Antisemitismo di sinistra e Pogrom
Commento di Diego Gabutti
Ucraina, 1861. Narodnaja Volja, o volontà del popolo, il partito russo del terrore che poco tempo prima ha messo a segno il più clamoroso degli attentati, l’uccisione dello zar, comincia a perdere colpi. Al popolo i populisti non sono mai piaciuti, e adesso non piacciono neanche più all’intelligencija liberale, che fino a quel momento – come Dostoevskij racconta nei Demoni, un romanzo del 1873 – ha tifato e stravisto per loro. Bersagli grossi non ce ne sono più, quelli piccoli non impressionano né commuovono nessuno, e «il popolo» non accenna neppure a sollevarsi, come per anni hanno fantasticato i killer e gli strateghi del Comitato esecutivo (le cui imprese non hanno soltanto affatturato Karl Marx, al quale è bastato che i populisti lodassero Il Capitale perché lui lodasse loro, ma hanno abbagliato, si racconta, persino la Regina Vittoria, che nella famiglia reale russa conta più d’un parente, anche stretto). Morto lo zar, se ne è fatto un altro, e i terroristi, socialismo populista e tutto, sono in fuga. Che fare? Narodnaja Volja, allo scopo di restare politicamente in campo e d’addestrare il popolo alla rivoluzione, compie quello che si rivelerà un gesto originario. Indirizza un manifesto «al buon popolo e a tutta la gente onesta d’Ucraina», come racconta lo storico Adam B. Ulam in un grande libro, In nome del popolo (Garzanti 1978).
Nel manifesto si legge che «è soprattutto per colpa degli ebrei che il popolo ucraino soffre. Chi ha arraffato tutte le terre e le foreste? Chi è il padrone di tutte le taverne? L’ebreo! (…) Da qualunque parte si vada, qualsiasi cosa si faccia, s’incontra sempre l’ebreo. È l’ebreo che ti comanda e t’imbroglia, è l’ebreo che succhia il sangue dei contadini». Più tardi, mentre la crisi della setta terrorista s’aggrava, Narodnaja Volja si consola spiegando ai lettori della stampa clandestina che la rivoluzione, allegri, è sempre in marcia, visto che «il numero delle persone processate sotto l’accusa d’aver insultato lo zar è cresciuto in maniera incoraggiante». Più incoraggiante ancora, esulta quel che rimane del Comitato esecutivo, è che «un terzo della Russia» sia stato «sconvolto da tumulti antiebraici». Antisemiti a tavolino, i radicali russi promuovono e incoraggiano i pogrom per calcolo politico, non per pregiudizio ideologico o religioso. È l’ouverture del XX secolo e dei suoi particolari orrori, tra i quali spicca per speciale infamia l’antisemitismo di sinistra, che ebbe Narodnaja Volja tra i suoi pionieri, e che da allora non ha più smesso di mettere le fissazioni antisemite in ghingheri, travestendole prima da lotta di classe, quindi da antisionismo, oggi da moderna «sempliciotteria» populista. Socialismo degl’imbecilli, antimperialismo cialtrone, praticato indifferentemente da islamisti e marxisti, da guardie rosse e da guardie nere, l’antisemitismo di sinistra ha oggi più seguaci di quanti ne abbia mai avuti l’antisemitismo classico, quello «biologico» e/o «metafisico» (per dirla da imbecille). C’è stata sempre, del resto, una vena d’antisemitismo di sinistra (l’ebreo che governa la finanza internazionale, il «cosmopolita» inviso agli stalinisti perché ha troppi parenti all’estero e parla troppe lingue) anche nell’antisemitismo più classicamente invasato e delirante. Se l’antisemitismo di sinistra, fin dai tempi di Narodnaja Volja e di Bakunin, un altro mangiaebrei russo diventato un’icona della sinistra radicale, ha tutto questo successo, è perché l’antisemitismo «sociale» è una di quelle teorie, come il marxismo e la psicanalisi, che spiegano tutto e s’imparano senza fatica e in pochi minuti, tipo le rime del Corriere dei piccoli. Esattamente come «il plusvalore» e «i complessi», che si spiegano da sé con meno parole di quante ne occorrano a Wikipedia per illustrare la voce «capro espiatorio», anche «l’ebreo» spiega tutto. È colpa sua, dell’ebreo, quando non è colpa dello sfruttamento capitalistico o delle madri falliche, se le cose vanno male nel mondo e in particolare a Tizio e Caio, eterne vittime di qualcun altro o di qualcos’altro. Sempre più spesso, anzi, è colpa di tutte queste Furie insieme, dell’ebreo e del trauma originario, della NATO e dei contratti a tempo determinato, di Edipo e di George Soros. È questa zuppa inverosimile di snobismi culturali in stile Repubblica e d’incitamenti alla violenza politica e religiosa («evviva i Gilets jaunes», «bin Laden non aveva tutti i torti») in stile partiti populisti in costante crescita elettorale che l’intelligencija deviata di Narodnaja Volja ha lasciato in eredità al mondo. Snobismi culturali, incitamenti alla violenza e – soprattutto – calcoli politici, da giocatori di scacchi mentalmente disturbati. «Personalmente» – scrive uno dei terroristi, citato da Ulam – «non avevo niente contro gli ebrei, naturalmente, ma i miei pensieri, i miei sentimenti s’identificavano con quelli del popolo, e contavo le ore, i minuti che mancavano all’inizio del pogrom». Ma niente: i contadini desistono, il pogrom si sgonfia. «Non c’era più nulla da attendersi», lamenta il terrorista, deluso, «ed è col cuore carico di rimpianto che ho lasciato il villaggio».
Diego Gabutti
Già collaboratore del Giornale (di Indro Montanelli), diSette (Corriere della Sera), e di numerose testate giornalistiche, corsivista e commentatore diItalia Oggi, direttore responsabile della rivista n+1 e, tra i suoi libri: Un’avventura di Amadeo Bordiga (Longanesi,1982), C’era una volta in America, un saggio-intervista-romanzo sul cinema di Sergio Leone (Rizzoli, 1984, e Milieu, 2015); Millennium. Da Erik il Rosso al cyberspazio. Avventure filosofiche e letterarie degli ultimi dieci secoli (Rubbettino, 2003). Cospiratori e poeti, dalla Comune di Parigi al Maggio'68" (2018 Neri Pozza ed.