I volti di Che Guevara
Da 'Mangia ananas, mastica fagiani', di Diego Gabutti

Diego Gabutti

Diego Gabutti, Mangia ananas, mastica fagiani, vol. 2. Dai Processi di Mosca al disgelo e a Pol Pot, WriteUp, Roma 2022

Che Guevara
 
 
 
 
 
 S’aprì una porta. Simone de Beauvoir ed io entrammo. Un ufficiale  dell’esercito ribelle, coperto da un basco, ci aspettava: aveva la barba  e i capelli lunghi, il volto limpido e sereno. Era Guevara. Usciva  dalla doccia? 
Jean-Paul Sartre, Visita a Cuba 
Gli  stessi magnifici esemplari della razza africana che hanno mantenuto la  loro purezza grazie allo scarso entusiasmo per l’acqua, si sono visti  invadere il campo da un nuovo esemplare di schiavo: il portoghese. Il  disprezzo e la povertà li accomuna nella lotta quotidiana, ma […] il  nero, indolente e sognatore, spende i pochi soldi in frivolezze o nel  tentativo di “piazzare un bel colpo”, mentre l’europeo possiede una  tradizione di lavoro e di risparmio che lo spinge a progredire. 
Ernesto Guevara, Latinoamericana 
Attualmente  a Cuba la composizione razziale della popolazione presenta un 70 per  cento di neri e di mulatti. Eppure nel governo di Castro c’è un solo  nero: un vecchio comandante asceso al grado di generale senza aver vinto  una sola battaglia. […] Bianco è il Ministro degli esteri, come lo è  l’ambasciatore alle Nazioni Unite. Bianco è il Ministro della cultura,  bianco è l’equivalente del Ministro della propaganda. Chi è dunque il  razzista, il nero Batista o il bianco Castro, che va orgoglioso delle  proprie origini spagnole? 
Guillermo Cabrera Infante, Mea Cuba 
Di  Guevara, pur sotto l’orpello del culto mistico di allora, appresi  risvolti incogniti e imprevisti. Per esempio, seppi di quel «digiuno  totale» usato come mezzo punitivo contro i dissidenti che lo stesso  Guevara codificò nei suoi Principi generali della guerriglia del  febbraio 1959. Nel 1960, nacquero il cosiddetto «campo di lavoro  collettivo» situato nell’Isla de Pinos, la prigione Ki-Io 5,5 a  Camaguey, nella quale le celle erano autentiche tostadoras – tostapane  per il calore insopportabile –, la Cabana dove le celle erano ratoneras,  ossia buchi per topi e il «campo di concentrazione» d’El Mambi: di  tutto questo fu ispiratore personale Che Guevara. Fu il Vyšinskij dei  Caraibi. In quegli anni si definiva «partigiano dell’autoritarismo à  tout crin», come dire fino al midollo. 
Massimo Caprara, Paesaggi con figure 
Ricordo  che una volta catturammo un contadino che secondo le informazioni  faceva il delatore per l’esercito di Batista. Si decise di nominare un  tribunale per analizzare la situazione. Quelli che lo interrogarono  giunsero alla conclusione che non c’era la certezza che quei tipo fosse  davvero un delatore, perciò non si poteva ammazzare. Ma nel bel mezzo  della discussione, il Che si fece avanti e disse: «Bene, se non lo fate  voi, lo faccio io». Nel bel mezzo della discussione, il Che tirò fuori  il revolver e gli sparò un colpo in testa. 
Jaime Costa (in P. Corzo, Che Guevara, missionario di violenza) 
Il  Che alleato di Juan Domingo Perón? […] L’eroico guerrigliero sembra che  effettivamente si sia recato[in Spagna]  a stringere la mano al  caudillo e per giunta mentre questi era ospite vezzeggiato d’un  Francisco Franco che aveva appena fatto fucilare il comunista Julian  Grimau. E non si limitò a stringergli la mano. Ma si intrattenne a  discutere sulla possibilità che guevaristi e peronisti collaborassero  per scatenare in Argentina una rivoluzione. A [racontarlo] è stato Jorge  Serguera, comandante rivoluzionario e in seguito ambasciatore, un  personaggio che gode della fiducia di Fídel e le cui memorie hanno una  sorta d’imprimatur ufficiale. All’epoca ministro dell’Industria, Guevara  aveva lasciato Cuba per partecipare a una Conferenza Onu in programma a  Ginevra. Il 17 marzo 1964 il Che parlò a Ginevra. Il 14 aprile incontrò  ad Algeri il presidente Ben Bella. Nell’intervallo si pensava che  avesse solo peregrinato per Parigi. Invece si era recato in treno nella  capitale spagnola, melodrammaticamente travestito da frate cappuccino.  In effetti, dal 1964 in poi, la Cia constatò una drastica sterzata a  sinistra nei documenti dei peronisti clandestini insieme al fatto che i  simpatizzanti del generale stavano aiutando gli agenti dei servizi  segreti cubani in Argentina e Uruguay. Nel 1967 il Che, giunto in  Bolivia proprio col pensiero di farne una base di partenza verso la sua  patria d’origine, trovò il suo tragico destino. Due anni dopo, la  gioventù peronista iniziò la lotta armata attraverso il movimento dei  Montoneros. Stretti alleati dei montoneros erano i trotskisti  dell’Esercito rivoluzionario del popolo la cui branca giovanile si  chiamava proprio Juventud Guevarista. Sull’onda dei loro attentati,  Perón fu richiamato nel 1972 al potere. Giuntovi, subito svoltò a  destra, e il paese di Borges potè assistere allo spettacolo surreale di  «peronisti di sinistra» che rapivano e ammazzavano i più stretti  collaboratori del generale. Poi, nel 1973, Perón morì di vecchiaia. E il  regolamento di conti tra «fascisti» e «guevaristi» che si richiamavano  entrambi all’ambiguo mito di Perón sfociò nel dramma della guerra  civile, dell’ultimo sanguinosissimo regime militare e dei desaparecidos.  
Il Foglio, 16 gennaio 1999 387
 Prima  di morire fece le sue infauste dichiarazioni di intenti: «Come saremmo  vicini a un futuro luminoso se nel mondo sorgessero due, tre o molti  Vietnam col loro bagaglio di morte e le loro intense tragedie!» Fu il  suo testamento politico – vera e propria letteratura apocalittica. 
Guillermo Cabrera infante, Mea Cuba 
Alto,  bello, in divisa militare verde-oliva, il Guerrigliero […] portava alla  cintola, bene in vista, una grossa Mauser bruna, che gli aveva causato  una discussione col maresciallo dei carabinieri di guardia alla Camera  dei deputati. Mi raccontò, nel suo francese delle colonie, d’essersi  rifiutato di consegnarla e aggiunse che quella pistola non la lasciava  mai da quando, nell’aprile di sette anni prima, aveva partecipato al  primo scontro dell’«esercito ribelle» contro le truppe governative di  Batista sotto la Sierra Madre. Bussai alla porta e l’introdussi nello  studio di Togliatti. Il Guerrigliero tese la mano e si presentò con voce  bassa e pacata: «Ernesto Guevara Lynch». Non sentii quello che si  dissero. 
Massimo Caprara, Paesaggi con figure 
A  Huasquillas, in Ecuador, Rojo racconta che Ernesto vinse una scommessa  con lui e con Calica affermando che le sue mutande potevano stare in  piedi da sole. Se le toglie, le appoggia per terra ed è proprio così.  Davanti allo sguardo sorpreso dei suoi amici, una cosa di colore  indecifrabile si mantiene ritta. 
Paco Ignacio II Taibo, Senza perdere la tenerezza