Le dichiarazioni di una palestinese di Gaza riportate da Paci contrastano con i proclami bellicosi dei ben protetti capi di Hamas che hanno reso la popolazione di Gaza ostaggio della loro politica terrorista.
Di seguito gli articoli:

Ismail Haniyeh, capo di Hamas a Gaza, a bordo di un jet privato
LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Gaza, a mani nude fra le macerie Ma la tregua restituisce solo cadaveri "
Maurizio Molinari
Alle 8 del mattino il cessate il fuoco ancora non è entrato in  vigore quando Yasser Hamdiyya è fra i primi sfollati di Sujaiya a  risalire Mansuri Street. Cammina a piedi, alla spalle si lascia il campo  di Jabalya, arriva all’incrocio dove fino ad una settimana fa c’era un  piccolo mercato di frutta e procede in avanti. È  il suo quartiere,  cerca la propria casa ma si trova davanti ad una distesa di macerie che  lo impietrisce. È  una montagna di mattoni, cemento, legni, rovine,  detriti. Ogni riferimento che aveva è scomparso. «Non riesco neanche a  trovare la mia casa» ammette, indicando un’area coperta di rovine dove  «a mia memoria c’erano almeno 20 edifici, forse di più». Si tratta di  una fascia urbana nella parte più orientale del quartiere di Gaza che  gli israeliani hanno attaccato pesantemente considerandolo una  roccaforte di Hamas. 
Peter Lerner, portavoce militare, assicura  che «almeno un battaglione di terroristi di Hamas» ha combattuto da una  rete di «bunker sotterranei collegati a edifici imbottiti di esplosivi  per far cadere in trappola i soldati».
Fra le rovine c’è un blindato  israeliano abbandonato, mucchi di pacchetti di sigarette con le scritte  in ebraico e ovunque cartucce sparate di calibro diversi: sono i resti  di una delle battaglie più cruente dall’inizio dell’operazione di terra  di Israele. Per Salim Abu Omar, che cerca fra le macerie materassi e  oggetti di famiglia da portare via, «sembra che qui sia passato uno  tsunami che ha cambiato la geografia della mia città».
Girandosi  attorno indica luoghi che ricorda e non trova: «Qui c’era una strada,  lì dei negozi, più in là delle bancarelle, non resta che una montagna di  macerie». Akram Qassim, guarda ciò che rimane della palazzina di tre  piani dove viveva: «Pensavo di trovare un edificio danneggiato dai  proiettili, non un cratere profondo diversi metri». Il personale medico  della Mezzaluna Rossa è ovunque. Dozzine di ambulanze con le insegne  rosso-arancione sono ferme dove qualcuno intravede delle salme o ritiene  semplicemente che possano esservene. Si scava a mano, i civili aiutano.  E i corpi estratti si contano a dozzine.
Quando arriva il  tramonto i corpi estratti non solo qui ma anche negli altri quartieri  più investiti dai combattimenti - da Khan Younis a Beit Hanoun - sono  oltre 90 e, secondo un conteggio del ministero della Sanità di Gaza,  afferma il portavoce Ashraf Al-Qidra, «portano oltre quota 1000 il  totale dei palestinesi morti» dall’inizio di «Protective Edge» mentre i  feriti sono almeno 6000. Cresce anche il bilancio di perdite israeliane:  37 soldati e tre civili, incluso un lavoratore thailandese. La  maggioranza delle vittime palestinesi a Sujayia sono civili ma dalle  macerie viene anche estratto il corpo di un uomo con a fianco un  kalashnikov. La piccola folla che circonda i soccorritori appena vede  l’arma reagisce ritmando il grido «Allah u-Akbar» perché riconosce nel  morto uno degli uomini armati a cui Hamas aveva affidato la difesa di  uno dei quartieri da dove partivano tunnel sotterranei diretti verso il  territorio israeliano. 
I blindati di Tsahal sono poco distanti ed i  soldati restano impegnati nella ricerca di altri tunnel mentre fra i  civili che si aggirano nel deserto di macerie prevalgono rabbia,  irritazione, dolore. C’è chi grida «che c’entrava la mia casa con i  tunnel?», chi indica asini morti e automobili scaraventate da 50 metri  di altezza come la prova della «brutalità degli israeliani» e chi cova  risentimento anche nei confronti di Hamas «perché noi non c’entriamo con  questa guerra». Sono testimonianze spontanee che si riversano sui  taccuini dei reporter mentre i soccorsi continuano senza interruzione.  Mohammed Nasser grida «barella!» alla volta della più vicina ambulanza:  hanno recuperato i corpi di sei suoi familiari ma ne mancano altri tre  all’appello. Chi si allontana lo fa portandosi dietro gli oggetti di  famiglia recuperati – lumi, lenzuola, pentole, tappeti – per portarli  nelle scuole dell’Onu dove alloggiano gran parte degli oltre 140 mila  sfollati a causa dei combattimenti. L’estensione della tregua umanitaria  fino a mezzanotte dà più tempo a chi si attarda fra le macerie ma  prevale l’atmosfera di incertezza su cosa  potrebbe avvenire. Anche  perché in serata Hamas lancia quattro colpi di mortaio sul Sud di  Israele. Si muore anche nel Sinai egiziano, in un villaggio a Sud di  Rafah - la città divisa dal confine con Gaza - dove alcuni razzi caduti  hanno ucciso almeno due bambini, ferendone altri due. Le forze egiziane  stanno tentando di appurare se i razzi sono arrivati dalla Striscia  oppure dal Sinai, dove i jihadisti di Beit al-Maqqdis si scontrano con i  soldati: nelle ultime 48 ore hanno ucciso due generali e perduto 12  uomini.      
LA STAMPA - Maurizio Molinari: " Ancora razzi su Israele Hamas: no al cessate il fuoco"
             «La resistenza è forte, nessuno sulla Terra è in grado di piegare  la nostra gente, non ci fermiamo». È  il leader di Hamas nella Striscia  di Gaza, Ismail Hanyeh, a far sapere che riprendono gli attacchi a  Israele allo scadere della tregua umanitaria di 12 ore. Le parole di  Hanyeh arrivano proprio allo scadere del cessate il fuoco chiesto  dall’Onu, mentre Hamas lancia razzi su Ashkelon, Ashdod, Sderot, Netivot  e Tel Aviv.
 Gli attacchi servono per testimoniare il rifiuto  opposto all’ipotesi di protrarre la tregua di altre quattro ore. Il  governo israeliano si era detto a favore, ipotizzando anche un  prolungamento ulteriore di 24 ore, ma Hamas non ne vuole sapere. Per il  segretario di Stato americano John Kerry è un nuovo smacco in una  mediazione disseminata di difficoltà: nel pomeriggio a Parigi incontra i  colleghi di Germania, Gran Bretagna, Francia, Italia, Turchia e Qatar  discutendo come «rendere stabile l’attuale cessate il fuoco umanitario».  «La priorità è fermare la perdita di vite umane» afferma il francese  Laurent Fabius e l’italiana Federica Mogherini sottolinea l’importanza  di uno «sforzo coordinato ed univoco» da parte di tutti i presenti. In  particolare, l’Unione europea guarda al ruolo di Abu Mazen: il leader  dell’Autorità nazionale palestinese a cui il Cairo chiede di schierare i  propri uomini ai valichi di Gaza, per poterli così riaprire. «Dobbiamo  dare sicurezza a Israele e un futuro ai palestinesi» aggiunge Kerry,  ribadendo l’intenzione di avere in Abu Mazen un interlocutore-chiave,  capace di rappresentare Hamas. 
Ma le speranze di un prolungamento  della fragile intesa fra Hamas e Israele si dissolvono con le parole di  Hanyeh, dopo le quali il gabinetto ristretto del premier Benjamin  Netanyahu si riunisce d’urgenza per esaminare lo scenario di una  «estensione delle operazioni militari a Gaza» suggerita dal ministro  della Difesa Moshe Yaalon. Per il ministro degli Esteri, Avigdor  Lieberman, bisogna «continuare le operazioni e arrivare a disarmare  Hamas» anche perché «abbiamo il sostegno della comunità internazionale».  «Se dovessimo fermarci ora - aggiunge Lieberman - Hamas continuerebbe a  costruire razzi e razzi, e quanto abbiamo fatto si rivelerebbe poco  cauto». 
Ciò che più conta per Gerusalemme in questo momento è la  convergenza di posizioni con Riad e il Cairo, entrambi nemici giurati di  Hamas, a cui imputano i legami con i Fratelli Musulmani in Egitto. I  comandi militari israeliani premono in particolare per estendere il  controllo del terreno dentro la Striscia al fine di identificare anche i  rimanenti tunnel di Hamas: ve ne sarebbero almeno 20 ancora da  scoprire. A Tel Aviv il sindaco è stato preso in contropiede dalla  scelta di Hamas: credeva nel cessate il fuoco al punto da autorizzare  una dimostrazione di attivisti pro-pace, contrari all’intervento di  terra a Gaza da parte di Netanyahu, ma si è poi trovato nella necessità  di vietarla perché «la ripresa dei lanci di razzi mette a serio rischio  la vita umana di chi vi partecipa».
LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Putin oggi è più vicino a Netanyahu "
 
             Mosca ora ha una linea meno filo-araba. Perché? 
Nella  partita diplomatica attorno al conflitto di Gaza spicca la posizione  del Cremlino. La Russia, tradizionale protettrice degli interessi arabi,  questa volta ha scelto una posizione più equilibrata. In una  conversazione telefonica a tre con Obama e Netanyahu, il leader russo  Putin ha detto di «comprendere le preoccupazioni di Israele per la  sicurezza dovute agli attacchi caotici portati da missili tirati a  caso». E il ministro degli Esteri, Lavrov, si è premurato di rendere  pubblica tale posizione, aggiungendo che «un razzo lanciato da Gaza è  caduto a 1 km di distanza dalla nostra ambasciata a Tel Aviv» e che «la  calma a Gaza dev’essere ripristinata con i negoziati e non sulla base  dell’opposizione a Israele». Se a ciò si aggiunge che nelle  dichiarazioni di Mosca la richiesta di Hamas di porre fine al blocco di  Gaza non viene più ripetuta da qualche settimana ce n’è abbastanza per  intuire che il Cremlino vuole assumere una posizione cauta su Gaza. Se  da un lato Mosca non considera Hamas un gruppo terroristico (al  contrario di Usa e Ue), è favorevole al governo di unità Fatah-Hamas e  ha votato per la condanna di Israele al Consiglio Onu dei Diritti Umani,  dall’altro ha scelto di esprimere le posizioni con un profilo basso,  bilanciandole con la «comprensione di Israele» impegnata a difendersi  dai razzi. Per tentare di comprendere la genesi di tale scelta bisogna  tener presenti due elementi: la scelta di Netanyahu di non criticare  Mosca sulla crisi Ucraina ha portato ad un rafforzamento dell’intesa  personale con Putin, evidenziata dalla recente creazione di un telefono  rosso fra i due, mentre il corteggiamento russo del presidente egiziano  Al-Sisi spinge Mosca a prestare più attenzione alle posizioni del Cairo,  molto ostili a Hamas. 
LA STAMPA - Francesca Paci: " 'Qui nessuno ricorda un giorno senza bombe'  "
Francesca Paci
             Razan Najjar ha 24 anni, è laureata in letteratura inglese ma  vorrebbe fare la fotografa, vive al centro di Gaza City e da 19 giorni è  accampata con i genitori e le sorelle a casa del fratello, in un  edificio più sicuro del loro : «Oggi (ieri ndr) la città sembrava  impazzita. Come se nessuno ricordasse più una giornata intera senza  bombardamenti, spari, razzi, morti. Il cessate fuoco ci ha portati tutti  in strada. Le donne al supermercato, i bambini a giocare a pallone  dovunque, i ragazzi come me a cercare gli amici anche solo per un selfie  insieme. Perfino gli sfollati, quelli costretti a dormire per strada  perché le loro abitazioni sono state evacuate, perfino le famiglie che  hanno perso tutto erano in giro a sorridere, festeggiare, una specie di  festival del minimo della vita. Dicono che la tregua sarà prolungata,  chissà, non chiedo altro. Da giorni mi ripeto che le nostre speranze di  popolo palestinese, una patria, un passaporto, la libertà di stare o di  andare via, che qualsiasi dei sogni con cui sono cresciuta non vale  questo inferno».
Per esprimere la propria opinione alla Stampa, telefonare al numero 011/85661 oppure cliccare sulla e-mail sottostante
           




    













