Il tribunale perpetuo contro Israele
Analisi di Niram Ferretti
Si deve alla risoluta determinazione di Nikki Haley, ambasciatrice  americana all’ONU sotto l’Amministrazione Trump, la messa in stato di  accusa del Consiglio per i Diritti Umani (UNHRC) dell’ONU con sede a  Ginevra. 
Nel 2017, durante la sua visita a Ginevra, la Haley bollò in modo  esplicito il Consiglio come un “forum di ipocrisia e omissioni”  accusando alcuni dei suoi stati membri, come il Venezuela, Cuba, la  Cina, il Burundi e l’Arabia Saudita di non avere alcuna credibilità per  potere impancarsi a giudici di diritti umani, soprattutto relativamente a  Israele, l’ossessione permanente del Consiglio. 
Fondato nel 2006, dal 2007, l’organismo ha incardinato come tema fisso  nel proprio protocollo il cosiddetto Articolo 7, ovvero “Israele e i  territori palestinesi occupati”. Israele è l’unico paese all’interno del  forum ad avere un articolo esplicitamente dedicato. Nell’agenda a  rotazione del Consiglio relativa a specifici paesi, tutti sono una  variabile, solo Israele resta la costante. 
Difficile dare torto a Emmanuel Nachshon, all’epoca portavoce del  Ministero degli Esteri israeliano, il quale definì l’organismo “una  finzione e una presa in giro dei nobili propositi che pretenderebbe  rappresentare”. La reprimenda di Nachshon fece seguito a un’altra delle  grottesche votazioni del Consiglio, dopo che aveva adottato cinque  risoluzioni contro Israele, di cui, una delle quali chiedeva a Israele  di cedere le alture del Golan alla Siria mentre un’altra metteva sotto  accusa la legittimità della vendita di armi a Israele da parte di stati  terzi. Le cinque risoluzioni vennero presentate da paesi membri  dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica. 
In altre parole, secondo il Consiglio, Israele avrebbe dovuto rinunciare  non solo alla propria vitale posizione strategica sulle alture del  Golan, ma doveva essere privato della possibilità di essere equipaggiato  militarmente. Risoluzione, quest’ultima che venne votata anche da due  paesi dell’Unione Europa, la Slovenia e il Belgio. 
In questo teatro dell’assurdo tutto è possibile, anche il fatto che  vi abbia una carica elettiva il sociologo svizzero Jean Ziegler, la cui  agenda antioccidentalista e terzomondista e il suo odio per Israele lo  ha coerentemente portato a istituire un premio per i diritti umani a  nome di Gheddafi, premio assegnato a grandi campioni della loro difesa  come Hugo Chavez, Fidel Castro, Recep Erdogan e Louis Farrakhan. E’  sempre il medesimo organismo che assegnò ad un altro furente  terzomondista di estrema sinistra, nonché cospirazionista e apologeta di  Hamas, Richard Falk (invitato a tenere un simposio all’università di  Torino nel 2018) il ruolo di relatore speciale per i diritti umani nei  territori occupati, ruolo oggi degnamente occupato da un’altra  antisionista doc, l’italiana Francesca Albanese. 
Nel 2017, Nikki Haley fece presente che se le cose non fossero cambiate,  gli Stati Uniti sarebbero usciti dal Consiglio come fecero già sotto la  presidenza di George W. Bush per ritornare nel 2009 con Barack Obama e  come vi sono ritornati con l’Amministrazione Biden.
Nel 2010, l’UNHRC incluse la Libia di Gheddafi tra gli stati membri  malgrado fosse ben noto il record di abusi umani perpetrato dal regime  del dittatore libico. Fu solo nel 2011 che il Consiglio, dopo avere  tessuto le lodi della Libia, fu costretta a espellerla quando Gheddafi  iniziò a dare il via alle uccisioni pubbliche degli oppositori del  regime. 
L’abbandono dell’organismo, da parte degli Stati Uniti nel 2017 sotto  l’Amministrazione Trump a cui seguì quello dell’UNESCO nel 2018,  anch’esso abbandonato per la sua esplicita agenda anti-Israeliana,  siglò, all’epoca, una salutare presa di distanza nei confronti di un  organismo spregiudicatamente politicizzato e privo di qualsiasi  credibilità. 
 Niram Ferretti
Niram Ferretti