'Nel carnevale della storia', di Leonid Pljušč 31/01/2020
'Nel carnevale della storia', di Leonid Pljušč Commento di Diego Gabutti
Leonid Pljušč, Nel carnevale della storia, Mondadori 1978, pp. 598, 75oo lire.
Fuori catalogo da più di trent’anni, rintracciabile (avendo fortuna) soltanto su qualche bancarella o su eBay, l’autobiografia del dissidente sovietico Leonid Pljušč non è soltanto una preziosa testimonianza storica sull’epoca ormai remota (e oltretutto prudentemente cancellata dalla memoria) del Gulag e delle Siberie psichiatriche. È anche un vasto campionario d’ideologia russa. Tenendo fede al suo titolo, il libro mette davvero in scena (per lo più involontariamente) «il carnevale della storia». Come in un pentolone stregato, nel quale stia sobbollendo una zuppa d’ali di pipistrello, zampe di farfalla, occhi di rana e code di topo, nel memoir di Pljušč gorgoglia un minestrone di credenze irrazionali negli UFO e nella telepatia, di guerra alla burocrazia comunista nel nome del «vero comunismo», d’esoterismo à la Rasputin, di psicoanalisi raffazzonata, ma soprattutto d’antisemitismo, che era e rimane il tradizionale instrumentum regni delle autocrazie russe, dagli zar alle mummie del Soviet supremo (e a Putin). Fieramente antisemita in gioventù, come l’intero «komsomol» (la gioventù comunista) dell’Ucraina al quale aderisce fino ai primi anni sessanta, Pljušč non rimane antisemita a lungo ma registra con brutale esattezza il clima antisemita che permea l’URSS stalinista e post stalinista, sia tra gli squadristi al servizio dello Stato cannibale che tra gli oppositori, restii a farsi mettere in tavola con un rametto di rosmarino nelle orecchie e una mela in bocca. Agli occhi degli uni e degli altri, i nemici del popolo hanno spesso (per non dire invariabilmente) «brutti musi da giudeo». Nel delirio politico sovietico, gli ebrei coprono tutte le parti in commedia, esattamente come succedeva in Europa ai tempi di Hitler, quando i «giudei» erano nel medesimo tempo i burattinai del bolscevismo e i demoplutocrati che «regnano in segreto» su Wall Street e sulla City londinese. Quello russo, bolscevico o zarista, ma anche post comunista e putiniano, è sempre «uno stato antisemita», come scrive Pljušč dell’Unione sovietica in cui visse fino al 1976, quando ne fu espulso insieme alla moglie. Con un’avvertenza: l’antisemitismo russo è parte d’una costellazione più vasta e ramificata. In questa costellazione, a lato e a supporto delle fantasie «sociali» e religiose circa la natura del «giudaismo», brillano altre stelle, di seconda e prima grandezza, tutte nate dalla credulità e dalla superstizione, altrettante chimere che Pljušč spesso condivide. Ma al centro di tutto: l’antisemitismo, il solo vaneggiamento ideologico che Pljušč personalmente si vieti (ma non se lo vieta, ahinoi, Aleksandr Solženicyn, il principe dei dissidenti, né se lo era vietato Dostoevskij che per un momento, cent’anni prima, era stato un dissidente sotto lo zar). «All’inizio» scrive Pljušč «i “giudei” erano usurai, sanguisughe capitaliste, poi erano socialisti, e persino bolscevichi o cekisti, prima di diventare “cosmopoliti”e sionisti, ma erano sempre cattivi patrioti russi. Un certo Liebman, che parlava yiddish, si era specializzato nello spulciare le opere degli scrittori ebrei alla ricerca d’accenni di pietà per le sofferenze del popolo ebraico o anche solo della minima lode agli ebrei celebri come Einstein o Kafka (unica eccezione Marx, però senza esagerare). Quando Liebman trovava qualche traccia di cosmopolitismo-sionismo, la sua vittima filava in breve al campo o in prigione». In tribunale, agli occhi di giudici e procuratori, «non esistevano “ebrei sovietici”. Erano tutti giudei, “ultraebrei”, quinta colonna!» Morto ottantenne nel 2015, Pljušč rimane un leninista puro e duro anche a dispetto delle torture farmacologiche che gli sono state inflitte nelle Cayenne psichiatriche per dissidenti. Matematico, spiega «in lungo e in largo» ai suoi colleghi scienziati «perché la tesi dell’esistenza della vita su Marte sia la sola veramente marxista». Non solo, ma «si scanna» – benché «redattore e diffusore di samizadt» – «a dimostrare la giustezza del marxismo ai filosofi sovietici ufficiali» (tra questi annovera, snobbandoli un po’, «marxisti sartriani» e «marxisti teosofi»). Grande «esperto» di telepatia e di «poteri psi» (così li battezzò John W. Campbell, direttore della classica rivista americana di fantascienza Astounding Science Fiction, in un editoriale intitolato Psiamo pstufi di poteri psi) dichiara «nel corso di un pubblico dibattito che, avendo studiato il problema per molti anni, sono giunto alla conclusione che i fenomeni telepatici non esistono». E non perché lo pensi davvero, ma perché non vuole incoraggiare un «uso bellico» della telepatia, il potere extrasensoriale nel quale crede ciecamente e di cui non intende affatto «pstufarsi». Non a dispetto ma in ragione delle sue fantasticherie e bestialità pseudoscientifiche, Nel carnevale della storia è un libro importante. È un’opera, beninteso, decisamente minore, quanto a valore letterario, rispetto ai grandi classici della dissidenza sovietica, dai Racconti della Kolyma di Salamov all’Arcipelago Gulag di Solženicyn, dalle memorie di Vladimir Bukovskij (Il vento va, e poi ritorna, un libro straordinario, a sua volta fuori catalogo da un pezzo) ai due memoriali di Madežda Mandel’štam, vedova del poeta Osip Mandel’štam (Le mie memorie e L’epoca e i lupi). Nel carnevale della storia è non di meno un eccezionale documento politico e antropologico, che non si limita a illustrare, nei più atroci e terribili dettagli, la ferocia repressiva e il sadismo degli apparati sovietici di dominio: il partito, la scuola, i sindacati, la polizia politica e i servizi segreti, le case editrici, i tribunali. Pljušč fornisce anche la mappa d’una Russia segreta o finora poco esplorata: la Russia del sottosuolo, dove Karl Marx cammina a fianco di sciamani e alchimisti, le alte sfere del partito e l’intellighenzia accademica discettano di dischi volanti, Vladimir Putin abbatte una tigre bianca di gesso (come Tartarino di Tarascona, nel romanzo d’Alphonse Daudet, indossava una sahariana e abbatteva un leone impagliato) e intanto gli antisemiti pensano che «gli ebrei puzzano», che «i Savi Anziani di Sion non dormono mai e sono sempre all’opera» e che non c’è sogno più bello del sogno d’una Santa Russia restituita alla sua purezza da pogrom e sacrifici umani.