Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Graphic Novel di Asaf Hanuka, israeliano Commento di Bruno Ventavoli
Testata: La Stampa Data: 11 aprile 2015 Pagina: 6 Autore: Bruno Ventavoli Titolo: «Come finire KO a tel Aviv e risorgere con i fumetti»
Riprendiamo da TUTTOLIBRI/LA STAMPA di oggi, 11/04/2015, a pag. VI , con il titolo " Come finire KO a tel Aviv e risorgere con i fumetti " la recensione di Bruno Ventavoli al libro di Asaf Hanuka " K.O. a Tel Aviv " ed.Bao.
Asaf Hanuka
Si chiama Asaf Hanuka. Come la festa ebraica. Abita a Tel Aviv con moglie e figli. Ed è uno dei disegnatori più geniale d’Israele. Oltre a illustrare Rolling Stone, New York Times, Newsweek... racconta in un blog a colpi di vignette e scarne didascalie la vita quotidiana nello stato ebraico. Ovvero, bollette da pagare, carta di credito bloccata, sfratti, la moglie offesa, il figlio che disintegra con capricci e pistole laser, la tv che rimbambisce e inquieta. Le strisce sono diventate un bellissimo graphic-diary e fin dal titolo, KO a Tel Aviv, spiegano che quando il logorio della vita moderna ti mette fuori gioco, l’unico modo per risollevarsi è sorridere con l’aiuto delle matite colorate. E Hanuka ride molto. Di se stesso. Dei suoi ruoli. Del mondo che lo circonda. Con spirito satirico. Ma anche dolcezza, malinconia, affettuosità. Protagonista delle strisce è lui medesimo. Come autore (che sogna la gloria del New Yorker). Come padre (giocherellone, e tanto goloso da rubare le caramelle al figliolo). Come marito (talvolta così distratto da far fuggire la compagna infuriata; anche se in realtà sua moglie, l’illustratrice Hilit, come dichiara nell’esergo è il un grande, stabile, fertile amore e gli «permette di non cadere»). Come essere umano alle prese con il mondo, tanto assurdo, quanto meraviglioso. E last but non least come cittadino d’Israele, paese che flirta con l’i-phone e il navigatore (che porta immancabile sulla strada sbagliata) ma si svuota per lo Shabbat e Yom Kippur. E manda i suoi figli riluttanti a montare la guardia in qualche desertico avamposto sotto la pallida, bellissima luna. E vive nella subdola inquietudine degli attentati che non sempre l’ironia cancella. Perché quando fai i progetti più positivi, pensi finalmente di comprare casa, t’accordi con le banche, può sempre apparire in video il volto di Ahmadinejad a ricordare che basta un missile per terminare ogni sogno in un fungo atomico. Chissà se la paura, dopo gli accordi con l’Iran, si colora di speranza?
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