Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 28/12/2014, a pag.35, con il titolo "Rivolta contro il Mosè di Ridley Scott", la cronaca di Francesco Battistini
Non abbiamo visto il film, sarà pure brutto, come scrive Battistini, ma il problema non è di natura estetica, di brutti film di soggetto biblico è pieno il cinema. Già il fatto che ne venga proibita la diffusione nei paesi islamici, è rivelatore dello stato di totale ignoranza nella quale vivono quelle popolazioni, e poi ci stupiamo del loro livello politico. Paradossali le dichiarazioni del 'ministro della cultura' egiziano ! Che coraggio definirla 'cultura' ! Che Ridley Scott giustifichi il proprio film altrimenti .. non avrebbe ricevuto i 140 milioni di dollari - vale a dire Hollywood in mano agli ebrei- è soltanto indice del rimbambimento del regista.
Ma è brutto anche il pezzo di Battistini, quando fa la morale a Tarantino, sostenendo che è compito del cinema l'insegnamento della storia. Mavalà...
Ecco il pezzo:



Francesco Battistini la locandina del film Ridely Scott
E' un film sionista. Peggio, è pieno d'errori. Peggio ancora: è brutto. Appena uscito in Medio Oriente, e già incassati 35 dei 140 milioni di dollari che è costato, l'ultimo kolossal di Ridley Scott si candida all'Oscar delle stroncature («tristemente insufficiente», scrive il New York Times) e a diventare il classico sequel del film-che-irrita-i-regimi. Qui non c'entrano gli hacker nordcoreani: su Exodus – Dei e Re, interpretato da Christian Bale, s'è abbattuta la scure di Paesi musulmani tipo Egitto e Marocco. Il polpettone è la vita di Mosè dai Dieci Comandamenti all'Esodo e per il ministro. della Cultura egiziano, Gaber Afour, va proibito: «Una rappresentazione sbagliata. Dà una visione sionista di Mosè e contraddice la verità storica: mostra gli ebrei che costruiscono le piramidi, quando tutti sanno che furono terminate almeno mille anni prima dell'Esodo. Per non dire del Mar Rosso: la divisione della acque viene fatta passare per un fenomeno naturale, non per un prodigio. Questo è inaccettabile». Undicesimo, non proiettare. La mezza fatwa ha trovato subito terreno fertile sul Nilo: le sale hanno rispedito la pellicola a Hollywood. A Casablanca, il gestore del cinema Rif ha tolto Exodus dal cartellone. Al Colisée di Marrakech, hanno appeso il divieto del re corroborato dal parere di due accademici egiziani: «Nel film — è sbalordito Mohamed Afin, censore capo del Cairo —, il protagonista brandisce addirittura una spada come fosse un guerriero, mentre tutti sanno che si servì d'un bastone per fare sgorgare l'acqua dalla roccia...». Naturalmente, ai governi arabi importa poco della precisione storica. C'entra casomai la prudenza: per i musulmani Mosè è un profeta e raffigurarlo in carne e ossa — come accadde in marzo per il Noè recitato da Russell Crowe, bocciato dalle autorità sunnite di Al Azhar — è una bestemmia capace di scatenare le folle. Di più: la scelta di Bale e d'attori wasp (bianchi-anglosassoniprotestanti) per un set mediorientale, dove alle pelli scure è riservato solo il ruolo degli schiavi, è parsa politicamente scorretta. «Non dite scemenze — ha replicato stizzito il 77enne Scott —, mica posso montare un film con questo budget dicendo che il protagonista è Mohammed tal-dei-tali proveniente dal tal posto! Lo facessi, non riceverei un dollaro di finanziamento...». Riletto da almeno una quarantina di registi, interpretato da Burt Lancaster come da Charlton Heston o da Ben Kingsley, l'ennesimo Mosè hollywoodiano entra nella galleria degli orrori/errori storici per cui Ridley Scott diventò famoso con il Gladiatore. Sui siti arabi sgranano uñ irridente collana d'indimenticate perle del regista: dai libri che arredavano la tenda di Marco Aurelio (oggetti sconosciuti ai latini) all'acciaio (inesistente) delle spade, dai serpenti sudamericani ai laghi che Roma non ha mai avuto, passando per le staffe dei cavalli (inventate qualche secolo dopo), le buganvillee originarie del Brasile, le tigri nel Colosseo al posto dei leoni... Dice Tarantino che il bello del cinema è reinventare la storia. Purché non si pretenda d'insegnarla.
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