Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Le ideologie rendono ciechi, con Trump si cambia fiamma Nirenstein, trump, gerusalemme
Testata: Il Giornale Data: 09 dicembre 2017 Pagina: 13 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Onu, rottura Europa-Onu. Pure l'Italia contro Trump»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 09/12/2017, a pag.13, con il titolo "Onu, rottura Europa-Onu. Pure l'Italia contro Trump" l'analisi di Fiamma Nirenstein
Fiamma Nirenstein
La mossa di Donald Trump che ha scioccato tutti quelli che sono abituati a dire «Israele» pronunciando in un solo fiato «occupazione», ha un fine e uno sfondo che molta parte della stampa e della politica europea ignora, e tutta l'opinione pubblica islamica preferisce criminalizzare, per ora. Ma in prospettiva il riconoscimento di Gerusalemme come capitale d'Israele è destinato a chiamare in causa positivamente la parte dinamica dei palestinesi e forse buona parte del mondo sunnita. Ieri Ha'aretz ha reso noto che la Casa Bianca ha invitato il presidente palestinese Abu Mazen, mentre è in arrivo il vice di Trump, Mike Pence, che avrebbe dovuto incontrare a Betlemme il rais. Ma è stata la voce rauca di Jibril Rajoub, molto influente quando si tratta di dichiarare Israele assassino, che ha cancellato l'incontro. Che cosa vogliono fare dunque i palestinesi? Per ora le prese di posizione sono durissime, anche se quella iraniana le supera per desiderio di morte («Metteremo fine immediata al criminale regime sionista rimuovendo il tumore»). In realtà Trump non ha compiuto la sua mossa senza una serie di ragioni. Prima di tutto, anche se ora sauditi ed egiziani per onore di bandiera si dicono indignati, in prospettiva è difficile che si tirino indietro da un'alleanza con gli Usa che li garantisce rispetto al loro peggiore nemico, l'Iran, e anche che abbandonino gli interessi comuni con Israele. E più facile immaginare che Trump abbia in mente più avanti che il mallevadore di quella pace realistica che ha dichiarato di volere avviare sia l'Arabia Saudita col suo piano che risale al 1981, e che il suo piano mediorientale preveda una divisione per zone di influenza con la Russia. La scelta di Trump di lasciare che Israele goda di avere la sua capitale non vuole pregiudicare la possibile suddivisione di Gerusalemme che potrà nascere da una trattativa. La data del passa o dell'ambasciata è lontano, la richiesta di preservare lo status quo pressante. «La scelta non è conforme alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza -, dicono gli ambasciatori di Francia, Regno Unito, Italia, Svezia e Germania all'Onu isolando gli Usa - Non promuove la prospettiva di pace nella regione». Trump non si è presentato con arroganza, ma la scelta ha uno sfondo strategico: martedì la Camera ha passato il Taylor Force Act, dal nome del cittadino americano pugnalato a morte nel 2016, in cui si stabilisce che i 280 milioni di dollari che gli Usa versano per assistere i palestinesi saranno ridotti di molto, a meno che Abu Mazen non rinunci a sussidiare i terroristi in carcere e le loro famiglie. E una svolta rispetto alla risoluzione del consiglio di sicurezza che Obama fece votare dichiarando i luoghi più santi dell'ebraismo «territori occupati». La stanchezza dei palestinesi, il desiderio di uscire dalla trappola che si sono creati da soli con una lettura islamista della presenza israeliana nella zona potrebbe esser superata. Trump spera che la leva da lui usata riponi un po' di buon senso. L'ideologia rende ciechi, e l'America forse non la individua in tutto il suo rischio. Chissà se Abu Mazen accetterà l'invito, ma sembra difficile.
Per inviare al Giornale la propria opinione, telefonare: 02/85661, oppure cliccare sulla e-mail sottostante