Come Israele gestisce le risorse idriche: parte 2
Analisi di David Elber
Nella parte precedente sul tema dell’acqua e del modo in cui  Israele gestisce le risorse idriche, è stato sottolineato come Israele  con innovazione, ricerca e riciclaggio dell’acqua sia riuscito a  superare la crisi idrica che nell’ultimo quindicennio ha investito tutto  il Medio Oriente. Questa crisi è stata una causa indiretta delle  rivolte e dei problemi politici che hanno interessato diversi paesi  della regione: ad iniziare dalla Siria, ma che ha colpito anche l’Iraq e  l’Iran per citare i paesi più grandi e popolati. Israele ancora una  volta grazie alla sua innovazione anche in campo idrico è rimasto fuori  dalle turbolenze politiche regionali e risulta essere, sempre più, come  uno dei Paesi più stabili e sicuri dell’intera area mediorientale. In  questa seconda parte, dopo aver visto gli aspetti tecnici e innovativi  affrontati nel precedente, verranno affrontati quelli storico-politici.
Già in passato – a partire dalla metà degli anni Sessanta – gli  arabi tentarono di sottrarre le risorse idriche allo Stato ebraico e non  viceversa. I casi più importanti si verificarono con Libano e Siria.  Nel 1964, il fiume Hashbani, un affluente del Giordano in territorio  libanese fu fatto oggetto di un progetto della Lega araba per deviarne  il corso per congiungerlo con il fiume Banias in territorio siriano così  da ridurre drammaticamente le risorse idriche di Israele. Questo  progetto fu bloccato da Israele che minacciò un intervento armato se  fosse stato compiuto.
Un altro progetto portato avanti dagli arabi –  sotto la supervisione egiziana – fu quello di deviare le acque del fiume  Yarmuk nel suo tratto siriano per mettere in crisi l’approvvigionamento  idrico israeliano. Ci furono scontri armati anche pesanti tra Israele e  Siria tra il 1964 e il 1965 a causa di questo tentativo di deviazione  del fiume. Alla fine la Siria desistette dal portare avanti il progetto  di fronte alla forte reazione israeliana. Questa però è una delle radici  che portarono alla guerra dei Sei Giorni sotto la regia egiziana (sia  il progetto in Libano che quello siriano era supervisionato dagli  egiziani). Va, inoltre, evidenziato come le attività di sbarramento o di  deviazione delle acque tra Stati confinanti, se non concordata tra le  parti, sono una violazione del diritto internazionale. Oggi il controllo  delle alture del Golan riveste una grande importanza, oltre che dal  punto di vista militare, anche per la gestione delle fonti idriche.  Infatti, l’area del Golan è il punto di confluenza di quasi un terzo  delle risorse idriche israeliane. Pensare di rinunciare alle alture  senza un trattato di pace e di cogestione delle fonti idriche, con la  Siria, sarebbe un pericolo mortale per Israele.

 
Anche più di recente si è riproposto il problema dell’acqua tra  Libano e Israele. Risale a una ventina di anni fa, la decisione libanese  di deviare le acque del fiume Wazzani, arrivando a sottrarre da 3,5 mmc  fino a 11 mmc d’acqua all’anno al lago di Tiberiade. Questo progetto ha  minacciato seriamente la stabilità al confine israelo-libanese. Si  trattò di un’azione che poteva creare un precedente per futuri tentativi  di bloccare le risorse idriche israeliane, soprattutto dopo che Israele  – ottemperando alla risoluzione 425 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU  aveva ritirato le proprie forze dal Libano meridionale. La diplomazia  europea si mosse per disinnescare il potenziale conflitto con il proprio  rappresentante a Beirut Patrick Renauld. Per ora il progetto è stato  ridimensionato rispetto a quello iniziale. Ma se Israele non avesse  dedicato risorse e tecnologia a favore della desalinizzazione delle  acque questo sarebbe stato un vero e proprio casus belli, come succede  in altre parti del mondo.
L’importanza dell’acqua e la sua gestione  sono componenti fondamentali sia del trattato di pace siglato con la  Giordania nell’ottobre del 1994 sia degli accordi di Oslo (nello  specifico Oslo II del settembre 1995) siglati con l’Autorità  Palestinese.
Con il trattato di pace, Israele e Giordania decisero, tra le altre  cose, anche la riallocazione delle acque dei fiumi Yarmuk e Giordano.
Proprio  per voler indicare l’importanza che le parti attribuivano al problema  delle fonti idriche, già nel preambolo del trattato di pace vi è un  riferimento alle disposizioni delle questioni idriche che vengono subito  dopo quelle riguardanti i confini internazionali e la sicurezza tra i  due Paesi. Le disposizioni vere e proprie si trovano negli allegati  “sull’acqua e sull’ambiente” (allegati II e IV). I principali temi  riguardanti l’acqua e le fondi idriche si trovano nell’articolo VI del  trattato, denominato “acqua”, e dettagliato successivamente  nell’allegato II.
Così ad esempio, nel comma II dell’art. VI entrambe  le parti riconoscono che “l’acqua potrebbe essere motivo di  cooperazione” e, contestualmente, si impegnano a “non recare danno in  alcun modo alle risorse idriche dell’altra parte attraverso i propri  progetti di sviluppo idrico”. Questa cooperazione, ovviamente, riguarda  tutti gli aspetti dello sfruttamento e dello sviluppo idrico, con  esplicito riferimento al trasferimento di acque transfrontaliere,  implica altresì l’impegno alla prevenzione dell’inquinamento, alla  minimizzazione degli sprechi, come anche allo svolgimento di ricerche  comuni e allo scambio di informazioni.
Mentre la maggior parte delle disposizioni del trattato sono di  carattere generale, è l’Allegato II a contenere le vere e proprie  indicazioni per la suddivisione delle risorse idriche sopra citate.  Dall’art. I al IV dell’allegato II troviamo infatti le indicazioni per  la distribuzione delle acque dello Yarmuk e del Giordano, le possibilità  di immagazzinamento e deviazione, la protezione della qualità delle  acque di superficie nella valle dell’Aravà. In ultimo, l’art. VII  prevede l’istituzione di un Comitato comune per l’acqua al fine di  provvedere alle disposizioni dell’Allegato.
Va sottolineato che  questo trattato bilaterale ha così fruttato alla Giordania un  accrescimento idrico di circa il 7% fin dall’immediato. Per di più, la  Giordania, a margine del trattato, ha ottenuto degli scambi d’acqua  interstagionali, cioè “l’immagazzinamento” nel lago di Tiberiade di una  parte delle acque dello Yarmuk spettanti alla Giordania, durante la  stagione invernale avendone grande beneficio per il periodo estivo. Il  10 novembre 1997, inoltre, è stato raggiunto un ulteriore accordo tra i  due Paesi, il Jordan Plan Development, che prevede tra l’altro anche la  costruzione di comuni impianti di desalinizzazione.
Un altro significativo esempio di cooperazione israelo-giordana ci  viene offerto dal progetto per la creazione di un canale Mar Rosso-Mar  Morto. La realizzazione di questo progetto permetterà di immettere nel  Mar Morto 1,8 miliardi di metri cubi d’acqua all’anno dal Golfo di  Aqaba/Eilat. La costruzione del canale, che correrà da sud verso nord  per 180 km attraverso condotte e tunnel prevalentemente in territorio  giordano, ma a ridosso del confine fra i due Paesi, avrà un costo  iniziale di un miliardo di dollari, coperto dalla Banca Mondiale. Altri  3-4 miliardi saranno necessari per costruire impianti di  desalinizzazione in grado di produrre 850 mmc d’acqua dolce all’anno.  Due terzi di quest’acqua serviranno la Giordania , il rimanente verrà  suddiviso tra Israele e i territori amministrati dai palestinesi.