Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Washington sbaglia a farsi coinvolgere Lo sostiene lo storico Daniel Pipes
Testata:Il Corriere della Sera Autore: Ennio Caretto Titolo: «Sarà un fallimento»
Con questa intervista a Daniel Pipes, che servirà sicuramente a chiarire ai lettori le idee su alcuni risvolti della questione mediorientale, il Corriere della Sera ha svolto un'utile opera di informazione.
Nessun accordo è possibile senza la fine del terrorismo. Le trattative naufragheranno in un’ondata di attentati
WASHINGTON - Dopo la guerra in Afghanistan e in Iraq, la pace in Israele: per risolvere il più difficile problema del Medio Oriente Bush mette in gioco la sua autorità e il suo prestigio. Daniel Pipes è d'accordo che si tratti di una importante svolta - sinora il presidente si era rifiutato di mettersi sulla strada del predecessore Clinton - ma dubita che darà frutti. Pipes è membro della task force del Pentagono sul terrorismo, consulente della Casa bianca, direttore del Middle East Forum. E' ritenuto uno dei massimi esperti americani dell'Islam, su cui ha scritto numerosi libri. Si dichiara sorpreso della decisione di Bush di mediare tra Sharon e Abu Mazen.
Perché è sorpreso?
«Perché è un’iniziativa logica per i democratici e la sinistra in genere, non per i conservatori e i repubblicani in particolare. L’80% dei repubblicani vuole la sicurezza di Israele e ha eletto Bush anche perché gliela garantisse. Il presidente invece fa marcia indietro agli accordi di Oslo, che minacciavano di comprometterla e, in più, preme sugli israeliani».
Perché l’ha fatto?
«Forse perché è stato sottoposto a pressioni molto forti dai leader europei, il premier britannico Tony Blair in testa, con cui ha un debito politico per l'aiuto sull'Iraq, dai leader arabi e del Terzo mondo, dal segretario di Stato Colin Powell e dai liberal di casa nostra. Ma è una mossa rischiosa, di cui potrebbe pentirsi».
Però è l'unica maniera di stabilizzare il Medio Oriente.
«Non sono d'accordo. Il Medio Oriente si stabilizza solo mettendo fine al terrorismo. Come noi non dialoghiamo con i regimi che lo proteggono - vedi la fine fatta dai talebani e da Saddam Hussein - così Israele non dialoga con i suoi nemici. Non si deve lasciare loro spazio».
Ma negli ultimi due anni e mezzo Bush non ha aggravato la situazione rifiutando di intervenire?
«E' stato il terrorismo a fare peggiorare la situazione. Bush si è tenuto in equilibrio e secondo me doveva continuare così. Ha caldeggiato uno Stato della Palestina, ma in pratica ha appoggiato Israele, condividendone le tragedie, aiutandolo diplomaticamente e riarmandolo».
Quindi lei pensa che Bush fallisca.
«Sono pronto a scommetterci la mia casa. Le trattative prima o poi decolleranno, ma saranno precedute e segnate da un'ondata di attentati e naufragheranno. La road map non può assicurare la sopravvivenza di Israele, per questo Sharon voleva che venisse modificata». Che cosa occorre allora per la pace?
«Che la politica palestinese cambi, che non si diriga più alla sconfitta militare di Israele».
Mandare in esilio Yasser Arafat?
«Non è una questione di persone, ma di sistema».
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