

Guerra dei 6 giorni, il Kotel liberato Spianata delle moschee
Eravamo in dubbo se riprendere questo pezzo di REPUBBLICA di Sigmund Ginzberg, uscito oggi, 18/10/2015, a pag.34, con il titolo " La spianata dell'odio", un pezzo che suscita pena per l'astio che contiene nei confronti dell'intera storia di Israele. Ginzberg ha trascorso troppi anni nella Russia/URSS quale corrispondente dell'UNITA' per esserne uscito indenne, i giornalisti che ci scrivevano -figuriamoci poi da Mosca- avevano portato il cervello all'ammasso, come si diceva un tempo. Ginzberg si è evidentemente dimenticato di andarlo a ritirare quando è rientrato in Italia.
Ci chiediamo quanta dose di masochismo lo abbia spinto a scrivere questo pezzo.
Non lo commentiamo come facciamo abitualmente, sottolineiamo invece le parole che ci paiono più significative dell'auto-odio dell'autore, insieme al disprezzo verso ciò che ha signifcato per tutti, ebrei e non ebrei, la storia di Israele.
Da condividere solo il titolo, quello sì corretto: " La spianata dell'odio".
Ecco l'articolo:
Si dice che la bellezza del luogo sia tale da sconvolgere le menti. E in effetti centinaia di persone vengono ricoverate ogni anno con quella che viene definita "Sindrome di Gerusalemme", uno stato di delirio da fervore religioso, scatenato dalla vicinanza di siti troppo carichi di santità e storia. Sigmund Freud sapeva quanto fossero pericolose quelle pietre. Scrisse negli anni Venti ad Einstein di non provare "alcuna simpatia per una religiosità aberrante che fa di un pezzo del muro di Erode una religione nazionale, e per amore della quale si offendono i sentimenti della popolazione locale". E poi all'amico Arnold Zweig, di ritorno da un viaggio in Palestina: "Ti sarà sembrata ben strana questa terra di tragica pazzia, che non ha mai prodotto altro che religioni, sacre frenesie e presuntuosi tentativi di impone al mondo le proprie pie illusioni". Amos Oz è anche più perentorio. Ha proposto: "Dovremmo rimuovere pietra per pietra e trasferirle in Scandinavia per cento anni, e non riportarle finché tutti abbiano imparato a vivere insieme in Gerusalemme". Ma non è detto che basti un secolo. Il fascino della Spianata viene dal modo in cui nei millenni si sono sovrapposti infiniti strati di pietre e passioni, si è ricostruito sulle rovine e poi distrutto di nuovo, si sono accumulati storie e leggende di tutte e tre le religioni monoteiste. Ma anche strati su strati di risentimento e di odio. Dovrebbe essere un sito caro a Dio e agli uomini. Poteva essere il luogo di un modello di convivenza tra chi crede che qui fosse l'altare su cui Abramo stava per sacrificare Isacco, che qui sorgesse il Tempio di Salomone, qui pianse Gesù profetizzando che non sarebbe rimasto "pietra su pietra" e qui fu chiamato in cielo Maometto. E invece è la pietra di tutte le discordie. Non sono d'accordo nemmeno sul nome. "Monte del Tempio", ffar HaBáyit è come lo chiamano gli ebrei, Al-0 aramal-Sar f("Nobile santuario" ) i musulmani. Si ritiene che la piattaforma sorga sul luogo dove si trovava tre millenni fa il Tempio distrutto da Nabucodonosor nel 586 a.C., e poi fu ricostruito il Secondo Tempio al ritorno dall'esilio babilonese, reso splendido da Erode e infine bruciato e raso al suolo dalle legioni di Tito nel 70 d.C. Si sarebbe dovuto attendere la conquista islamica da parte del Califfo Omar nel 638 perché si superasse la dissacrazione del luogo. Fu il vincitore di una delle prime guerre fratricide in seno all'islam, il Califfo di Damasco Abd-el-Malik, a far completare nel 691 la splendida Cupola della Roccia che domina la Spianata con la sua elegante mole dorata, e suo figlio Walid a costruirvi pochi anni dopo la Moschea di Al-aksa. Ma guai a chi pensi di scavare e studiare gli immensi labirinti sottostanti: gli archeologi non sono graditi, si prestano al sospetto di voler sostenere questa o quella parte della leggenda. È già tanto che non rischino il linciaggio a furor di popolo come successe agli inizi del Novecento all'avventuriero britannico Montagu Parker. Era corsa voce che, calandosi da un buco nel pavimento, avesse trovato e trafugato niente meno che la corona di Salomone, l'Arca dell'Alleanza e la spada di Maometto. Quella fu una delle poche volte che la rivolta vide fianco a fianco ebrei e musulmani. Ci sono intere biblioteche sulle plurisecolari vicende di follia, massacri, stupidità, ma anche di tolleranza e magnanimità attorno a quelle pietre. Ma non sono sicuro che abbiano appeal tra i più giovani contendenti di oggi. Sono passati quasi cinquant'anni da quando nel giugno 1967, durante la guerra dei Sei giorni, i paracadutisti di Moshè Dayan e Isaak Rabin avevano raggiunto, dopo una schermaglia con le truppe giordane, la Spianata delle Moschee. L'obiettivo era il Muro del pianto, il Kotel, ai piedi della parete a strapiombo sul lato meridionale della spianata. Ma non sapevano come arrivarci. Fu un vecchio arabo a indicargli la strada. Il rabbino Shlomo Goren, cappellano capo dell'esercito israeliano, avrebbe voluto far saltare le moschee. I comandanti militari lo zittirono, dicendogli che era pazzo da legare. Dayan vide che avevano issato una bandiera israeliana sulla grande Cupola dorata. Ordinò che venisse immediatamente tolta. Altri non ebbero altrettanta delicatezza. Nel settembre del 2000 Ariel Sharon, allora leader del Likud all'opposizione, decise di fare una "passeggiata" sulla Spianata, protetto da falangi di poliziotti. Sostenne che si trattava di un "messaggio di pace". Scatenò invece la cosiddetta Seconda intifada. Non ci furono solo le sassaiole: sarebbe seguito un decennio di sanguinosi attentati suicidi. Da allora la catena di provocazioni e sospetti incrociati, con le conseguenti esplosioni di violenza, non si sarebbe mai davvero arrestata. Non passa anno che non si ricominci da capo. Non occorre nemmeno che le provocazioni siano intenzionali, succeda qualcosa di grave, volino sassi o molotov, scorra sangue. Stavolta ad accendere la miccia della "Terza intifada" sarebbe stata la voce, pare del tutto infondata, che le autorità israeliane si apprestavano a consentire la preghiera nelle moschee anche ai non islamici. ll magnifico labirinto di pietre della Spianata poggia su una città forse più divisa di quanto lo sia mai stata. Non è più solo questione di separazione tra Gerusalemme ebraica ed araba, della tradizionale divisione tra i quartieri ebraico, musulmano, cristiano e armeno nella Città vecchia. Ci sono una città ebrea-sionista che si sta sfoltendo e una città ebrea-ultra ortodossa che sta prevalendo. una città araba-palestinese e una città arabo-estremista. Che si guardano in cagnesco, anzi non si guardano nemmeno più quando si incrociano per le strade. Sono mondi ancora più schizofrenici di quelli del passato. La spaccatura anzi non è più nemmeno tra le diverse fedi, è all'interno di ciascuna fede. E diventata una spaccatura tra generazioni: il guaio è che i più giovani sembrano avere perso la cognizione di quello per cui si battevano i loro padri. La demografia è ancora più spietata della storia Non ha funzionato che per un paio di giorni la proibizione l'anno scorso dell'accesso alla spianata ai minori di cinquant'anni. Non si vede come possa durare a lungo la scelta di ostacolare ora ogni accesso. Non ci sono nemmeno più molte nuove idee di soluzione. L'internazionalizzazione di Gerusalemme proposta dall'Onu nel 1949 appare antidiluviana. Così come la proposta di Bill Clinton di una divisione verticale del Monte, con controllo palestinese sulla spianata superiore e israeliano sulla parte inferiore. Salomone se l'era cavata proponendo di tagliare in due con la spada il bambino conteso dalle madri. Qui si rischia che piuttosto l'ammazzino loro.
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