Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.
Graphic Novel di Asaf Hanuka, israeliano Commento di Bruno Ventavoli
Testata: La Stampa Data: 11 aprile 2015 Pagina: 6 Autore: Bruno Ventavoli Titolo: «Come finire KO a tel Aviv e risorgere con i fumetti»
Riprendiamo da TUTTOLIBRI/LA STAMPA di oggi, 11/04/2015, a pag. VI , con il titolo " Come finire KO a tel Aviv e risorgere con i fumetti " la recensione di Bruno Ventavoli al libro di Asaf Hanuka " K.O. a Tel Aviv " ed.Bao.
Asaf Hanuka
Si chiama Asaf Hanuka. Come la festa ebraica. Abita a Tel Aviv con moglie e figli. Ed è uno dei disegnatori più geniale d’Israele. Oltre a illustrare Rolling Stone, New York Times, Newsweek... racconta in un blog a colpi di vignette e scarne didascalie la vita quotidiana nello stato ebraico. Ovvero, bollette da pagare, carta di credito bloccata, sfratti, la moglie offesa, il figlio che disintegra con capricci e pistole laser, la tv che rimbambisce e inquieta. Le strisce sono diventate un bellissimo graphic-diary e fin dal titolo, KO a Tel Aviv, spiegano che quando il logorio della vita moderna ti mette fuori gioco, l’unico modo per risollevarsi è sorridere con l’aiuto delle matite colorate. E Hanuka ride molto. Di se stesso. Dei suoi ruoli. Del mondo che lo circonda. Con spirito satirico. Ma anche dolcezza, malinconia, affettuosità. Protagonista delle strisce è lui medesimo. Come autore (che sogna la gloria del New Yorker). Come padre (giocherellone, e tanto goloso da rubare le caramelle al figliolo). Come marito (talvolta così distratto da far fuggire la compagna infuriata; anche se in realtà sua moglie, l’illustratrice Hilit, come dichiara nell’esergo è il un grande, stabile, fertile amore e gli «permette di non cadere»). Come essere umano alle prese con il mondo, tanto assurdo, quanto meraviglioso. E last but non least come cittadino d’Israele, paese che flirta con l’i-phone e il navigatore (che porta immancabile sulla strada sbagliata) ma si svuota per lo Shabbat e Yom Kippur. E manda i suoi figli riluttanti a montare la guardia in qualche desertico avamposto sotto la pallida, bellissima luna. E vive nella subdola inquietudine degli attentati che non sempre l’ironia cancella. Perché quando fai i progetti più positivi, pensi finalmente di comprare casa, t’accordi con le banche, può sempre apparire in video il volto di Ahmadinejad a ricordare che basta un missile per terminare ogni sogno in un fungo atomico. Chissà se la paura, dopo gli accordi con l’Iran, si colora di speranza?
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