L’ebreo inventato 
AA.VV. 
A cura di Raffaella Di Castro e Saul Meghnagi 
Giuntina				euro 18 

La copertina (Giuntina ed.) 
A chi non è capitato, in contesti lavorativi o conviviali, di  ascoltare frasi ingiuriose nei confronti degli ebrei oppure di dover  controbattere ad affermazioni basate su pregiudizi o stereotipi, ad  esempio “gli ebrei sono tutti ricchi o usurai” oppure “gli israeliani si  comportano con i “poveri palestinesi” come i nazisti con gli ebrei”?   Troppo spesso ci si trova coinvolti in discussioni accese nell’intento  di spiegare le ragioni storiche alla base di taluni processi per  destrutturare convinzioni perniciose e confutare tesi palesemente  errate. Come reagire e rispondere dunque ad accuse e pregiudizi nei  quali ci si imbatte nel quotidiano, in forme più o meno gravi, esplicite  o implicite, in buona o cattiva fede? Si chiedono nell’introduzione  Saul Meghnagi e Raffaella Di Castro, i curatori del libro “L’ebreo  inventato”, in libreria in questi giorni per la casa editrice Giuntina.  Nato da un progetto di divulgazione dell’Unione delle Comunità ebraiche e  dell’Unione Giovani Ebrei d’Italia, il volume che raccoglie gli scritti  di storici, giornalisti, filosofi, studiosi del pensiero ebraico, è  dedicato soprattutto ai giovani e agli educatori ma è utile per tutti  coloro che vogliono conoscere la cultura e le tradizioni ebraiche, così  come la storia e nel contempo disporre di un metodo - obiettivo  esplicito del libro - per rispondere a luoghi comuni, pregiudizi,  credenze secondo la visione di Primo Levi che indica un percorso “senza  soluzione di continuità tra banali semplificazioni, dogmi, ghetti,  Lager”. 
Nel libro si delineano connessioni e strade alternative a quelle  ritenute “logiche” da molte persone. “Pregiudizi antichi e moderni  vengono inquadrati nella loro genesi, messi a confronto con la realtà  dei contesti e dei testi a cui si riferiscono, e fatti esplodere  dall’interno del loro stesso punto di vista”. Il volume si apre con una  premessa di Gadi Luzzatto Voghera “Antisemitismo in Italia oggi: studi e  dati” in cui lo storico fornisce una interessante panoramica  demografica sugli ebrei nel mondo (attualmente circa 15 milioni di  persone di cui 7 milioni in Israele, 6 milioni in America e 2 nel resto  del mondo), analizzando altresì come le indagini condotte con differenti  metodologie abbiano messo in evidenza la presenza di un pregiudizio  antisemita trasversale ai ceti sociali e alle varie ideologie politiche  anche in Italia.  Fra i diversi saggi in cui si articola questo volume  segnaliamo quello di Saul Meghnagi in cui il pedagogista sottolinea il  concetto di popolo e religione spiegando che “gli ebrei non sono  definibili solo in relazione al credo religioso; sono un popolo che ha  costruito la propria fisionomia culturale attraverso pratiche, rituali,  usi, tradizioni, normative, sistemi di valori, modi di essere e di  pensare. Sono il risultato di un costante confronto con la storia e con  gli altri gruppi umani con cui hanno convissuto: nel tempo, hanno  assunto lingue e modi di lettura e decodifica della realtà propri dei  luoghi di residenza, a fianco a quelli della comunità d’origine. Sono  l’esito di un processo di ibridazione, rimescolamento, riscrittura dei  propri modi di essere e pensare”. L’idea di “elezione” è al centro  dell’intervento di Roberto Della Rocca che spiega come l’”elezione” del  popolo ebraico non abbia nulla a che vedere con una presunta superiorità  e come sia condizionata invece da un comportamento coerente con i  dettami della Torà. “L’elezione richiede dunque un comportamento  corretto e meritevole, anche nei confronti dei più deboli, rendendo  all’orfano, alla vedova e allo straniero quanto a essi è dovuto. La  compensazione all’amore “celeste” sta nel rispondere con la giustizia  terrena, qui e ora”.
 Al tema usura e denaro è dedicato il saggio di David Bidussa  perché con la frase spesso udita “Non fare l’ebreo, il rabbino” si  evidenzia immediatamente un pregiudizio che lega l’immagine dell’ebreo  alla persona attaccata al denaro, e in alcuni casi, a un usuraio. E’ un  pregiudizio molto radicato che però ignora i fatti storici in quanto  l’accusa di usura nasce in un contesto preciso fra il XII e XIII secolo  quando il prestito a interesse a titolo privato viene svolto  inizialmente dagli ebrei in quanto unici autorizzati ad assolvere tale  compito. Su questa base si alimenta un luogo comune che viene a legarsi a  pregiudizi antisemiti di altra natura, fortemente radicati nella  cultura del tempo. Cosa si può fare per confutare questa calunnia? “Per  respingere l’identificazione ebrei=denaro e usura, è necessario smontare  – sulla base della storia e della geografia del fenomeno – l’idea che  la costruzione del sistema di prestito e del tasso di interesse sia una  caratteristica specifica dell’agire economico degli ebrei, in quanto  espressione di una perversione”. Perché la pratica dell’usura non ha  nulla a che fare con l’identità ma discende da una funzione sociale, dai  sistemi di sviluppo commerciali e produttivi, dalle reti di scambio.  Mentre Daniele Garrone indaga con un’accurata disamina storica “L’accusa  di deicidio”, uno dei più forti pregiudizi antiebraici non solo in  ambito cristiano che consiste nel ritenere gli ebrei in quanto tali, di  ogni epoca e luogo, responsabili della morte di Gesù, con Riccardo Di  Segni e Livia Ottolenghi si affrontano le “Regole connesse con il corpo e  con la vita” per ribattere alla frase lapidaria rivolta agli ebrei  “Avete usanze barbare, come la circoncisione” che non tiene conto del  fatto che insieme agli ebrei, ai mussulmani, ai cristiani copti sono  circa un terzo i maschi adulti circoncisi nel mondo. Il motivo per cui  questa pratica è diffusa nell’ebraismo – spiegano gli autori – è  essenzialmente religioso e segna l’appartenenza a una comunità con dei  precisi impegni. Proprio in quanto elemento caratterizzante per  l’ebraismo questa pratica religiosa è stata nel corso dei secoli oggetto  di proibizioni e conflitti mirati alla persecuzione antiebraica e alla  limitazione delle libertà religiose. 
Fra i tanti esempi storici si cita il tentativo di ellenizzazione  degli ebrei da parte di Antioco IV Epifane che proibì, pena la morte,  tre elementi fondamentali per il mantenimento della tradizione ebraica:  il rispetto di shabbat, del capo mese e, per l’appunto, la  circoncisione. Più avanti nel periodo della Riforma protestante anche  Martin Lutero utilizzò specificatamente la circoncisione come elemento  di disprezzo nei confronti degli ebrei. Nel 2001 in Svezia sono stati  varati diversi atti legislativi per regolamentare questa pratica  violando di fatto la libertà di praticare la circoncisione, con un  connubio di sostenitori dei diritti umani e atteggiamenti razzisti.  “Dichiararsi antisionisti non vuol dire essere antisemiti” è un altro  luogo comune sul quale si sofferma lo storico Claudio Vercelli. Si sente  spesso usare il termine “sionismo” senza alcun riferimento storico per  dare giudizi sulle forme dell’identità ebraica o sulle politiche di  Israele. Questo – spiega Vercelli – rende l’antisionismo un sinonimo  mascherato dell’antisemitismo, una delle forme contemporanee di  pregiudizio e ostilità verso gli ebrei. Cosa si può fare per smontare  questo luogo comune? “E’ fondamentale ricondurre il concetto di  “sionismo” agli eventi che lo hanno generato e lo hanno visto soggetto e  protagonista di un processo culturale ampio che ha coinvolto ebrei,  come anche non ebrei. E’ inoltre necessario sottolineare il carattere  plurale e ibrido del fenomeno:… sempre interconnesso ai contesti, alle  culture e alle trasformazioni generali”. Il capitolo affidato alla  giornalista Fiona Diwan si concentra su un assunto sentito nei contesti  più disparati: “Gli ebrei, nei paesi arabi, stavano bene prima che  nascesse Israele”. Chi ha letto i romanzi di Sami Michael o i saggi di  Georges Bensoussan non può fare a meno di riconoscere la falsità di  questo luogo comune perché dimentica la condizione di dhimmitudine che  vide per secoli gli ebrei sottomessi ai mussulmani, indifesi di fronte a  sanguinosi pogrom e umiliazioni perpetrate dai vicini arabi (con  qualche rara eccezione) senza alcuna protezione da parte delle autorità  governative quando non erano loro stesse ad incitare le violenze. “Come è  stato possibile che si facesse largo l’idea illusoria di una  “coesistenza felice” o la nozione ancor più stupefacente di “tolleranza  islamica”? ….L’odio per gli ebrei (e per Israele) viene da lontano –  riflette Fiona Diwan – non nasce con il 1948. Quello che vediamo oggi è  l’eco di un rifiuto antico e mai sopito, che ha solo cambiato vestito”. 
“L’ebreo inventato” è una raccolta di saggi, arricchita da note e  da una selezione di testi per ulteriori approfondimenti, che offre a  ogni cittadino gli strumenti per confutare con cognizione di causa  luoghi comuni e stereotipi e spezzare quella catena di pregiudizi che  ancora oggi avvolgono l’immagine del popolo ebraico. Una lettura  imperdibile per comprendere che “Le sfide della democrazia sono infatti  nella convivenza tra persone, comunità, religioni diverse, nel  riconoscimento e nel rispetto reciproco. Il sapere, le tradizioni, le  memorie, le identità non sono eredità intoccabili, ma riferimenti  indispensabili per un laboratorio di confronto e crescita comuni”. 
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Giorgia Greco