Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Siria e Sinai: le frontiere che Israele deve tenere sotto controllo Analisi di Daniele Raineri
Testata: Il Foglio Data: 06 febbraio 2018 Pagina: 1 Autore: Daniele Raineri Titolo: «Stato d’assedio»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 06/02/2018, a pag. 1 con il titolo "Stato d’assedio" l'analisi di Daniele Raineri.
Daniele Raineri
Roma. Scrive l’ex corrispondente del New York Times al Cairo, David Kirkpatrick, che droni, elicotteri da guerra e jet di Israele hanno colpito per più di cento volte le posizioni dello Stato islamico nel Sinai, per aiutare l’Egitto nella guerra al gruppo terroristico, a partire dal 2015 – grazie a un accordo segreto con il presidente Abdel Fattah al Sisi. I guerriglieri islamisti infestano la penisola desertica del Sinai, posta tra il resto dell’Egitto e il confine sud di Israele, dove in virtù di accordi di pace risalenti agli anni Settanta entrambi gli stati non dovrebbero fare manovre militari. Invece entrambi violano quelle vecchie misure di sicurezza e danno la caccia agli uomini del cosiddetto Wilayat Sinai (si pronuncia Sainà in arabo), la divisione locale dello Stato islamico nata nel novembre 2014. Israele non riconosce dal punto di vista ufficiale queste operazioni militari, come fa anche con i bombardamenti contro le posizioni del gruppo Hezbollah in Siria, ma secondo le fonti sentite dal New York Times ha colpito “più di cento” volte. Che Israele desse la caccia agli uomini dello Stato islamico nel Sinai non era più un segreto per nessuno da tempo, ma colpisce questo numero dato per la prima volta, “più di cento”, perché è lo stesso numero fornito da un generale israeliano pochi mesi fa quando ha descritto anche in quel caso per la prima volta i bombardamenti però in Siria, cominciati nel gennaio 2013.
La penisola del Sinai
Questo vuol dire che da anni l’aviazione israeliana colpisce in media ogni dieci giorni sul versante egiziano contro lo Stato islamico e ogni diciotto giorni sul versante siriano per mitigare la minaccia dell’Iran e dei suoi alleati. E’ una doppia campagna di guerra che va avanti senza troppo rumore ma rende l’idea di pericoli permanenti, di una situazione minacciosa, che se non fosse tenuta sotto controllo diventerebbe pure peggiore e finirebbe per assomigliare a uno stato d’assedio. L’esercito egiziano ha subito negato la cooperazione, perché i governi arabi sono spesso in grave imbarazzo a spiegare che fanno accordi con il governo di Gerusalemme dopo decenni spesi in durissima propaganda anti israeliana. Del resto l’Egitto vive in questa stagione una difficoltà particolare a essere rappresentato come vorrebbe, vedi per esempio il caso delle elezioni, dove il presidente al Sisi stenta a trovare uno sfidante credibile, oppure il caso dell’omicidio del ricercatore italiano Giulio Regeni, rimasto impunito. Ma questa intesa militare nel Sinai fa parte di un cambiamento generale che riguarda tutta la regione, ci sono stati segnali di disgelo importanti tra Israele e l’Arabia Saudita per esempio. E’ probabile che i droni israeliani colpissero nel Sinai anche prima dell’accordo del 2015, soprattutto dopo l’attacco islamista che nell’agosto 2012 uccise otto soldati israeliani su un bus vicino al confine, ma secondo la solita procedura non ci sono informazioni ufficiali.
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