Questo è il problema
Cartolina da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici,
riprendo  la nostra lunga conversazione dopo due settimane di  ferie. La guerra di  Gaza è ancora in corso e non si vede una soluzione  vicina. E' certo che  Israele sta vincendo sul piano militare, e anche  che, al di là delle  chiassate di certe piazze occidentali, le reazioni  del mondo a questa  guerra sono meno pregiudiziali del consueto. Israele  sta dunque  vincendo; ma concludere bene la guerra e portare i frutti  della vittoria  a casa è anche più difficile che combatterla. Di questo  riparleremo.
Oggi voglio richiamarvi la dinamica  generale del conflitto,  che rischia di sfuggire nell'angoscia della  partecipazione quotidiana.  Il primo punto da sottolineare sempre, anche  quando si discute con chi  non la pensa come noi, è che Israele non ha  voluto questa guerra, non  aveva nessun interesse a farla e non ha altri  obiettivi se non  garantire la pace e la sicurezza del proprio  territorio, che è il primo  compito di ogni stato. Fino a un mese fa,  Israele si trovava in una  condizione ottima: aveva ed ha ancora per  fortuna un comparto  tecnologico che macina innovazioni e grandi affari,  un turismo in  grande espansione,  un'economia in generale in ottime  condizioni, che  ha attraversato la crisi di questi anni senza subire i  danni conosciuti  dall'Europa e dagli Usa. Anche sul piano della  sicurezza, negli ultimi  mesi c'era stato un peggioramento come sempre  concomitante alle  trattative “di pace” e dovuto alla “resistenza  popolare” praticata da  tutte le componenti dell'Autorità Palestinese (il  partner della  pace...) e favorita dai governi europei, direttamente  attraverso le  loro rappresentanze diplomatiche o indirettamente tramite  le Ong  antisraeliane che essi finanziano. Ma si trattava di episodi  abbastanza  marginali e limitati. La forzatura di Kerry in direzione del  negoziato  con l'Autorità palestinese aveva costretto Israele a rilasciare qualche  decina  di pericolosi terroristi condannati per i loro crimini, ma  anche questo  era un danno limitato, concluso poi quando si era chiarita  l'inutilità  delle trattative. Israele sapeva che Hamas si stava  armando, aveva  bloccato diversi trasporti di armi destinati  all'organizzazione, ma era  stato spinto anche dall'azione americana a  occuparsi più dell'Autorità  Palestinese, pensando che Hamas si potesse  semplicemente contenere.
Questo quadro è crollato con due  fatti: la costituzione del  “governo di unità nazionale” che riammetteva  Hamas nel cuore  dell'Autorità Palestinese (dandole, come si è visto, un  possibile alibi  per scatenare la guerra) e il rapimento e il massacro  dei tre studenti  ad opera di un clan affiliato a Hamas. Né l'una cosa né  l'altra, è  inutile dirlo, furono volute da Israele. Che anzi ebbe una  risposta  molto moderata a entrambi questi fatti, limitandosi a chiudere i  canali  di comunicazione con l'Autorità Palestinese e ad arrestare  coloro che  riteneva coinvolti nel rapimento (sostanzialmente l'apparato  di Hamas  in Giudea e Samaria, il che col senno di poi ha impedito  l'esplosione  di un secondo fronte di guerriglia in quel territorio, come  previsto e  desiderato da Hamas).
       
 
L'organizzazione terrorista islamica a  questo punto decise di  attivare lo scontro, incominciando a inviare  molte decine di razzi sul  territorio israeliano, inizialmente su zone  relativamente vicine a Gaza  e successivamente sull'intero territorio israeliano  (nell'ultimo mese,  per la cronaca, sono stati circa 3000).  Israele  reagì di nuovo con  molta moderazione, abbattendo i razzi con  l'antimissile Iron Dome e  mandando l'aviazione a bombardare obiettivi  militari, badando bene a  non fare troppi danni: un chiaro invito a Hamas  di riprendere la  tregua. Molti protestarono per l'inazione e ricordo di  essere stato  anch'io fra questi. Poi, dopo alcuni giorni passati senza  che Hamas  rallentasse il bombardamento, l'aviazione si mise a fare sul  serio e a  cercare di danneggiare il sistema di lancio dei missili di  Hamas. E  ancora per una settimana circa Israele continuò a minacciare un'azione   di terra senza deciderla: un'altra chiara occasione per Hamas di porre   fine alla guerra. Invece i terroristi scelsero di bombardare al massimo:   Tel Aviv, Gerusalemme, l'aeroporto internazionale Ben Gurion, perfino  il  reattore nucleare di Dimona (e bisogna essere ben pazzi per cercare  di  fa esplodere un impianto nucleare a 40 km da casa...). Poteva uno  stato  civile tenere tutta la propria popolazione nei rifugi e aspettare  che  prima o poi un missile penetrasse le difese e magari facesse una  strage?  Nel frattempo ci furono anche incursioni dal mare e dai tunnel  verso  paesi e cittadine nei dintorni di Gaza: bloccate, con perdite, ma   pericolosissime anch'esse.
E' a questo punto che il governo  israeliano ha deciso per  l'azione di terra, cioè la guerra vera e  propria, una guerra che è  stata dunque voluta e organizzata da Hamas e  in cui lo stato ebraico è  entrato solo perché costretto. Ma forse per  fortuna, perché se Israele  aveva sottovalutato l'aggressività di Hamas,  anche Hamas non aveva  capito che gli israeliani sono capaci di  combattere per il loro paese,  di unirsi quando la loro vita collettiva è  minacciata. Ed è emerso così  che Gaza era stata trasformata in una  incredibile macchina da guerra:  molte decine di tunnel d'attacco lunghi  chilometri e chilometri, ben  dentro il territorio israeliano – ognuno  del valore di molti milioni di  euro. Altri tunnel di collegamento e di  agguato a Gaza. Depositi  sotterranei di armi. Migliaia, decine di  migliaia di missili. Case  imbottite di esplosivo per travolgere chi vi  entrasse. Fortini  lanciamissili e per cecchini, di solito sistemati in  scuole, asili,  cliniche, moschee. Centri di comando sistemati sotto gli  ospedali.  Una  fortezza sotterranea grande come Gaza City e profonda  come un palazzo  di sette piani. Il progetto di un assalto generale di sorpresa per il  capodanno ebraico (fine settembre) con centinaia di  terroristi che  dovevano impadronirsi dei villaggi vicino a Gaza.  Depositi di razzi che  l'organizzazione “umanitaria” dell'Onu, l'Unrwa  “scopre” nelle sue  scuole (un razzo può essere lungo da tre a dieci  metri e pesare alcuni  quintali, ditemi voi come possano essere passati  inosservate...). Un  incubo senza fine, che la guerra ha almeno  scoperchiato. Bisogna  naturalmente chiedersi chi e perché ha contribuito  a questa situazione.  Ve ne parlerò in un'altra cartolina. 
L'esercito israeliano sta pazientemente lavorando  alla distruzione  di questo apparato, cercando nei limiti del possibile  di evitare di  coinvolgere la popolazione civile. Questa è la ragione per  cui non può  colpire la testa della piovra, il quartiere generale di  Hamas che è  annidato al centro di Gaza City, nei sotterranei  dell'ospedale della  città (costruito, guarda un po' da imprese e  architetti israeliani).  Lavora per eliminarne i tentacoli, vale a dire i  tunnel, usando alta  tecnologia, ma anche la vita dei suoi ragazzi per  evitare di usare  l'arma che sarebbe naturale in questo caso, ma è  proibita dalle  convenzioni internazionali, cioè i gas. Paga un alto  prezzo per  mantenere uno standard etico e giuridico in questo  combattimento dentro  la fortezza Gaza piena di passaggi segreti e di  trappole costruita da  Hamas. E ci sta riuscendo. Il problema è che tutta  la fortezza che  l'esercito israeliano sta smantellando si può  ricostruire con i soldi  dell'Iran e del Qatar, con i generosi aiuti  delle flottiglie (che  portano, guarda un po', il cemento necessario per i  tunnel), con la  complicità delle organizzazioni dell'Onu. Dunque, come  concludere una  guerra vittoriosa senza doverne fare un'altra quando  Hamas sarà di  nuovo pronto ? Non è chiaro. Bisognerebbe cercare di  distruggere non i  tunnel, ma Hamas stesso. Questo prolungherebbe e  renderebbe certamente  più dura la guerra. Come arrivarci ? Rioccupare  tutta Gaza? Israele non  lo vorrebbe proprio. Favorire un cambio di  regime ? Servirebbe che  l'Autorità Palestinese non fosse complice con  Hamas, come si è  dimostrata, e neppure inetta e corrotta, com'è  Un'occupazione egiziana ?  L'Egitto non vuole. Insomma come stabilire un  risultato accettabile  della vittoria israeliana ?  Dalle notizie di ieri  sembra che Netanyahu  abbia valutato di poter iniziare a ritirare le  truppe, contando sulla  superiorità aerea per bloccare gli attacchi di  Hamas. E' una vittoria  sufficiente ? O solo un passo tattico, che tiene  conto degli equilibri  internazionali ? Saprà Israele far fruttare la sua  vittoria sul terreno  ? Questo è il problema, oggi.

Ugo Volli