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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Corriere della Sera Rassegna Stampa
25.04.2003 Un invito a Guido Olimpio
che l'informazione corretta la conosce ma la tiene sempre solo per sè.

Testata:Il Corriere della Sera
Autore: Guido Olimpio
Titolo: «Le mosse di Arafat tra soldi, lettere, volantini»
Dove si dimostra che Olimpio le cose le sa, eccome se le sa! E che le sa dire molto bene, se vuole. E allora, ci chiediamo, perché non scrive sempre articoli come questo, splendido, di oggi, invece di dedicarsi quasi a tempo pieno alla disinformazione?

DAL NOSTRO INVIATO
RAMALLAH - Le chiamano le cinque carte di Yasser Arafat. Le ha giocate su molti tavoli alla vigilia della sfida con Abu Mazen. Con un obiettivo chiaro: tenere dalla sua parte l'opinione pubblica palestinese e creare un fronte d'opposizione al premier. Questa la ricostruzione fatta da una fonte interna al Fatah, incontrata non lontano dalla Mukata, la residenza del raìs. «Nelle ultime due settimane il raìs è diventato piuttosto nervoso - è la spiegazione -. Troppe pressioni internazionali. A cominciare dagli egiziani, entrati nella manovra su richiesta di Washington».
Ma Arafat non si è preoccupato troppo di quello che dicevano all'estero e ha manovrato in casa sua. Ha preso carta e penna per scrivere lettere personali a numerosi esponenti di Al Fatah. Sia quelli che considera amici che i suoi critici, come Hussein Kader, leader di Nablus oggi detenuto in un carcere israeliano. A tutti ha passato il medesimo messaggio: attenti ad Abu Mazen, vuole svendere la causa del movimento. In alcune buste oltre alla missiva c'era un assegno. «Cifre modeste, un presente di 2-300 dollari - aggiunge la fonte -. Inviate soprattutto a chi ha parenti in prigione. Un gesto per dimostrare solidarietà».
La seconda carta il raìs l'ha calata con le Brigate Al Aqsa, il braccio armato del Fatah. Quasi contemporaneamente, nelle principali località palestinesi, sono comparsi dei volantini a firma della fazione radicale dove si ammoniva Abu Mazen: «Non pensare di scioglierci. Sarebbe un tradimento». La nostra fonte afferma che dietro la sortita c'erano i collaboratori di Arafat trasformatisi in «untori». Manovra agevolata dalle incaute dichiarazioni di Mohammed Dahlan, uomo forte nel futuro governo. Il superpoliziotto ha infatti annunciato una possibile azione contro le Brigate. La reazione del Fatah è stata cauta. Si sono levate voci di dissenso su Abu Mazen ma nessuno ha dichiarato guerra al premier. La trappola, dicono a Ramallah, potrebbe scattare in Parlamento quando l’esecutivo dovrà superare il voto di fiducia.
Arafat ha intanto allargato l'azione - la terza carta - alla diaspora palestinese. Ha contattato Farouk Kaddoumi, figura storica dell'Olp basata a Damasco, e ha sollecitato un suo intervento nei campi profughi del Libano e della Giordania. «Abu Mazen è pronto a un compromesso sul diritto al ritorno dei profughi», è stata l'accusa del raìs. Kaddoumi, che è una vecchia volpe, ha ascoltato e ha cercato di guadagnare tempo.
Più sensibile la quarta carta. Il denaro. Nelle ultime settimane, Mohammed Rashid, il cassiere occulto di Arafat, ha messo mano ai conti segreti del presidente. Il leader palestinese ha dato ordine di proteggere il tesoro dopo che il ministro delle Finanze Salem Fayyed ha presentato un rapporto sui beni dell’Autorità redatto con l'aiuto di una società occidentale. «Dai calcoli risulta che abbiamo 615 milioni di dollari», ha sottolineato il ministro. In realtà, hanno svelato i contabili, questa cifra è solo una parte del budget. Secondo Fayyad si è persa traccia di 1,5 miliardi di dollari, nascosti nei conti che Arafat possiede all'estero. Abu Mazen vuole entrarne in possesso perché se controlla la cassa può aiutare l'economia palestinese. E se crea posti di lavoro ha la speranza di placare la tensione. «Tutto è stato reso più difficile dal coinvolgimento di Suha Arafat, la moglie del raìs che vive in Francia - suggerisce la nostra fonte -. Da tempo sta manovrando per controllare una fetta del bottino sostenendo che si tratta di fondi appartenenti alla famiglia». Difficile dire se l'accusa è vera o si tratta di un basso pettegolezzo. Quello che è certo è che uno dei punti di frizione più caldi tra Arafat e Abu Mazen è legato alla gestione delle finanze.
L'ultima carta il leader l'ha riservata ad Hamas. Mentre il premier nei contatti con gli islamici suggerisce che è giunto il momento di una tregua con Israele, Arafat risponde che serve «un consenso». Un modo per dire agli estremisti di proseguire, entro certi limiti, sulla strada della violenza. «Con Hamas - riconosce la nostra fonte -. Abbiamo usato tre diversi comportamenti. C'è stato il momento della competizione, poi quello della collaborazione, infine quello dell'ambiguità». E Arafat si è trovato perfettamente a suo agio.

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