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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Corriere della Sera Rassegna Stampa
19.05.2003 Cattivi maestri ?
Elisabetta Rosaspina non imbrocca più una

Testata:Il Corriere della Sera
Autore: Elisabetta Rosaspina
Titolo: «Abu Mazen-Sharon, primo vertice dopo mille giorni di Intifada»


Abu Mazen-Sharon, primo vertice dopo mille giorni di intifada

Il colloquio è durato tre ore ed è servito soltanto a mettere sul tavolo le rispettive posizioni sulla «mappa della pace»
di Elisabetta Rosaspina

Povera Rosaspina: da un po' di tempo non ne azzecca una! Non si sarà per caso scelta dei cattivi maestri, visto che quando era fresca di Medio Oriente se la cavava molto meglio?



GERUSALEMME - Tre ore di riunione con Ariel Sharon hanno concluso ieri il giorno più lungo del premier palestinese Abu Mazen. La giornata è iniziata male a Gaza, con le dimissioni di Saeb Erekat, il ministro per i negoziati del suo neonato governo. Ed è proseguita peggio, con la carica esplosiva di un kamikaze nel cuore di Hebron, la città divisa, sacra agli arabi e agli israeliani, in Cisgiordania. Poche ore dopo, il premier palestinese si doveva presentare negli uffici del suo omologo israeliano, a Gerusalemme, con due coloni morti in più di cui rendere conto alla corrucciata controparte.
"Corrucciata" non ci sembra l'aggettivo più adatto per chi è straziato dalla morte di centinaia - ormai quasi un migliaio - di cittadini innocenti.

Ma anche Ariel Sharon, il capo del governo israeliano, ha dovuto stringere i denti. Dopodomani, alla Casa Bianca, Sharon è atteso dal presidente George W. Bush, cui non può presentarsi senza aver svolto il compito assegnatogli dal segretario di Stato Colin Powell,

quando c'è di mezzo Sharon non ci si salva: o è un assassino macellaio criminale di guerra, o è uno scolaretto coi compiti per casa da fare

durante la sua visita in Israele, otto giorni fa: il primo vertice israelo-palestinese degli ultimi 31 mesi,
e oltretutto la nostra giornalista è anche una frana in matematica: gli incontri di Taba risalgono a 29 mesi fa

il primo dialogo con il capo del governo palestinese gradito a Washington e, con minor entusiasmo, anche a Tel Aviv.

Da 36 anni la capitale è Gerusalemme, ed è lì che ha sede il governo israeliano. Che cosa direbbe la signora Rosaspina se qualcuno parlasse di Torino o di Firenze come capitale d'Italia solo perché in passato, per un breve periodo, entrambe lo sono state? A parte questo, se si provvedesse a informare che il capo del governo palestinese per quarant'anni ha condiviso la politica terrorista di Arafat, che ha finanziato e organizzato la strage alle olimpiadi di Monaco nel 1972, che attualmente è contrario alle azioni terroristiche all'interno di Israele ma favorevole per quanto riguarda Gaza e Cisgiordania, che non è disposto a transigere sul cosiddetto ritorno di quattro milioni di palestinesi in territorio israeliano - cosa che ha lo scopo dichiarato di distruggere Israele per mezzo della demografia - se si provvedesse a dare tutte queste informazioni, forse al lettore risulterebbero più chiari i motivi per cui Gerusalemme è un po' meno entusiasta di Washington nei confronti di questo personaggio.

Per l’amministrazione statunitense, questo è il primo passo, dopo mille giorni di Intifada, su quel filo di speranza che si chiama «road map» e che dovrebbe portare alla creazione dello Stato palestinese entro il 2005.
Ai due protagonisti, Sharon e Abu Mazen, ieri sera era richiesto di cominciare a discutere dell’applicazione degli accordi concepiti dal Quartetto (Usa, Onu, Unione Europea e Russia). Il problema è che i due premier hanno «mappe» diverse in testa.

Vero: i palestinesi vogliono arrivare allo stato senza rinunciare al terrorismo, in modo da poter poi passare subito, e con gli strumenti adatti, alla definitiva distruzione di Israele. E Israele, che ha l'hobby di rompere le uova nel paniere, non ne vuole sapere. Ma il lettore, leggendo l'articolo, riuscirà a capire che è di questo che si tratta?

Ad Abu Mazen andrebbe anche bene quella caldeggiata dagli americani, dagli europei e dai russi. Ma Sharon parte per Washington con l’intenzione di ottenere 15 emendamenti. A cominciare dalle clausole sulle colonie israeliane nei territori occupati.

No: a cominciare dal cosiddetto "diritto al ritorno" (vedi sopra).

Con Abu Mazen, il premier israeliano sarebbe invece disposto a tentare un esperimento: il ritiro dell’esercito dal nord di Gaza, per verificare se il controllo palestinese è sufficiente a interrompere il lancio di missili sulle zone israeliane confinanti. Ieri alle 21.30 un corteo di auto ha portato dalla striscia di Gaza il premier palestinese, il responsabile della sicurezza, Mohammad Dahlan, e il presidente del parlamento, Abu Ala, all’appuntamento con Sharon, il capo di gabinetto Dov Weisglass e il consigliere diplomatico Shalom Turgeman. I padroni di casa hanno subito chiarito il tema della serata: la fine del terrorismo come premessa indispensabile a ogni accordo.
Ma le dimissioni di Erekat, fedelissimo di Arafat, testimoniano la scarsa collaborazione, se non addirittura l’opposizione del presidente dell’Autorità palestinese, alle trattative.

"Se non addirittura"? Ma se è dal primo giorno che sta impiegando tutte le sue risorse per boicottarle!

E la posizione di Hamas, che Israele vuole sia disarmata da Abu Mazen

per la verità lo vuole anche la road map: perché non dirlo? Forse per non essere poi obbligati a dire che i palestinesi non la rispettano?
prima di ritirare un solo carro armato dai territori, è stata espressa dal ventunenne Fuad Qawasmeh, che, travestito da religioso ebreo, si era fatto esplodere qualche ora prima a Hebron, a 200 metri dalla moschea Al Haram Al Ibrahimi, la Tomba dei Patriarchi degli ebrei, uccidendo un uomo e una donna incinta. E’ lo stesso luogo in cui 9 anni fa un colono, Baruk Goldstein, travestito da militare, sparò sui palestinesi in preghiera, uccidendone 29, e fu linciato, prima che l’esercito potesse intervenire sparando sulla folla.
Una strage orribile. Ma perché i giornalisti non perdono mai occasione per ricordarla, preferendo invece sorvolare sulle migliaia di stragi perpetrate dai palestinesi?

Da ieri, tutta Hebron è sotto coprifuoco. Proprio durante il vertice di Gerusalemme, due palestinesi si sono infiltrati nell’insediamento di Sharei Tivka, in Cisgiordania, hanno ferito un altro colono e un soldato, prima di essere uccisi dai militari.
Dove sembra che la notizia sia il coprifuoco, e l'attacco palestinese invece solo un'appendice dis carsa importanza.

In nottata il governo israeliano ha reso noto che i colloqui tra Sharon e Abu Mazen riprenderanno dopo il rientro del premier israeliano dagli Stati Uniti.

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