La politica estera dadaista
Commento di Diego Gabutti
Un'opera dadaista
Già non era facile difendere la politica estera dei partiti della prima repubblica, quando il segretario socialista Bettino Craxi tifava per Arafat (pensava che la sua kefiah fosse una specie di poncho garibaldino e Settembre Nero l’equivalente palestinese della Giovane Italia mazziniana) e Giulio Andreotti, tornando da Mosca all’epoca della crisi dei missili di teatro in Europa, con gli SS-20 sovietici puntati sulle nostre città, dichiarava che il ministro degli esteri russo, il roccioso Andrej Andreevič Gromyko, gli aveva affidato un messaggio: «Ricordatevi di Pompei». Già allora c’era un lato oscuro nella politica estera italiana. Berlusconi, al suo turno, non fu da meno, anche se a giustificare le sue mosse sulla scacchiera internazionale (il lettone di Putin, le corna ai summit internazionali, la fedeltà atlantica, i «buh» da dietro un cespuglio ad Angela Merkel) non furono l’ideologia e nemmeno l’interesse nazionale ma il suo fermo proposito, un vero e proprio stile di vita, d’essere sempre e ovunque l’anima della festa, per metà Grande Gatsby e per metà Massimo Boldi. Peggio, naturalmente, e altrettanto ballerini, i governi di centrosinistra della seconda repubblica, quando D’Alema presidente del consiglio appoggiava platealmente la guerra di Bill Clinton nel Kossovo e D’Alema ministro degli esteri, pochi anni più tardi, marciava contro Israele e l’imperialismo americano a Beirut.
Massimo D'Alema sotto braccio ai boss terroristi di Hezbollah (Beirut, Libano, 2006)
Non soltanto difendere, o anche solo capire, la politica estera italiana è stato sempre difficile, per non dire impossibile, ma c’è sempre voluta una bella sospensione dell’incredulità (come per leggere fumetti di supereroi e il Fatto quotidiano) per prenderla sul serio. Berlusconi, almeno, sapeva di raccontare barzellette quando intratteneva gli ospiti in visita di Stato, e anche Andreotti, quando attribuiva a Gromiko la battuta su Pompei, sapeva di ricorrere a un calembour, per quanto macabro e sgradevole. Ma i nostri leader attuali, che tifano contemporaneamente per Putin e per Trump, nella presunzione infondata che siano entrambi, e non soltanto lo zar di tutte le Russie, esponenti di quella che i loro amici sovranisti dell’est, contemporaneamente eredi del marxleninismo e del fascismo, chiamano «democrazia illiberale»? Sono gli stessi leader che non sanno distinguere tra Cile e Venezuela e che anni fa, in visita ufficiosa a Pyongyang, prima d’essere miracolati alle elezioni del 2018 e 2019, dichiaravano alla stampa italiana che la Corea del Nord, «pulita, senza criminalità, prostituzione zero, è come la Svizzera…» (Guglielmo Tell si sarà rivoltato nella tomba). Nessun paese al mondo ha dei leader convinti che la Russia sia un paese mediterraneo. Noi sì, e il mondo ce li invidia, e un po’ forse anche se ne preoccupa. Chissà se c’invidia o si preoccupa d’Alessandro di Battista detto «Dibba», leader pentastellare al momento in panchina, che insieme al suo intero partito tifa per il chavista Maduro contro il popolo venezuelano (o cileno? ah, saperlo!) e che considera il terrorismo islamista «la sola arma rimasta a chi si ribella». Che fare, si domanda, «se a bombardare il mio villaggio è un aereo telecomandato»? Be’, «per difendermi ho una sola strada», ragazzi: «caricarmi d’esplosivo e farmi saltare in aria in una metropolitana». Signori, la politica estera italiana. L’è el dì di matt, alegher.
Diego Gabutti
Già collaboratore del Giornale (di Indro Montanelli), diSette (Corriere della Sera), e di numerose testate giornalistiche, corsivista e commentatore di Italia Oggi, direttore responsabile della rivista n+1 e, tra i suoi libri: Un’avventura di Amadeo Bordiga (Longanesi,1982), C’era una volta in America, un saggio-intervista-romanzo sul cinema di Sergio Leone (Rizzoli, 1984, e Milieu, 2015); Millennium. Da Erik il Rosso al cyberspazio. Avventure filosofiche e letterarie degli ultimi dieci secoli (Rubbettino, 2003). Cospiratori e poeti, dalla Comune di Parigi al Maggio'68" (2018 Neri Pozza ed.)