Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.
Care amiche d'Italia e d'Israele, diffondete, per favore, l'avviso di Fiamma Nirenstein su un piccolo ignobile pezzo pubblicato su Io Donna di questa settimana e firmato da Emanuela Zuccalà. Un dos is nicht, e questo niente, direbbero in Jiddish le nostre nonne. Fiamma è anzi, per necessità, sintetica e sfiora solamente, nel giusto rimprovero, argomenti storici e attuali che la giornalista Zuccalà - nomen omen, senza veruna offesa - ignora di sana pianta, presentandoci, al solito, "l'ebrea americana" - quella che ogni preciso e irresponsabile falsario della storia moderna d'Israele si premura di avere come madrina- a garanzia del "Per carità, non sono io a sostenerlo, è un ebreo, proprio un ebreo in carne e ossa"... Chiunque abiti a Gerusalemme sa che il pezzo contiene una dose velenosa anche di banali "fotogrammi dell'incomunicabilità", come li chiama Zucca là- che oltraggiano la realtà quotidiana di una città ancora attraversata sì da un difficile cammino di verità e giustizia, dalla morte che vi porta chi pretende di volerla per sé e di volerla araba, ma dove l'esistenza non corrisponde neanche minimamente alle fandonie raffazzonate della giornalista di turno; e dove la vita delle persone trova invece punti, momenti d'incontro a volte chiassosi, come nei negozi e negli shuk, davanti e dietro le bancarelle; a volte silenti e magici, come nei parchi della città, agli incroci dei semafori, negli sguardi che comunicano tutto, anche il rancore e l'odio spaventoso di certe donne arabe, a volte; ma anche le risa, i sorrisi di certe altre che discendono lungo Rechov Ben Yehuda e sanno che questa è la strada, questa è la loro vita, oramai. Ed è bella, luminosa, e sale e discende ed è avvolta dal biancore delle mura, e confluisce anch'essa nel senso ebraico della parola Yerushalaim, che resterà unica, indivisa, come è nella sua stessa desinenza; oltre ogni sogno amaro e sbagliato, oltre ogni lotta accanita e malvagia che dall'altra parte del mondo anche reporter "senz'arte né parte" conducono per odio e ignoranza delle antiche parole: "Omedot haiù raglenu bish'araich Yerushalaim. Yerushalaim habbenuià ke'ir shechubberà-làh iachdav...Shalù Shelom Yerushalaim, ishlaiù ohavaich. Iehi shalom bechelech. Shalvà bearmenotaich" (Tehilim - Salmo - 122) I nostri piedi potevano sostare all'interno delle tue porte, oh Gerusalemme. Gerusalemme che è costruita come una città alla quale tutti sono uniti. Pregate quindi per la pace di Gerusalemme, possano avere pace coloro che ti amano, Gerusalemme. Possa la pace regnare entro le tue mura, la serenità nei tuoi palazzi. In ebraico queste antiche, mai perdute, immutate parole, contro le quali niente più possono quelle di chi odia Israele.