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Luce nel buio del tunnel. Come gli ostaggi a Gaza celebravano Hanukkah 13/12/2025

Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.



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Il Foglio Rassegna Stampa
27.09.2022 Le ragazze dell’Iran
Analisi di Tatiana Boutourline

Testata: Il Foglio
Data: 27 settembre 2022
Pagina: 1
Autore: Tatiana Boutourline
Titolo: «I ragazzi d’Iran»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 27/09/2022, a pag.1 con il titolo 'I ragazzi d’Iran' l'analisi di Tatiana Boutourline.

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Tatiana Boutourline

UN decries 'violent response' to Mahsa Amini's death | Al Arabiya English
Mahsa Amini

Milano. A Teheran, quando cala la sera, gli altoparlanti iniziano a gracchiare musica religiosa per annegare le voci dei manifestanti, ma nessuno ci fa caso, perché è a questo punto che i clacson prendono a strombazzare più a lungo e più forte, e che le macchine si bloccano per offrire copertura alle ragazze. Sono loro le protagoniste di queste struggenti giornate iraniane, giovani donne, a volte poco più che bambine che si fanno largo nella notte, con il capo nudo e il velo tra le dita, a ragione campeggiano sulle prime pagine, ma fianco fianco a queste ragazze camminano coetanei che scandiscono all’unisono il nome di Mahsa Amini, ragazzi che le incoraggiano e le innalzano sulle spalle, ragazzi dentro le automobili e per le strade, ragazzi che si rannicchiano sul pavimento delle università pur di non far passare i bassiji. Senza questi ragazzi che lanciano pietre e fumogeni contro le moto e le camionette della polizia, le ragazze sarebbero molto più sole e queste notti più scure, più lunghe, infinitamente più feroci. Apatici, edonisti, smidollati privi di sogni. Li descrivono così i media di regime i ragazzi della cosiddetta generazione Z, giovani che non apprezzano quello che hanno, che non sanno dare valore a parole come abnegazione e rispetto, perché non hanno mai conosciuto né la guerra né la rivoluzione, giovani senza cicatrici, capaci solo di bighellonare e compulsare furiosamente sui loro telefonini. Eppure sono proprio questi ragazzi “senza spina dorsale” a gridare inseguendo le macchine della polizia morale. “Ho partecipato alle manifestazioni nella mia università. Oggi 100 bassiji sono entrati e hanno arrestato alcuni dei miei compagni. Il mio amico è stato arrestato, davanti al giudice ha detto che continuerà a protestare, che non ha paura di morire – ha raccontato Sobhan al Guardian – E’ così che viviamo. Non sappiamo se rivedremo i nostri amici, anch’io temo di perdere i miei”. Da quando sono stati oscurati i social media i ragazzi si riuniscono senza sapere cosa accadrà. “Ma non importa, siamo uomini e donne per strada, siamo insieme – ha raccontato Keyvan al Foglio – alcuni di noi accompagnano le madri, altri le sorelle”. La sensazione, spiega Keyvan, è che sia comunque più facile uscire che rimanere a casa. “Non abbiamo più nulla da perdere. E’ il nostro momento e siamo uniti”. Nelle piazze si sentono slogan come “Da Tabriz a Sanandaj, da Teheran a Mashad”, si respira un senso di condivisione che durante le manifestazioni del 2017-2018 e del 2019-2020 non si percepiva. “Ognuno di noi ha una madre, una sorella, o una fidanzata che è stata umiliata dalla polizia morale. Non è ammissibile. La verità è che non abbiamo più fiducia né speranza nel regime. Siamo stanchi, siamo davvero stanchi di tutto persino di avere paura. Per me – dice Keyvan – chi non scende per strada è un vigliacco”. “E’ uno sviluppo epocale il fatto che così tanti uomini in Iran siano solidali con le donne. L’ennesima dimostrazione che la cultura patriarcale è in via di ridefinizione insieme a concetti come onore e pudore”, riflette il sociologo Mehrdad Darvishpour. “Lo possiamo osservare nelle famiglie. I giovani padri non temono più la tenerezza. I giovani mariti non temono più di svilire la mascolinità condividendo le responsabilità domestiche con le loro mogli”. I nuovi iraniani, secondo Darvishpour, soffrono con e per le loro donne. Il caso di Romina Ashrafi, uccisa dal padre a 14 anni perché si era innamorata del “ragazzo sbagliato”, è illuminante. Per settimane dopo la sua morte, i social network sono stati inondati da messaggi di giovani uomini che si sono uniti alla mobilitazione di migliaia di attiviste e hanno contestato l’idea di onore, il namus. “Questi ragazzi sono cresciuti in una società in cui la donna è vista come una perla da celare all’interno di una conchiglia – sottolinea Darvishpour – ma loro non si riconoscono più in un modello in cui l’onore di un uomo passa attraverso il controllo dell’aspetto e della sessualità di una donna”. #NoBelieveInHonour, #IOwnNoHonour, #ManWithoutNamus hanno scritto questi giovani che proprio come i ragazzi che hanno invaso le strade in questi giorni, credono che tacere sia un crimine intollerabile.

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