Attenzione, c'è la guerra!
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici,
al momento in cui vi scrivo non si sa se l'aereo russo caduto ieri nel Sinai sia stato abbattuto da un razzo degli islamisti che dominano il Sinai (con l'appoggio di Hamas, dello Stato Islamico o di entrambi), oppure sia caduto per un'avaria, come sembrano sostenere alcuni. Vedremo quando saranno letti i dati della scatola nera.
Per ora gli egiziani parlanodi una richiesta di atterraggio di emergenza, ma prima le stesse fonti avevano addirittura detto che non era successo niente.
E' interesse egiziano non spaventare ulteriormente i turisti che vanno a Sharm; ed è interesse di Putin non far percepire un possibile prezzo per la sua azione in Siria.
Si sa d'altro canto che l'aereo era a 9000 metri d'altezza, al di là della portata dei normali razzi antiaereo da spalla, ma non dei missili sofisticati come quelli che abbatterono qualche mese fa l'aereo malesiano sopra l'Ucraina: un missile russo, in quel caso, dello stesso tipo che la Russia ha fornito all'Iran e che potrebbe essere filtrato attraverso Hamas ai terroristi del Sinai.
9000 metri è anche una quota di sicurezza per i rischi meteorologici, salvo grandi tornado come non se ne producono mai in Mediterraneo e soprattutto sulla terraferma.
E i dati radar, che sono pubblici, mostrano una discesa di mille o millecinquecento metri al minuto, che è sostanzialmente una caduta a corpo morto, non certo una operazione governata dai piloti (http://www.ilpost.it/2015/10/31/scomparso-aereo-sinai-egitto/ ).
Sicché è probabile, qualunque cosa ci verrà detta che i 224 morti di questo disastro siano vittime del terrorismo, come sostiene anche una fonte vicina ai servizi israeliani e solitamente molto ben informata, DebkaFiles (http://www.debka.com/article/24987/ISIS-claims-downing-Russian-airliner-in-Sinai-in-reprisal-for-Moscow%E2%80%99s-Syria-air-strikes ). Anche se le dinamiche non sono chiare, il disastro aereo del Sinai ci richiama al fatto fondamntale del nostro tempo: siamo in guerra. Siamo nel mezzo di una guerra mondiale “a pezzi” (come ha detto anche il papa, in uno dei suoi momenti di notevole coraggio e lucidità). E' una guerra che viene negata continuamente.
Samuel P. Huntington
Chi l'ha descritta per primo cioè Samuel P. Huntington, poco meno di vent'anni fa in un libro intitolato in italiano “Lo scontro delle civiltà” è stato demonizzato, insultato, ridicolizzato. E ogni volta che la guerra emerge con un episodio clamoroso, ci sono dei benpensanti ad ammonirci che si tratta di fatti isolati, che le cose sono più complesse di così, che non bisogna esagerare, che insomma tutto si può dire salvo che ci sia la guerra.
E invece non solo aerei cadono, ma eserciti si scontrano, terroristi fanno il loro sporco mestiere, democrazie una volta (e certo prematuramente) stimate come in Turchia e in Russia, diventano stati autoritari, masse di profughi che almeno in parte sono invasori vengono usate come arma e allo stesso tempo accolte da chi non capisce che bisogna difendersene, stati vengono invasi, altri bombardati, patrimoni culturali vengono distrutti, si creano nuove istituzioni sovrane o semisovrane, aggressive come lo Stato Islamico o difensive come il Kurdistan... insomma siamo nel pieno delle convulsioni di uno scontro generalizzato.
Che è una guerra, ma non precisamente fra due schieramenti; sembra assumere piuttosto la forma di una mischia selvaggia di tutti contro tutti. Se si bada però agli schieramenti storico-culturali, tutto risulta più semplice. C'è una grande spinta islamica a riguadagnare dall'Occidente il potere perduto due o tre secoli fa e a farlo crescere di nuovo come nei tempi d'oro fra l'ottavo e l'undicesimo secolo e poi fra il Quindicesimo e il Diciassettesimo; questa spinta è suddivisa fra sciiti e sunniti, che si combattono da mille e trecento anni. I sunniti si dividono fra moderati (Egitto, Arabia) ed estremisti o espansionisti (Isis, Qatar, Turchia, Hamas). Nel quadro poi rientrano altre due grani spinte espansive, quella della Cina che dopo essere decollata economicamente intende riprendere il suo posto centrale nell'Asia e nel Pacifico, anche a costo di scontrarsi con tutti; e quello della Russia, che cerca di recuperare quel che può del suo impero.
E poi c'è una ritirata disordinata e confusa, quella degli Stati Uniti, potenza egemone del secolo scorso, che ha scelto un governo che vuole solo scappare dal mondo, cedere il potere ai suoi nemici, mandare al diavolo i suoi alleati storici - insomma un disastro irrazionale che spiega da solo la turbolenza di questi anni. Quelli che se la prendono ora con Bush e Blair per aver fatto la guerra in Iraq, lo fanno per stupidità o per nascondere la catastrofe di Obama, che invece di controllare la guerra col suo isolazionismo e antioccidentalismo l'ha esasperata. Agli Stati Uniti attuali tutti applicano il vecchio motto di Mao: “se un cane affoga, bastonalo”. Di questa guerra a cinque o sei parti, noi vediamo solo un pezzo, i movimenti della faglia fra Europa e Mondo Islamico su cui siamo insediati.
E' un punto di vista parziale, ed è gestito dall'Europa in maniera totalmente demenziale, come se noi potessimo chiamarci fuori dal conflitto e assegnarci la funzione della Croce Rossa. In questa maniera invece ci diamo il ruolo del bottino: una preda che probabilmente sarà islamica, o se no russa. La cosa migliore che potrebbe capitarci è che l'America si rimetta in piedi, elimini la follia non solo di Obama ma di tutta una generazione di politici e intellettuali che flirta con la morte e il piacere dell'autogratificazione come gli eroinomani con le loro siringhe, lche ci riconquisti come base vicina per il controllo del tormentato centro geopolitico del mondo che è il Medio Oriente, luogo di incontro e di scontro di tre continenti e quattro civilizzazioni.
Noi sudditi di un sistema politico dell'Unione Europea che per autoreferanzialità, opacità e ottuso pedagogismo ricorda la vecchia Unione Sovietica, possiamo fare poco. Ci fanno parlare, ma ci censurano se non siamo politically correct e soprattutto cercano il più possibile di non tener conto di quel che vogliamo e pensiamo, come si vede esemplarmente con la politica della braccia aperte (e del portafoglio ancora più aperto) per i clandestini (pardon, i poveri profughi). La sola cosa che possiamo fare è cercare di aprire gli occhi a chi ci sta vicino, dicendo a tutti: attenzione, siamo in guerra.
Non c'è aereo turistico, treno del metrò, supermercato, museo, scuola elementare, redazione di giornale che sia al riparo dalla guerra.
Non è vero che Londra, Amsterdam, Malmoe, Calais - e anche Torino, Milano Roma, naturalmente -siano più sicuri di Gerusalemme, dove imperversano i tagliagola.
Perché a Gerusalemme sanno di doversi difendere e lo fanno, mentre noi lo neghiamo.
Ugo Volli