Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.
'Le terre dello sciacallo', di Amos Oz Recensione di Crocifisso Dentello
Testata: Il Fatto Quotidiano Data: 27 novembre 2021 Pagina: 22 Autore: Crocifisso Dentello Titolo: «Nel fantastico mondo di Oz c'è il kibbutz»
Riprendiamo dal FATTO Quotidiano di oggi, 27/11/2021, a pag.22 con il titolo "Nel fantastico mondo di Oz c'è il kibbutz", la recensione di Crocifisso Dentello.
Amos Oz
Beati i sognatori e sventurati coloro che hanno gli occhi aperti" si legge in Giuda, uno dei capolavori di Amos Oz, lo scrittore israeliano scomparso nel 2018. Non a caso il kibbutz è un topos della sua letteratura. Svariate le opere in cui ha raccontato l'utopia di una vita allo stato primitivo, a contatto con la terra, senza scambio di denaro e con il tabù della proprietà. In quelle comunità rurali a gestione collettiva, battezzate dal sionismo laburista, la scommessa è stata vertiginosa: cambiare la natura umana, neutralizzare egoismo e crudeltà con l'eguaglianza. Un'illusione che nessuno meglio di Oz ha saputo rappresentare sulla pagina.
La copertina (Feltrinelli ed.)
ADOLESCENTE in rotta con il padre dopo il suicidio della madre - andò a vivere proprio in un kibbutz e ci restò per trent'anni. Ecco allora che risuonano peculiari i dieci racconti di Le terre dello sciacallo, suo esordio del 1965 finora inedito in Italia, in libreria per Feltrinelli. E’ come tornare alle radici della sua scrittura e ricalibrare con un senso critico più compiuto tutte le sue prove successive. Nove storie (la decima ripercorre la parabola biblica di Iefte) che si smarriscono nella vastità di deserti ostili e che pure sembrano riecheggiare certi toni da tragicommedia della nostra provincia: si sa tutto di tutti, i segreti non resistono all'alba, il male e il bene si mescolano in oasi di ambiguità. Si avverte l'eco di un Dio dispotico che concede la sua grazia a un figlio e a un altro la nega (vedi Isacco e Ismaele nella genesi del popolo ebraico). C'è poca luce in queste storie, le righe affondano in notti dove "tutti i predatori dormono, ma non hanno il sonno profondo". Si sentono gli ululati degli sciacalli che, "come sacerdoti neri a una cerimonia del lutto", divorano gli uomini e le donne che provano a mettere un piede fuori dal cerchio. È l'umanità che cade il concime di queste Terre dello sciacallo: la relazione tra una ragazza e un uomo che potrebbe rivelarsi il suo padre biologico; un intellettuale costretto a subire l'umiliazione di un figlio paracadutista pavido; un eroe militare locale e un infermiere da campo arresi davanti alla lezione di un monastero trappista: "Le parole sono alla radice del peccato. Senza parole non c'è menzogna."; un membro del kibbutz che, lasciato l'insediamento, trascorre il tempo a creare mappe di porti immaginari; un anziano professore e suo figlio, entrambi in procinto di nozze, che si nascondono la verità; un kibbutz danneggiato da una strana tempesta e una vecchia signora che vuole pubblicare le lettere del marito morto nella guerra civile spagnola. Nella storia tra un artigiano filatelico e una poetessa scorre il senso di queste trecento pagine: "Anche Dio ci raccoglie uno alla volta, mette ordine, ci incolla nel suo album e si gode l'armonia misteriosa che c'è dietro le nostre sofferenze" Non si distingue nemmeno chi si è sacrificato per gli altri, come nella storia di un meccanico la cui tomba "non è diversa dalle altre." La parabola di Iefte - nomade e figlio di una prostituta che riuscirà a diventare giudice di Israele - chiude il libro, richiamando la metafora sull'identità che Amos Oz ha disseminato nella sua bibliografia: "Sono straniero, da straniero ho vissuto tutti i giorni della mia vita”.
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