Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
West Bank e Gaza: per ora non è scoppiata nessuna 'intifada' Analisi di Rolla Scolari
Testata: La Stampa Data: 12 dicembre 2017 Pagina: 6 Autore: Rolla Scolari Titolo: «Malcontento sociale e divisioni politiche fiaccano l'appello alla terza intifada»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 12/12/2017, a pag.6, con il titolo "Malcontento sociale e divisioni politiche fiaccano l'appello alla terza intifada" il commento di Rolla Scolari.
Rolla Scolari
Subito dopo l’annuncio dell’amministrazione Trump del trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme, Hamas - il gruppo islamista palestinese che controlla Gaza - ha chiesto ai suoi seguaci d’innescare una terza Intifada. Ci sono state manifestazioni nei Territori palestinesi della Cisgiordania e a Gaza, a Gerusalemme Est, la parte araba della città. Eppure, benché le violenze temute ci siano state, sono comunque risultate più contenute e meno sanguinose del previsto. Dopo la preghiera islamica di venerdì, tra Gerusalemme Est e Territori palestinesi secondo i dati delle autorità israeliane sono scese in piazza circa 3.000 persone, sabato il numero era sceso a 500, e domenica era inferiore. E se è troppo presto per fare bilanci, se la situazione resta a rischio e il minimo incidente può innescare terribili violenze, allo stesso tempo gli osservatori riflettono sull’utilizzo del termine Intifada: sollevamento, rivolta. «Terza Intifada» è un titolo che ricompare ogni volta che scoppiano scontri tra israeliani e palestinesi, come nel settembre 2015 e a luglio. Eppure, il quotidiano israeliano «Yedioth Ahronoth» ha fatto notare come ci siano stati «migliaia di like online», e meno manifestanti in strada, mentre sul tabloid «Israel Hayom», vicino alla destra, Oded Granot ha spiegato come «la scarsezza della violenza mostri come i palestinesi non siano interessati a un’altra Intifada». Muhammad Shehada, giovane attivista palestinese originario di Gaza, scrive sul quotidiano liberal israeliano «Haaretz» come una terza Intifada «non sia nell’interesse né di Hamas né dell’Autorità nazionale palestinese» (Anp) e lo stesso giornale, in un altro articolo, racconta in tre punti «perché non ci sarà una terza Intifada»: mancano gli elementi delle sommosse del 1987 e del 2000. Oggi, i palestinesi a Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est sono più divisi di allora, sia geograficamente sia politicamente, spiega «Haaretz». Da parte sua, Fatah, il partito del rais Abu Mazen che controlla la Cisgiordania, non ha intenzione di mettere in forse i suoi accordi di sicurezza con Israele, che garantiscono lo stipendio regolare a centinaia di membri degli apparati militari e delle forze dell’ordine, e permettono di arginare il rivale politico Hamas. Non è un caso che il giornale palestinese al-Ayyam, vicino a Fatah, abbia ripubblicato un editoriale del 2012 in cui si auspica un’«intifada calma». L’Autorità palestinese ha chiesto infatti alla popolazione di scendere in strada, ma in maniera pacifica, e agenti e poliziotti hanno lavorato al controllo del territorio e non, come accaduto nella seconda intifada nel 2000, abbandonato l’uniforme per unirsi agli scontri. Dall’altra parte, Hamas ha chiamato all’intifada, ma in Cisgiordania e Gerusalemme Est, non nella sua Gaza, perché come l’Anp il movimento non può permettersi oggi caos in casa. L’accordo raggiunto da poco dagli islamisti con i rivali di Fatah significa la fine del blocco economico sulla Striscia da parte di Egitto e Israele, la riattivazione della debole economia locale e quindi un auspicato indebolimento del malcontento sociale interno che mina la sua autorità. «Ci sono molta disperazione e rabbia palestinesi davanti alla mancanza di prospettive di progresso diplomatico e sulla fine dell’occupazione – scrive Haaretz – ma ci sono anche pragmatismo politico e la necessità di guadagnarsi da vivere».
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