Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Israele e la Libia hanno molte cose di cui parlare Analisi di Fiamma Nirenstein
Testata: Il Giornale Data: 28 agosto 2023 Pagina: 12 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Israele e la Libia hanno molte cose di cui parlare»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 28/08/2023, l'analisi di Fiamma Nirenstein.
A destra: il ministro degli esteri israeliano Eli Cohen e la sua omologa libica Najila al Mangoush
Fiamma Nirenstein
Israele e la Libia hanno molte cose di cui parlare: si tratta di stabilità, di innovazione, di acqua, di agricoltura, anche di armi e di sicurezza. Per questo, con la mallevadoria dell’Italia, si sono incontrati la settimana scorsa il ministro degli esteri israeliano Eli Cohen e la sua omologa libica Najila al Mangoush. Il ministro Antonio Tajani è stato pubblicamente ringraziato per il suo contributo nel disegnare questo storico incontro. Il presidente libico cui la signora al Mangoush fa capo è Abdul Hamid Dbeibeh, la cui legittimità è riconosciuta dagli Stati Uniti e dall’Europa. Per Israele è stata una importante occasione di consolidare il dialogo con l’Africa, cui ambisce dalla fondazione, e di puntare nel lungo termine a un accordo che allarghi i Patti di Abramo. La vastità e l’importanza nel continente, la forza islamica della Libia, la sua complessa storia anche nel rapporto con i suoi ebrei che hanno sofferto persecuzioni e cacciate e in gran numero oggi prosperano ma non cessando di ricordare i loro patimenti in Italia, ne fanno un interlocutore anche simbolicamente molto rilevante. Per un Paese come la Libia, dove scorrazzano le milizie dell’islamismo più feroce e dove chi le contrasta ultimamente si è trovato ostacolato dai mercenari della Wagner, un Paese diviso, che da decenni si dibatte e combatte terribili conflitti interni mentre una massa di gente disperata cerca di raggiungere le coste e da là partire a ogni costo, mentre profitti, violenza, schiavismo li torturano, approdare con la benedizione italiana a un dialogo con Israele significa lavorare con ambizione alla normalità e all’accettazione nel mondo occidentale. Fonti israeliane ci rivelano che da mesi non solo la parte legata a Dbeibeh, ma anche quelle relative alle altre due parti che si contendono il dominio del Paese, Khalifa Haftar e Fatiba Shaga, cui fanno capo le più svariate milizie a ispirazione religiosa e tribale fra le più variegate e spesso in conflitto fra di loro, hanno a loro volta cercato e raggiunto contatti segreti con Israele, attraverso studiosi impegnati nell’analisi dell’Africa e del mondo islamico in generale. Tutti e tre i governi condividono l’ambizione di far rientrare la Libia nel giuoco internazionale. Israele ha ancora memoria del duro atteggiamento di Gheddafi verso lo Stato Ebraico: così come la sua persecuzione contro gli ebrei era stata tale da indurre alla disperazione e all’esilio ciò che restava della bella ricca e colta comunità locale, altrettanto duro fu il suo atteggiamento contro Israele. Tanto, da disapprovare pubblicamente e con l’espulsione negli anni’90 di 5000 palestinesi la scelta di Arafat di consentire (anche se poi si rivelò una finta) agli accordi Oslo con il loro comma principale: “due Stati per due popoli”. Per lui il popolo ebraico non aveva nessun diritto alla terra d’Israele e i palestinesi di conseguenza dovevano insistere in un punto di vista di totale rifiuto belligerante. Più avanti, prese a sostenere l’idea, evidentemente spinto da motivi di opportunità, che la soluzione poteva consistere non in una condivisione, ma in uno stato binazionale. Negli anni 2000 sostenne a spada tratta la sanguinosa Intifada che uccise con attentati terroristi quasi duemila ebrei, ma poi tornò a quella che fu chiamata Isratin, l’idea di uno stato che fosse insieme Israele e Palestina. Shimon Peres, il grande sognatore di una pace che non si realizzò mai, cerco addirittura di farne il mediatore di un accordo, e Gheddafi incaricò di questo il figlio Saif al Islam Gheddafi. Nel 2011, la vicenda subisce la rottura fatale da cui la Libia esce con una serie di terremoti consecutivi: oggi desidera approdare a una convalescenza, anche se è difficile prevedere come andranno le cose. Ma il suo incontro con Israele significa questo: ricerca di aiuto per equilibrio e pacificazione. Di Israele spesso si parla per enumerarne le difficoltà, ma non se ne descrive mai abbastanza la sete di rapporto che porta con sé la fama di grande distributore internazionale di benessere e difesa dal terrorismo.