venerdi 20 giugno 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
15.04.2016 Quando l'industria della moda si sottomette alla sharia
Commento di Annalena Benini

Testata: Il Foglio
Data: 15 aprile 2016
Pagina: 1
Autore: Annalena Benini
Titolo: «Tutto il fashion della sharia»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 15/04/2016, a pag. 1, con il titolo "Tutto il fashion della sharia", il commento di Annalena Benini.

Immagine correlata
Annalena Benini


Moda o sottomissione?

Quando le case di moda europee promuovono l’immagine di ragazze emaciate, probabilmente anoressiche, diciamo che è pericoloso per la salute delle giovani donne. E quando pubblicizzano e vendono costumi da bagno islamici che non lasciano scoperti nemmeno collo e caviglie, e hijab di lusso, e linee di abbigliamento adatte al Ramadan (sotto le gonne lunghe, i leggings, per non turbare gli uomini) si può ancora rispondere che gli affari sono affari, e che questo libero mercato promette spazi di guadagno in incredibile aumento, precisamente, secondo il rapporto Reuters, quattrocentottantaquattro miliardi di euro entro il 2019? “La posta in gioco è il controllo sociale sui corpi delle donne”, ha detto Laurence Rossignol, ministro francese per le Famiglie, i bambini e i diritti delle donne, “quando marchi europei investono nel redditizio mercato della moda islamica si sottraggono alle loro responsabilità e promuovono una condizione in cui le donne musulmane sono costrette a indossare abiti che imprigionano il corpo dalla testa ai piedi.

Come se non ci fosse alcun legame tra l’abbigliamento e lo stile di vita”. La Francia ha una posizione netta, avendo vietato il burqa nel 2011, e la Corte europea dei diritti dell’uomo ha confermato questo divieto nel 2014. Elisabeth Badinter, filosofa e femminista francese, in un’intervista al Monde ha chiesto di boicottare i marchi (Dolce&Gabbana, H&M, Marks&Spencer, Uniqlo, DKNY, Tommy Hilfiger, Oscar de la Renta, Monique Lhuillier) che traggono profitto da questa moda velata e copertissima, perché crea una “crescente pressione islamica”, con il risultato che “il velo si diffonde tra le figlie del nostro vicinato”. Ma è giusto, è coerente con le regole della libertà, decidere che un hijab non si può vendere, o che un perizoma con i brillanti non va pubblicizzato? Secondo Catherine Bennet, editorialista del Guardian, “è legittimo chiedersi perché il business laico della moda dovrebbe produrre abbigliamento per donne per le quali uomini religiosi hanno già disegnato l’intero mercato”. Il New York Times si chiede se la moda debba promuovere una specifica espressione estetica di libertà.

Commentatori americano-musulmani sostengono che questo sia invece un modo per integrare e normalizzare l’islam: vendere costumi da bagno (più che costumi da bagno: tende dentro cui nascondersi e sparire senza nemmeno la possibilità di essere riconosciute dalla pettinatura) nei negozi occidentali, attraverso uno specifico marketing che faccia sentire questo modo di vivere e vestire più accettato, più accolto. Il Daily Mail ha celebrato così il burkini Marks&Spencer: “La prova definitiva che la Gran Bretagna è davvero multiculturale”. Anche la prova che i giornali hanno bisogno della pubblicità dei grandi marchi, in effetti, e che in generale questi immensi guadagni sono il motivatore più efficace. Infatti Pierre Bergé, braccio destro di Yves Saint Laurent, si è appellato ai princìpi: “Rinunciate al denaro, abbiate dei princìpi!”, diceva alla radio francese definendo “abominevole” la moda islamica. Ma gli affari sono un principio, e i veli ricamati valgono miliardi.

Per inviare la propria opinione al Foglio, telefonare 06/589090, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT