeva alla perfezione prima di fare i raid contro i civili israeliani del 7 ottobre che ci sarebbe stata un’invasione israeliana. Sapeva tutto in anticipo: i bombardamenti aerei devastanti, l’operazione di terra, le reazioni politiche e pubbliche. E quindi si è preparato. Per quello che ne sa la squadra di Ira, potrebbe entrare in un edificio minato alle fondamenta e quelli di Hamas lo fanno saltare in aria con un comando remoto. È successo. Vedete i guerriglieri? «No. Loro ci vedono, fanno qualcosa – usano i missili controcarro, oppure i loro cecchini sparano – e poi spariscono giù sotto nei tunnel. È come acchiappa la talpa». Per chi non lo ricorda: è il gioco con la talpa che sbuca dai fori e tu devi colpirla con un martello di legno. «Un mio amico è stato preso da un cecchino, un proiettile lo ha centrato sull’elmetto e un altro proiettile gli ha attraversato la gamba. E poi il cecchino è sceso dal tetto fino al piano terra, si è infilato un tunnel e ciao». E quando vedete un tunnel che fate? «Abbiamo l’ordine di non avvicinarci. Chiamiamo la squadra di genieri specializzati (la Yahalom), loro hanno delle bombe apposta e lo fanno saltare». Alla fine dell’operazione che cosa farete? Era una domanda politica per chiedere che cosa pensa che succederà se le truppe israeliane prenderanno il controllo di un territorio popolosissimo e governato dal 2007 da Hamas: c’è già una soluzione pronta? Risponde così: «Dopo la vittoria? Ci sposeremo!» e guarda la fidanzata. Manca il cuore di rifare la domanda. Aggiunge questo: «Gaza non è un Vietnam. Non stiamo combattendo lontano dalle nostre case, combattiamo per noi e se non lo facciamonon lo farà nessun altro». Uscendo incontriamo il soldato Yam, è su una sedia a rotelle e ha l’occhio bendato, non sa ancora se lo salverà. Fa parte della stessa brigata di Ira, è stato ferito due giorni fa. È entrato dentro un palazzo di Gaza con un altro soldato, ha visto l’imboccatura di un tunnel sul fondo del pavimento, mentre decidevano cosa fare «sono arrivati i terroristi e ci hanno lanciato una granata», non c’è stato il tempo di uscire. L’hanno portato qui in ospedale, ha compiuto ventun’anni sul lettino operatorio.

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