Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Cecilia Zecchinelli continua a non capire nulla di quanto avviene in Israele basta leggere il suo articolo di oggi
Testata: Corriere della Sera Data: 18 giugno 2014 Pagina: 15 Autore: Cecilia Zecchinelli Titolo: «I nastri e l'abbraccio di tre madri Israele prega per i ragazzi rapiti»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 18/06/2014, a pag. 15, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo "I nastri e l'abbraccio di tre madri. Israele prega per i ragazzi rapiti" Mentre i famigliari dei ragazzi rapiti testimoniano della vicinanza e della solidarietà dell'intero Israele, l'articolo si chiude con un'affermazione inaccettabile. Ci chiediamo infatti su cosa Cecilia Zecchinelli fondi la convinzione che "la comunità di Nof Ayalon e la yeshiva di Kfar Etzion, pur su «frequenze» diverse, sono però isole a parte in Israele, dove la politica e l'escalation militare sono in assoluto primo piano. E dove anche ieri i media hanno segnalato decine di arresti, la volontà del governo di «farla finita con Hamas», le difficoltà dell'Autorità palestinese. Dimenticando ormai, o quasi, l'evento che ha dato inizio alla crisi sei giorni fa e i suoi tre protagonisti". L'attuale risposta politica e militare al terrorismo mira proprio ad ottenere la liberazione dei tre ragazzi rapiti, oltre che a prevenire nuovi sequestri e attentati. L'affermazione di Cecilia Zecchinelli è perciò completamente falsa: tutto Israele è accanto ai tre ragazzi rapiti e alle loro famiglie. La giornalista del CORRIERE dimostra solo di non essere sufficientemente attenta, anche sul piano umano, per comprendere un dramma che coinvolge l'intero paese
Di seguito, l'articolo:
Cecilia Zecchinelli
All'ingresso di casa Frenkel, sotto un gazebo di tela rossa, i ragazzi della vicina yeshiva leggono il Talmud ondeggiando. «Preghiamo perché Naftali torni presto a quello che ama, la famiglia e noi amici, lo studio e il basket , dice Yakov, 16 anni, coetaneo e dirimpettaio di uno dei tre giovani israeliani scomparsi giovedì e ostaggio, secondo il governo, di Hamas. «In realtà non sappiamo chi li ha presi, Hamas è il male ma la politica la lasciamo ai politici. Qui a Nof Ayalon siamo 600 famiglie pacifiche, né ultraortodossi né coloni, la Cisgiordania è vicina ma ne siamo fuori precisa Yosef, un residente 60enne —. Se vuole può definirci ebrei della classe media, religiosi, moderni e sofisticati o almeno vorremmo esserlo e certo lo saranno i nostri figli, come Naftali che conosco da quando è nato e come i suoi sei fratelli e sorelle». Dentro alla bella villa dei Frenkel, protetta da siepi di benjamin e pochi poliziotti, è in corso il primo incontro tra le tre famiglie protagoniste del dramma che scuote Israele da giorni. Gli Shaer, genitori di Gilad, compagno di Naftali alla scuola religiosa di Kfar Etzion, a Sud di Betlemme, dove è avvenuto il rapimento. E gli Yifrach, madre e padre di Eyal, il 19enne caricato per caso dalla stessa auto mentre faceva l'autostop vicino ai due amici. «Noi famiglie non ci eravamo mai viste ma era importante conoscerci e stare insieme. L'incontro è stato spirituale, emozionante, delle indagini abbiamo discusso solo alla fine, poi ci ha pure chiamato il premier Netanyahu», ci dice la zia di Naftali, lllaet, basco viola e forte accento americano perché come tutti i Frenkel ha doppia nazionalità. «Di fronte a questo crimine ci sentiamo forti, abbiamo il sostegno del mondo a partire dagli Usa dove vive ancora mio fratello e da cui so che tanti pregano per noi». Forza e emozioni, niente politica: è quello che hanno trasmesso con i loro sorrisi nonostante tutto le tre coppie uscite poi nel vialetto, attese dai media locali. Dietro i mariti. Davanti le mogli, quasi sorelle negli abiti da ortodosse, foulard in testa e gonne lunghe, che si sono abbracciate strette. «E presto vogliamo abbracciare così i nostri figli, siamo fiduciosi perché tutta la nazione ebraica è con noi, sentiamo un amore tremendo», ha detto Racheli Frenkel, più abituata di Bat Galim Shaer e di Iris Yifrach a esprimersi in pubblico. «E' una donna combattiva e fantastica —commenta la reporter Yael Freidon —. Lo so perché sono stata sua allieva nello studio della Torah, lei è stata tra le prime che hanno osato insegnarla alle donne». Nella piccola folla, sotto un sole infuocato, non ci sono solo i media. Per dare consigli è arrivato l'ex ministro della Giustizia Yakov Neiman, per offrire solidarietà il padre di Avi Avitan, il soldato rapito e ucciso nel 2000 da Hezbollah. E dagli Usa è venuto fin qui l'anziano cantante Tony Orlando, che 41 anni fa lanciò la canzone «Tie a Yellow Ribbon» a cui si è poi ispirato l'uso di legare nastri gialli agli alberi in attesa del ritorno di ostaggi. «Mi impegno perché ogni americano esponga tre nastri gialli fino alla liberazione di Naftali, Eyal e Gilad», ha detto. E tre ne ha lasciati sulle siepi di benjamin a Nof Ayalon. Emozioni, ma diverse, si respirano 50 chilometri più a Sud, nella yeshiva del kibbutz di Kfar Etzion dove Gilad e Naftali avrebbero dovuto dare gli esami proprio in questi giorni. I loro 300 compagni al liceo rabbinico sembrano stanchi di visite, ricordi e dolore. Nessuno ha voglia di parlare ancora di questa storia di cui potrebbero essere loro le vittime, perché tutti qui fanno l'autostop. Invece studiano, pregano e rimandano al direttore, Avi Sarel, che si dichiara «ottimista», ma provato anche lui da una celebrità non voluta: «A parte Netanyahu — dice — sono venuti fin qui proprio tutti». La comunità di Nof Ayalon e la yeshiva di Kfar Etzion, pur su «frequenze» diverse, sono però isole a parte in Israele, dove la politica e l'escalation militare sono in assoluto primo piano. E dove anche ieri i media hanno segnalato decine di arresti, la volontà del governo di «farla finita con Hamas», le difficoltà dell'Autorità palestinese. Dimenticando ormai, o quasi, l'evento che ha dato inizio alla crisi sei giorni fa e i suoi tre protagonisti.
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