Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 19/09/2019, a pag.11, con il titolo "Missili sui sauditi Riad mostra le prove: 'Attacco dell'Iran' " la cronaca di Paolo Mastrolilli; dal FOGLIO, a pag. 1-2, con il titolo "Governo di guerra" il commento di Daniele Raineri.
Ecco gli articoli:
LA STAMPA - Paolo Mastrolilli: "Missili sui sauditi Riad mostra le prove: 'Attacco dell'Iran' "
Paolo Mastrolilli

Donald Trump
Il bombardamento della raffineria Aramco di Abqaiq «è stato un attacco iraniano», classificato come «atto di guerra». Le accuse lanciate ieri dal segretario di Stato americano Pompeo sembrano indirizzare la risposta sul piano militare, ma finora il presidente Trump si è limitato ad annunciare nuove sanzioni. Il colonnello Turki Al Maliki, portavoce del ministero della Difesa saudita, ieri ha mostrato i resti delle armi usate nell'operazione. Secondo Riad, 18 droni hanno preso di mira il primo obiettivo, e 7 missili il secondo, ma 3 di essi lo hanno mancato. Al Malki ha detto che «l'attacco è stato lanciato dal Nord, ed è stato indubitabilmente sponsorizzato dall'Iran». Il portavoce saudita, però, non ha accusato direttamente la Repubblica islamica di averlo condotto.
«Gli houthi mentono» Pompeo ieri è andato in Arabia per discutere la risposta al bombardamento, e poco prima di arrivare a Jedda ha detto ai giornalisti di essere sicuro della matrice: «Gli houthi che hanno rivendicato l'azione mentono, perché noi sappiamo che non possiedono queste armi nel loro arsenale». Il segretario di Stato ha spiegato che «la mia missione qui è lavorare con i nostri partner nella regione, e lo faremo anche con gli europei. La scopo è costruire una coalizione per sviluppare un piano di deterrenza». Trump ha già annunciato via Twitter una rappresaglia economica: «Ho appena istruito il segretario al Tesoro per incrementare sostanzialmente le sanzioni contro l'Iran!». I dettagli dei provvedimenti non sono noti, ma attraverso la strategia della «massima pressione», Washington si era già impegnata ad azzerare le esportazioni di petrolio di Teheran.
Le rappresaglie economiche Il problema dunque è che i margini di manovra sul piano economico sono ridotti, e l'ex capo della Cia durante l'amministrazione Obama, Brennan, ha fatto notare come «le recenti aggressioni della Repubblica islamica sono state provocate proprio dall'abbandono dell'accordo nucleare e dall'imposizione di nuove sanzioni. Quindi non si capisce perché altre sanzioni dovrebbero fermarle». Gli ayatollah, in sostanza, provocano proprio perché vogliono eliminare questa misure, o spingere gli europei a bilanciarle. La via della rappresaglia economica, però, è stata criticata anche negli ambienti repubblicani. Il senatore Lindsey Graham, stretto alleato del presidente, ha detto che «una risposta misurata sarebbe vista dal regime iraniano come un atto di debolezza». Trump, che ha appena sostituito il consigliere per la sicurezza nazionale Bolton perché era troppo aggressivo contro l'Iran e non voleva alleggerire le sanzioni per favorire il dialogo col presidente Rohani, ha risposto così: «No Lindsey, è stato un segno di forza, che certe persone proprio non capiscono». Quindi, parlando a fianco del nuovo consigliere Robert O'Brien, ha aggiunto: «Se dovremo fare qualcosa, la faremo senza esitazione. Abbiamo molte opzioni, inclusa quella finale». Ossia la guerra, che però finora ha cercato attentamente di evitare.
Niente visto per Rohani L'Assemblea Generale dell'Onu potrebbe offrire un'occasione per mediare la prossima settimana, ma Rohani ha minacciato di disertarla perché gli Usa non hanno ancora concesso i visti alla sua delegazione. Il segretario generale Guterres ha detto che sta lavorando per superare il problema, e ha inviato investigatori in Arabia: «Uno scontro nel Golfo - ha avvertito - avrebbe conseguenze devastanti per la regione e globali».
IL FOGLIO - Daniele Raineri: "Governo di guerra"
Daniele Raineri
Roma. Ora che l’attacco disastroso contro le raffinerie saudite è stato messo a fuoco meglio e si è scoperto che si è trattato di un’operazione militare iraniana partita dal territorio dell’Iran viene facile il collegamento con un’altra operazione iraniana contro Israele fallita appena tre settimane prima. Andiamo con ordine. Nel caso dell’Arabia Saudita gli iraniani hanno fatto decollare uno sciame di droni carichi di esplosivo, li hanno guidati contro raffinerie a oltre seicento chilometri di distanza e hanno coordinato il loro arrivo con il lancio di alcuni missili da crociera – sono quelli che volano molto bassi, a differenza di quelli balistici che fanno lunghe traiettorie molto prevedibili ma arrivano più lontano – in modo che droni e missili convergessero sui bersagli più o meno nello stesso momento e bucassero le difese antiaeree saudite, che costano miliardi di dollari. Nel caso di Israele gli iraniani hanno tentato un’operazione molto simile sabato 24 agosto. Come punto di lancio per i droni hanno scelto una zona aperta nel sud della Siria, vicino alle alture del Golan. In teoria, se avessero avuto successo i droni avrebbero potuto raggiungere qualsiasi punto di Israele – che da nord a sud è lungo soltanto 470 chilometri, quindi meno del volo che i droni hanno compiuto per l’attacco contro i sauditi. Ma gli israeliani sorvegliavano l’area di lancio oltre confine, come si capisce dal fatto che hanno un video notturno della squadra che prepara il decollo dei droni e hanno bombardato quella zona con gli aerei. Alcuni uomini della squadra sono stati uccisi. Inoltre la stessa notte due droni – al - meno uno dei quali era armato con una carica esplosiva – sono stati mandati a schiantarsi contro un edificio del gruppo libanese Hezbollah a Beirut (Hezbollah è finanziato e armato dall’Iran) Il dettaglio interessante è che quel modello di drone usato nell’attacco contro Hezbollah dev’essere controllato da qualcuno che sta in un raggio di non più di cinque chilometri, quindi dentro la città – o forse in mare, ma non molto al largo. Nessuno rivendica nulla in questa guerra non ufficiale, ma è possibile pensare che dopo avere bloccato un attacco con i droni contro il proprio territorio gli israeliani abbiano mandato due droni contro Hezbollah come rappresaglia. In breve: le Guardie rivoluzionarie del generale Qassem Suleimani – che si occupa delle missioni all’estero – nel giro di un mese hanno fallito la prima operazione ma hanno avuto successo al secondo tentativo, in nome del governo iraniano che ha esplicitamente affermato di voler sabotare la produzione di greggio nella regione come risposta alle sanzioni che lo colpiscono. Questo è il contesto in cui avverrà il cambio di governo in Israele, dopo le elezioni di martedì. Il primo ministro Benjamin Netanyahu in questi anni ha visto la regione cambiare volto. Il rais siriano Bashar el Assad, che prima negoziava con gli israeliani grazie alla mediazione del turco Erdogan, ora è acerrimo nemico di Erdogan e ha un debito enorme con l’Iran (che l’ha salvato assieme alla Russia dalla guerra civile). Qualche anno fa operazioni militari iraniane dal sud della Siria sarebbero state considerate troppo sfacciate e poco realistiche, oggi sono la normalità. Qualche anno fa un attacco diretto da parte dell’Iran contro le infrastrutture per la produzione del greggio in Arabia Saudita – pure se non rivendicato: sono “calunnie” dice il governo iraniano – sarebbe stato considerato il preludio a una guerra, ma non è questo il caso. Netanyahu ha ordinato una escalation per rispondere alla pressione. Prima centinaia di raid aerei contro bersagli in Siria – spesso bersagli non siriani, nel senso che appartenevano al gruppo Hezbollah oppure all’Iran – e poi l’allargamento delle missioni all’Iraq (anche se questo allargamento non è riconosciuto in via ufficiale) e forse pure allo Yemen. E’ molto probabile che il prossimo governo israeliano sceglierà la continuità e quindi l’estensione della campagna e della guerra non dichiarata con l’Iran.
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