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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Bet Magazine Rassegna Stampa
11.09.2017 Cyril Aslanov: Israele, la lingua e l'identità ebraica
Commento di Ilaria Myr

Testata: Bet Magazine
Data: 11 settembre 2017
Pagina: 11
Autore: Ilaria Myr
Titolo: «Aslanov: 'una rivoluzione culturale e linguistica chiamata Israele'»

Riprendiamo dal BOLLETTINO della Comunità ebraica di Milano, settembre 2017, a pag. 11, con il titolo "Aslanov: 'una rivoluzione culturale e linguistica chiamata Israele' " il commento di Ilaria Myr.

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Cyril Aslanov

Sono due, secondo il filosofo Gershom Scholem, le grandi innovazioni che il sionismo ha portato nella storia e nell’identità ebraica: la prima è che essa ha permesso al popolo ebraico di tornare, dopo molti secoli, a essere soggetto della propria storia, invece che oggetto in balia del buono o cattivo volere delle nazioni. La seconda riguarda la scelta dell’ebraico come lingua moderna ufficiale di questo nuovo Stato-nazione, che da idioma liturgico e dotto è diventato moderno, quotidiano e vivo». La nascita di Israele costituisce una linea spartiacque nella vita ebraica secondo lo studioso Cyril Aslanov, studi di filologia greca e di linguistica alla Sorbona e alla Ecole Normale Superiore di Parigi (rue d’Ulm), ex docente alla Hebrew University di Gerusalemme, professore oggi a Aix-Marseille Université nonché membro dell’Accademia della Lingua ebraica e docente di Letteratura del Corso di Laurea triennale in Studi ebraici dell’UCEI, che parteciperà il 10 settembre a Milano alla Giornata europea della cultura ebraica con un intervento intitolato “Diaspore in cammino: lingue e identità alla deriva”.

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Gershom Scholem

«Prima di questa trasformazione fondamentale sono sempre esistite metropoli ebraiche importanti - continua Aslanov -: Alessandria d’Egitto, Babilonia, e più tardi Al-Andalus, cioè la Spagna arabo-musulmana, e, ancora, la Grande Polonia del XVI-XVII secolo: ognuna di queste aree è stata, a suo tempo, il centro a cui molti ebrei volgevano gli occhi. Quello che però avviene di rivoluzionario con Israele è che dal 1948 gli ebrei hanno un unico luogo dove vivere e riunirsi». Attenzione, però, a non cadere nella trappola diffusa di considerare la diaspora come prerogativa del popolo ebraico, avverte Aslanov: armeni nel Medioriente, cinesi nell’Asia sudorientale e altre popolazioni minoritarie hanno da sempre avuto un destino simile a quello degli ebrei, molto spesso per motivi commerciali. Come spiega lo studioso: «sono molte le realtà - fra cui anche quella ebraica -, che, sotto la spinta degli eventi, hanno dovuto fare di necessità virtù, reinventando la propria vita, e trasformando così la sciagura dello sradicamento nel vantaggio della mobilità nell’ambito di una rete transnazionale ben organizzata». Quello che certamente ha da sempre caratterizzato la diaspora ebraica è infatti il fatto di essere “transnazionale”, cioè basata su forti scambi e legami indipendenti dalla vicinanza geografica.

Che fosse per sposarsi con persone della propria origine, per gestire affari commerciali o per scegliere la yeshivà migliore dove studiare, gli ebrei hanno sempre agito basandosi su reti di conoscenze - dirette o indirette, ma comunque ritenute affidabili - che davano sicurezza anche se portavano a viaggiare o trasferirsi altrove. «Basti pensare agli ebrei portoghesi – continua Aslanov -, che ad Amsterdam tendevano ad avere contatti solo con connazionali, preferendo addirittura trattare con conoscenze ancora residenti in Portogallo - alcune volte recandosi fisicamente in quella “terra di idolatria” e fingendo provvisoriamente di essere cattolici per nascondere la propria identità ebraica - piuttosto che avere a che fare con i propri correligionari askenaziti della città olandese». E la lingua? Fino alla creazione della grande “casa nazionale” gli ebrei nel mondo avevano in comune solo l’uso dell’ebraico nella liturgia e nella cultura religiosa, ma ogni centro diasporico aveva la sua lingua quotidiana, basata su quella del luogo di origine. Si creava quindi una “diglossia”, un bilinguismo fra sfera culturale e religiosa e vita quotidiana con, in quest’ultima, alcuni casi di “ebraicizzazione” (si pensi al giudaico-romanesco o al ladino). Dal 1948, però, Israele è diventato, insieme agli Stati Uniti, il polo intorno al quale gravita l’identità ebraica mondiale, con conseguenze anche sulla sfera linguistica. «A seconda del Paese, si è più vicini a Israele o agli Usa - spiega-: l’Italia, ad esempio, è più attratta dallo Stato ebraico, mentre il Venezuela è più orientato verso gli Stati Uniti. In ogni caso, un fatto è certo: l’ebraismo di oggi non può prescindere da uno di questi due poli».

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bollettino@tin.it

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