Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Gli ebrei sul banco degli imputati Come oggi l'antisemitismo e la critica ad Israele siano due facce della stessa medaglia
Testata:Shalom Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Nell'occhio del ciclone»
Riportiamo un articolo di Fiamma Nirenstein pubblicato su Shalom (novembre n°11), il mensile ebraico di informazione della Comunità ebraica di Roma. "Mentre scrivo, un attentato ha fatto quattordici morti più diversi feriti molto gravi, fra la vita e la morte, e molti feriti detti "beinonì" medi, che vedremo nei prossimi anni trascinarsi sulle sedie a rotelle o il cui trauma infesterà per sempre la loro vita in un modo o nell'altro; in queste ore, il terribile, famigerato Ariel Sharon stava discutendo: 1) il piano Burnes, ovvero la proposta americana di pace progressiva; 2) la restituzione di due miliardi di shekel ai palestinesi, nonostante l'evidente rischio che vengano usati per il terrorismo; 3) come reagire al fatto che i soldati israeliani, cui è stato ordinato di sgomberare alcuni insediamenti, vengano aggrediti dai "coloni" ("non capisco perché, se violano la legge, i settler non vengano subito arrestati" ha detto il Primo Ministro; 4) il furto (così lo vede tutta la comunità internazionale occidentale, anche quella più antisraeliana) libanese d'acqua senza che Israele alzi un dito. Mentre insomma la scena israeliana riproduceva le solite immagini di terrorismo catastrofico e la solita impossibilità a trovare una via d'uscita, Abraham Foxman, di ritorno dall'Europa, spiegava ai giornalisti che l'antisemitismo nel mondo cresce dappertutto, persino in America, che l'Europa ne è una produttrice instancabile, che del mondo arabo non se ne parla nemmeno: la tv egiziana (Paese moderato) manda in onda i protocolli dei Savi di Sion in trenta puntate, produzione "Canale dei sogni"; Al Hayat, giornale siriano di Londra, loda le otto edizioni programmate per il libro dell'ex ministro della difesa Mustafa Tlass "L'azzima di Sion", che spiega al mondo arabo (e presto anche da noi, perché il libro sarà tradotto in inglese, francese e italiano) l'uso inveterato di sangue giovanile da parte degli ebrei per preparare la loro matzà di pasqua. Nel libro è da lodare, dice il giornalista, "l'intento di rispondere alle domande della prossima generazione su chi sono gli ebrei e i motivi per cui uccidono gli esseri umani". Il panorama europeo non è migliore, e mi dispiace: non abbiamo lavorato bene, ci siamo nascosti dietro il dito della scusa: "questo non è antisemitismo, è solo critica a Israele". Anzi, guai anche solo a sospettare che qualcosa non andasse: "Non vorrai mica sostenere che se uno critica Israele, è antisemita?".
Le cose sono peggiorate da marzo, quando in un solo mese, dopo aver perso 126 persone sugli autobus, nei supermarket, nei caffè, a tutte le latitudini, dopo lo sterminio di intere famiglie, Israele ha intrapreso una dura e larga campagna di difesa, che ha ottenuto diversi obiettivi, come il rallentamento degli attentati terroristici, il reperimento di documenti che hanno mostrato i nessi internazionali del terrore e le responsabilità della leadership di Arafat, la distruzione di fabbriche di missili kassam e di fabbriche di altre armi proibite dall'accordo di Oslo. Il prezzo è stato serio: molti soldati israeliani vi hanno lasciato la vita, e le azioni - svolgendosi sul terreno in cui vivono, si organizzano, si armano, si allenano, si preparano i terroristi, ovvero quello della società - hanno fatto molte vittime palestinesi civili. Chi voleva criticare l'esercito poteva farlo tranquillamente senza diventare antisemita: in Israele, i movimenti di opposizione lo hanno fatto strenuamente. Ma l'opinione pubblica europea ha fatto altrimenti: nonostante il carattere evidentemente difensivo delle operazioni, dato l'enorme impatto del terrorismo e la indispensabile necessità di farlo cessare anche in vista di riprendere i colloqui di pace, lo sbilanciamento a favore dei palestinesi è stato enorme. I pregiudizi si sono trasformati in boicottaggi delle merci israeliane, in espulsioni di intellettuali ebrei dalle università, in incredibili documenti razzisti di intellettuali europei. E allora, a chi dice "sono antisraeliano, non antisemita" faremo bene a rispondere: "Quando dai torto pregiudizialmente a chi è aggredito e non a chi aggredisce, quando guardi nella sua storia e la cancelli perché testimonia della sua buona fede e gli togli anche il diritto ad esistere, quando gli applichi stilemi e luoghi comuni quale che sia la situazione, non soffri forse di un pregiudizio che ti impedisce di vedere la realtà? Seguiti ad accusare un Paese che è oggetto di incredibili attentati terroristi, poiché sembri non capire, o fingi di non capire, che difendere la società civile è un compito indispensabile di qualsiasi Paese democratico; seguiti a giustificare il terrore, cerchi le ragioni di chi ha torto... come mai? Non dovresti metterti una mano sulla coscienza? Forse sei antisemita."
Non è davvero popolare dirlo, ci vuole coraggio per dirlo a un amico, a un collega: ma è indispensabile guardare negli occhi il fatto che la situazione è molto peggiorata. E non è possibile aver dubbi su questo, considerando le violente dimostrazioni olandesi, la distruzione di negozi nello stesso Paese, le cinque bombe gettate nella sinagoga di Bruxelles, l'attacco a fuoco alla sinagoga di Azntwerp data alle fiamme, il pestaggio di due ebrei religiosi nel distretto chic "di sinistra" di Berlino, Kurfuerstendamm, l'attacco nella stessa città di una donna con la stella di David, il graffito spray su una sinagoga: "Sei milioni non bastano - PLO". Una decina di ebrei inglesi sono stati attaccati. Da noi, Yasha Reibman è stato aggredito ad una manifestazione. I cortei dei no-global a Johannesburg sfilavano mettendo sullo stesso piano l'apartheid e lo scontro israelo-palestinese. Del resto, ho sentito con le mie orecchie in un'occasione un giornalista della BBC dire la stessa cosa. La Francia poi è l'epicentro delle aggressioni, con bus scolastici presi a sassate mentre trasportano i bambini, con aggressioni per strada, le scritte: "Hitler ha un figlio: Sharon", che campeggiava su numerosi poster a una manifestazione; in Belgio: "Hitler ha due figli: Bush e Sharon". A Salonicco: "Fermate ora il genocidio: siamo tutti palestinesi". Di nuovo a Berlino: "Sharon è un assassino di bambini". Questo catalogo è uno dei molti che si possono fare: ognuno, e dico ognuno di noi, ha certamente sofferto momenti se non altro di intensa solitudine, un senso di spaesamento nuovo e diverso, una perdita di orientamento quando di fronte hai un vecchio amico che non sa più ascoltare, un interlocutore che non vuole discutere. La paura del terrorismo porta a minimizzarlo e quindi ad accusare chi se ne difende, e anche paradossalmente chi lo soffre: è colpa tua, gli si vorrebbe dire, e a me che sono buono non capiterà mai. Quanto più cattivo è Israele, tanto meno il bum delle esplosioni terroriste mi verrà vicino, sembra suggerire il subconscio di chi demonizza Israele e gli ebrei.
Non dubito che ebrei di destra e di sinistra oggi, tutti insieme, sentano che Israele è nell'occhio di un ciclone ben più grande del conflitto territoriale, che lo specchio concettuale vasto in cui è come andata perduta la contesa israelo-palestinese ha nel cuore un duro rifiuto della democrazia occidentale e la frizione religiosa; e l'antisemitismo che credevamo battuto dalla vittoria alleata sui nazisti ne è l'eco cavernoso. L'angoscia alle volte ci impedisce di identificare il fenomeno che lega terrorismo, autocrazie, antisemitismo, scontro religioso. La paura è grande, ed è giustificata. La situazione è nuova, ancora non sappiamo affrontarla: occorreranno anni per esaminarla, definirla strategicamente, intraprendere una battaglia. Vincerla? Questo non si sa: per ora vediamo solo che non abbiamo fatto bene, non abbiamo fatto abbastanza, che l'antisemitismo cresce, e noi seguitiamo a compiacere i vecchi amici con una pacca sulla spalla: "Ma no, non ti preoccupare, non è antisemitismo, è solo critica a Israele. Tu sei il mio migliore amico. Sei uno che può dire: il mio migliore amico è ebreo". Invitiamo i lettori di informazionecorretta ad inviare il proprio plauso alla redazione di Shalom. Cliccando sul link sottostante si aprirà un' e-mail già pronta per essere compilata e spedita.