Come Israele gestisce le risorse idriche: parte 3
Analisi di David Elber
Ecco i link alle parti 1 e 2:

Dopo Aver visto, negli articoli precedenti, come lo Stato di  Israele gestisce le proprie risorse idriche e come esse siano  disciplinate nel trattato di pace con la Giordania, vedremo, in questa  terza parte, come tali risorse sono disciplinate negli accordi di Oslo  tra Israele e l’Autorità Palestinese. 
Accordi di Oslo II, settembre 1995Per consultare il testo completo degli accordi, si consiglia il seguente link:
https://www.jewishvirtuallibrary.org/interim-agreement-on-the-west-bank-and-the-gaza-strip-oslo-iiCome  per il trattato di pace con la Giordania, Israele ha disciplinato nel  testo degli accordi tutte le disposizioni in materia di sfruttamento e  distribuzione dell’acqua con l’Autorità Palestinese. Specificatamente,  nell’appendice I, all’art. 40, le parti hanno concordato in modo  estremamente dettagliato l’utilizzo delle risorse, i compiti delle parti  nella gestione del sistema idrico e lo stabilirsi di una commissione  congiunta per la verifica del fabbisogno della popolazione. Tra i  compiti di parte israeliana, vi è quello di fornire la maggior parte  dell’acqua per la popolazione palestinese. Inizialmente, fu stabilito  che le autorità israeliane dovessero fornire una quantità pari a 28.6  mcm/anno di acqua fresca per la popolazione palestinese amministrata  dall’AP. Ma già nel corso degli anni appena successivi alla stipula  dell’accordo, la commissione congiunta ha aumentato enormemente questa  quantità d’acqua per migliorare la situazione idrica dei palestinesi.  Così già nei primi anni 2000, la quantità erogata da Israele è passata  da 28.6 mcm/anno (concordata negli accordi di Oslo) a 47 mcm/anno fino a  raggiungere i 52 mcm/anno. Quindi il doppio di quella prevista dagli  accordi (fonte: rapporto annuale del capo dipartimento delle  infrastrutture civili colonnello Amnon Cohen). Va anche sottolineato che  è la società statale israeliana Mekorot che trasporta oltre l’80%  dell’acqua nei territori palestinesi. Allora come si spiega l’accusa,  rivolta ad Israele da parte di ONG e degli stessi palestinesi, di  “rubare” l’acqua e l’emergenza idrica cronica nei territori amministrati  dai palestinesi, se l’acqua erogata da Israele, è doppia di quella  stabilita dagli accordi stessi? Basta entrare nel dettaglio della  situazione dei territori palestinesi e di come sono amministrati.
Le competenze palestinesi, sancite dagli accordi di Oslo e nello  specifico come stabiliti dal comma 8 che si riporta in originale:
Palestinian Responsibility:
An additional well in the Nablus area – 2.1 mcm/year.
Additional  supply to the Hebron, Bethlehem and Ramallah areas from the Eastern  Aquifer or other agreed sources in the West Bank – 17 mcm/year.
A new  pipeline to convey the 5 mcm/year from the existing Israeli water  system to the Gaza Strip. In the future, this quantity will come from  desalination in Israel.
The connecting pipeline from the Salfit take-off point to Salfit
The connection of the additional well in the Jenin area to the consumers.
The  remainder of the estimated quantity of the Palestinian needs mentioned  in paragraph 6 above, over the quantities mentioned in this paragraph  (41.4 – 51.4 mcm/year), shall be developed by the Palestinians from the  Eastern Aquifer and other agreed sources in the West Bank. The  Palestinians will have the right to utilize this amount for their needs  (domestic and agricultural).
Come si evince dal testo, tra le competenze palestinesi si trovano:  l’apertura di nuovi pozzi, la costruzione di reti di acquedotti tra le  aree popolate, la connessione di acquedotti con la rete israeliana, la  salvaguardia e la valorizzazione delle falde acquifere presenti nel  territorio amministrato. Oltre a ciò gli accordi prevedono la  manutenzione della rete idrica e l’abbattimento dell’inquinamento delle  falde acquifere a causa della scarsità della rete fognaria nelle città  palestinesi. Cosa è stato fatto in questi 30 anni? Praticamente nulla.  Oltre a tutto questo, nel 2007 l’Autorità palestinese ha avuto in uso –  da parte del governo israeliano – un terreno, sulla costa mediterranea  di Israele vicino alla città di Hadera, per costruirvi un impianto di  desalinizzazione dell’acqua, il quale, se in funzione, potrebbe fornire  100 milioni di metri cubi di acqua potabile all’anno. Cosa ha fatto  l’Autorità Palestinese? Nulla il progetto ad oggi è rimasto sulla carta.
In  base ai dati raccolti si può affermare che l’emergenza idrica tra i  palestinesi non è data dall’acqua “rubata” da Israele – che fornisce il  doppio dell’acqua pattuita negli accordi di Oslo – ma dalla totale  assenza di investimenti palestinesi per la costruzione di impianti di  desalinizzazione, di infrastrutture, di manutenzione dalla rete idrica  (recenti indagini di tecnici hanno stabilito che le perdite d’acqua  nella rete idrica palestinese è pari al 70% del totale erogato) e di  costruzione di depuratori fognari. Oltre a ciò, ci sono da aggiungere i  numerosissimi casi di allacci abusivi alla rete idrica e la endemica  morosità nel pagamento delle bollette dell’acqua. Perché allora si da la  colpa ad Israele? Semplice, perché così la dirigenza palestinese ha un  duplice risultato: da un lato scarica le proprie responsabilità e  inefficienze agli occhi della propria popolazione verso Israele e  dall’altro ottiene nuovi aiuti internazionali che vengono fatti sparire  dai “cleptocrati” dell’AP.
Vale la pena, a questo proposito, fare un  solo esempio di come l’informazione viene creata e diffusa in tutto il  mondo su questo argomento. Circa una decina di anni fa la World Bank  pubblicò un rapporto, molto superficiale, che non analizzava le cause  del disastro idrico nei “territori”, ma affermava che gli ebrei potevano  disporre di molta più acqua degli arabi, citando unicamente “fonti”  palestinesi. La BBC lo riprese, ed essendo, appunto, “prestigiosa”, la  notizia finì sui nostri media come se fosse una verità  incontrovertibile. E’ anche da sottolineare che insieme alla  Cisgiordania, il rapporto della World Bank inseriva anche la striscia di  Gaza nel suo rapporto, dove, non essendoci nessun israeliano da  numerosi anni come possono disporre di maggior quantità d’acqua? Tale  esempio permette di comprendere con quale accuratezza la banca mondiale  stili i suoi rapporti. Ma ecco come si è creato il mito dell’acqua  “rubata”.
Di questo mito si è poi fatto portavoce anche Martin Shultz in  qualità di presidente del Parlamento europeo. Per Shultz, il quale si  recò in Israele nel 2014 a chiederne ragione, Israele applicava nei  confronti dei palestinesi una vera e propria “apartheid dell’acqua”. Le  autorità israeliane gli fecero notare come stavano (e stanno)  effettivamente le cose: le erogazioni medie di acqua disponibile sono  alla pari: cioè 160 metri cubi pro capite per consumo annuo per ogni  israeliano e altrettanti metri cubi per ogni palestinese. La differenza  sta nel suo utilizzo: le tecniche di trattamento e di riciclaggio delle  acque reflue fruttano una maggiorazione di circa 800 milioni di metri  cubi in Israele (otre alle altre tecniche descritte nella parte prima ad  iniziare agli impianti di desalinizzazione). I palestinesi, invece,  disperdono circa il 95% dei 56 milioni di metri cubi d’acqua destinati  al consumo soprattutto in agricoltura, cioè i palestinesi sovrairrigano i  loro campi perché adottano metodi di coltivazione ancora molto  arretrati. Inoltre, essi non hanno mai considerato la possibilità di  mettere mano alla ricostruzione della fatiscente rete idrica, la quale  causa notevoli perdite d’acqua disponibile (circa il 70%), nonostante i  molti fondi internazionali pervenuti all’Autorità Palestinese per  interventi infrastrutturali sul territorio, come evidenziato in  precedenza. Infine venne spiegato a Schultz che in Cisgiordania è  operativo un solo impianto di depurazione per tutta la popolazione.  Questo è anche la causa del perché ogni anno 17 milioni di metri cubi di  liquami palestinesi finiscono in territorio israeliano. Tocca poi da  Israele farsi carico di trattare anche la quota palestinese dei liquami,  per evitare il rischio di inquinamento delle falde. 
Ma nonostante  tutto quanto descritto sia a disposizione delle autorità e dei media  mondiali il mito resta inscalfibile: Israele “ruba” l’acqua dei  palestinesi.