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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Giornalino della Consulta di Bologna Rassegna Stampa
01.10.2002 Pregiudizi levigati sotto pensieri ruvidi
In seguito ad un articolo fortemente antisemita la risposta dell'Associazione Italia-Israele di Bologna

Testata:Giornalino della Consulta di Bologna
Autore: una studentessa
Titolo: «Pensieri ruvidi»
Alcune settimane fa è uscito un giornalino della Consulta di Bologna – organo ufficiale riconosciuto dalla Provincia, nel quale sono presenti due rappresentanti degli studenti eletti per ogni liceo - distribuito gratuitamente nelle scuole superiori della città.
All’interno è apparsa questa lettera (Pensieri ruvidi) dai contenuti profondamente antisemiti.

"Ogni giorno la stessa storia: arrivare alla fermata dell’autobus, controllare l’orario… evvai: c’e’ ancora il tempo per leggere qualche articolo di giornale. La sera, con un pizzico di curiosita’, leggere le e-mail… e vedere come le notizie lette al mattino venivano distorte da un altro punto di vista (per la tutela della privacy, e’ meglio non dica chi, quelle e-mail, me le mandava). Era strano, ancora non mi ero ben resa conto della gravita’ della situazione: in un certo senso trovavo buffo come i medesimi avvenimenti venissero raccontati in modi quasi opposti, a seconda delle proprie convinzioni e del proprio credo.
Ma prima di tutto, a che mi riferisco? Semplice: alla questione palestinese, ovvero, ad Ebrei e Palestinesi.
Devo ammettere che all’inizio ero (e dico ero!) convinta della "purita’" degli Ebrei: mi chiedevo come potessero ancora avercela con loro, dopo tutte le torture dell’Olocausto.
Credevo fosse piu’ che legittimo avergli assegnato un territorio, ma non pensavo a chi, in quel territorio, era gia’ stanziato. Pensavo: "I Palestinesi devono sopportare, non si ricordano gli orrori che i poveri Ebrei (eh gia’: tutti parlano di poveri Palestinesi, ed io credevo che i poveri fossero gli Ebrei) hanno subito?" o anche "Perche’ non dividono arbitrariamente il territorio? Tanto non saranno mai entrambi completamente soddisfatti!"
Poi, un giorno mio padre mi ha aperto gli occhi: mi ha detto che gli Ebrei non sono piu’ lo stesso popolo povero ed indifeso di una volta, mi ha detto che sono una massoneria, un popolo chiuso e protetto. Mi ha spiegato che sono ricchi, che si difendono a vicenda e che non possono pensare di continuare ad abusare di territori non loro.
Non a caso mio padre faceva parte del movimento studentesco, a suo tempo!-
Ora, finalmente, ho una panoramica piu’ ampia, e mi e’ caduta la convinzione che gli Ebrei siano indifesi ed innocui. Sono circondata da persone che, piu’ o meno consapevolmente, indossano una kefia, che inneggiano alla difesa dei Palestinesi e che chiamano "bastardo" quel popolo che a me stava caro (probabilmente grazie agli insegnamenti di una mia vecchia, saggia professoressa).
So di non essermi ancora formata completamente, ma nel frattempo mi sono costruita certezze: come che prevenire e’ meglio che curare; che, come dice Umberto Eco, sarebbe meglio mandare al governo persone piu’ preparate in storia e geografia (ed in filosofia, aggiungo io!); che quella della violenza non sia la strada giusta.
Si vis pacem, para bellum" dicevano i Latini… e io mi chiedo che cosa sia realmente cambiato da allora se, quelli che sono fra gli stati piu’ potenti del mondo, decidono di attuare la stessa scelta.
Io non so se chi trova sempre il modo di sentenziare "peace and love" ne sia veramente convinto, o perche’ invece lo faccia; so solo che ogni giorno trovo diverse sfumature in queste tre semplici parole, in questo semplice motto dalla altrettanto difficile realizzazione.
Di certo non ho ancora letto abbastanza libri o vissuto abbastanza esperienza per sapere chi sia nel giusto o chi invece sbaglia, ma comincio a sospettare che la verita’ sia stata sommersa da morti e menzogne e che ormai in molti abbiano perso la ragione che avevano per scegliere la via delle armi, passando dalla parte del torto."

Il Consiglio Direttivo dell’Associazione Italia-Israele di Bologna, preso atto di questo preoccupante documento, intende chiedere un colloquio al Provveditore agli Studi di Bologna e nel frattempo risponde con queste argomentazioni alla Consulta di Bologna.
PREGIUDIZI LEVIGATI SOTTO PENSIERI RUVIDI
"Può esistere un "obbligo di opinione"? Può darsi il caso di una costrizione, di un imperativo – esterno o interiore – a possedere ed esprimere un parere su tutto, indipendentemente dal fatto che esso sia documentato, suffragato da argomentazioni presentabili e razionalmente esposto?
La domanda, apparentemente oziosa, smette di esserlo quando il tema in questione è il Medio Oriente. Israele, i palestinesi e il conflitto che li oppone rappresentano un argomento sul quale sembra essere proibito non possedere un’opinione. Come avviene per il denaro, però, anche il valore delle opinioni viene ridotto – spesso ai minimi termini – dall’inflazione. Così può accadere di leggere, all’interno di una rivista studentesca finanziata con denaro pubblico dalla Provincia di Bologna, i "Pensieri Ruvidi" di una ignota "imbarazzatissima – ne ha ben donde – amica".
Osserviamoli da vicino, questi interessanti pensieri.
La nostra sconosciuta amica comincia gettando alle ortiche ogni cautela e gabellando il conflitto israelo-palestinese come scontro tra "Ebrei e Palestinesi". Potrebbe giovare rammentarle che nel mondo vivono all’incirca sedici milioni di ebrei, solo un terzo dei quali è israeliano. Sostituire al termine "israeliano" il termine "ebreo" è uno dei giochi di prestigio preferiti – tra gli altri – da chi gli ebrei si diletta di sbriciolarli con le auto-bombe e le cinture esplosive, dopo aver attentato alla loro vita per anni, ovunque essi fossero e qualunque passaporto avessero in tasca. Non pensiamo certo che la nostra amica condivida le opinioni di questi signori o ne sottoscriva le azioni, ma ci sentiremmo di suggerirle una misura di cautela. D’altra parte, allo stesso modo in cui non tutti i cattolici i razza bianca e lingua neo-latina sono italiani, non tutti gli ebrei sono israeliani, anche se al buio tutte le vacche sono nere…
La nostra amica, poi, si domanda per quale motivo ebrei (sic) e palestinesi non si dividano la terra. Non pretendiamo che abbia mai sentito il nome di Abba Eban, il vecchio diplomatico israeliano che osservava come i palestinesi non abbiano mai perso un’occasione per perdere l’occasione, tuttavia, basta una superficiale frequentazione con un libro di storia del XX secolo per osservare come l’idea di una divisione della terra sia stata più volte avanzata, più volte accettata dagli "ebrei" e altrettante volte rifiutata dagli arabi (1915,1937, 1947, 1967, 2000…) Forse è sfuggito alla nostra il fatto che lo Stato di Israele misura appena ventimila chilometri quadrati – qualcosina meno dell’Emilia Romagna, per intenderci. E deve esserle altresì sfuggito come esso non copra – anche includendovi i territori contesi – che un 35-40% di quell’Israele Biblico al quale i conquistatori romani imposero, nell’anno 135 dell’era volgare, il nome Palestina. La terra, quindi è già stata divisa e – guarda un po’ - quegli stessi governi arabi di Giordania, Libano e Siria che i loro palestinesi li tengono nei campi profughi ne detengono la maggioranza. Nonostante questo, Israele ha dimostrato la disponibilità a dividere anche la parte – minoritaria – che le è toccata. Ma, evidentemente, non basta ancora.
Ci esalta, poi, il talento pedagogico dimostrato dal padre della nostra amica nel suo commendevole sforzo di aprirle gli occhi sul conto degli ebrei: una massoneria chiusa e protetta di gente ricca che si difende a vicenda e abusa di territori non suoi. Per essere un ex-esponente del movimento studentesco –quindi, presumibilmente, non avaro di critiche e rimproveri nei confronti del razzismo nazi-fascista– le idee di questo signore avrebbero fatto la felicità di Joseph Goebbels e Telesio Interlandi. D’altro canto possiamo immaginare che il nostro genitore fosse troppo impegnato a...muoversi per studiare approfonditamente un simile, noioso argomento. Vorremmo far notare che tra gli stereotipati ebrei "super-ricchi", "super-intelligenti" e "super-laboriosi", pezzenti, imbecilli e poltroni godono dello stesso diritto di cittadinanza loro riconosciuto presso tutti gli altri popoli – e vi sono rappresentati in proporzione non inferiore alla media.
Quanto poi al fatto che gli ebrei non siano più indifesi, temiamo che proprio qui stia larga parte del problema. Parafrasando Golda Meir, quando gli ebrei erano simpatici morivano come mosche, oggi sono un po’ meno simpatici, ma restano vivi, o almeno ci provano… Gli ebrei periti a Treblinka e Auschwitz suscitano fiumi di lacrime, inchiostro, parole e pellicola. Per gli ebrei di Israele – che, se non si difendessero, farebbero ESATTAMENTE la stessa fine – si spreca la riprovazione. L’ultima volta che Israele ha goduto della solidarietà compatta del mondo civile risale al maggio del 1967, quando, minacciato da forze arabe preponderanti, il paese era parso sul punto di soccombere. Dalla Guerra dei Sei Giorni in poi, Israele – un paese più piccolo dell’Emilia Romagna, per metà desertico, totalmente privo di risorse naturali e abitato da sei milioni di persone – è stato fatto passare per il prepotente Golia che schiaccia le aspirazioni e la dignità dei palestinesi. Palestinesi che appartengono – si badi bene – a una nazione araba di oltre trecento milioni di individui sparsi su diciotto paesi e ventiquattro milioni di chilometri quadrati tra Africa e Asia. Una nazione araba depositaria dei 2/3 delle risorse energetiche conosciute. Una nazione araba che dei "fratelli" palestinesi si è sempre servita e non si è mai curata – non rinunciando, tra l’altro, a massacrarli spesso e volentieri. Dunque, Israele dovrebbe smettere di difendersi? Risulterebbe più simpatica se lo facesse? E come riesce l’ex-militante del movimento studentesco a fare convivere quella che presumiamo essere la sua cristallina fede democratica e progressista con un’ostilità tanto evidente nei confronti dell’unico stato di diritto, democratico, progressista, garantista, egualitario, laico, liberale e pluralista esistente in Medio Oriente?
Un tempo si diceva che la guerra fosse bella, ma scomoda. Errore: la guerra non è neppure bella. Tuttavia, alla guerra esiste la possibilità di sopravvivere, alla morte no. Per Israele la scelta è – come sempre è stata e come, temiamo, sarà ancora a lungo – tra battersi per la vita e morire: non ce ne vorranno i detrattori se anche noi preferiamo vivere. Come la carta vetrata, anche i pensieri hanno un grado diverso di "ruvidità": non pensa, la nostra giovane amica, che il nostro gretto egoismo possa essere perlomeno capito, alla luce del fatto che i suoi coetanei israeliani, quando prendono l’autobus per andare a scuola, non sanno se termineranno la mattinata in aula oppure all’obitorio?
Vorremmo, infine, allargare il discorso al contesto nel quale questi pensieri ruvidi hanno trovato collocazione. Volendo usare un eufemismo molto depotenziato, diremmo che ci desta grande perplessità il fatto che una rivista della Provincia di Bologna pubblichi simile materiale in maniera acritica, senza una riga di commento, senza una presa di posizione. Sarebbe altrettanto asettica nei confronti di una lettera o di un articolo in cui si gabellassero tutti i musulmani per sessuofobi repressi, oscurantisti bigotti e potenziali terroristi? Dal momento che, come dovrebbe essere a tutti tristemente noto, mala tempora currunt, riteniamo auspicabili una maggiore attenzione e un maggiore equilibrio, della cui mancanza non possiamo continuare, pavlovianamente, ad accusare sempre gli "altri".
"Criticare Israele è spesso una nuova forma di antisemitismo. Bisogna riflettere su cosa sarebbe la sua scomparsa."

Imre Kertész
Premio Nobel per la Letteratura 2002"

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