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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Corriere della Sera - La Repubblica Rassegna Stampa
27.05.2014 Si conclude il viaggio del Papa in Israele
Cronache di Maurizio Molinari e Fabio Scuto, intervista di Gian Guido Vecchi

Testata:La Stampa - Corriere della Sera - La Repubblica
Autore: Maurizio Molinari - Gian Guido Vecchi - Fabio Scuto
Titolo: «L'abbraccio del Papa alle vittime del terrore e alla storia di Israele - Il colloquio con Francesco sull'aereo 'Non escludo altri Papi emeriti' - Quella lettera a Peres ecco come Bergoglio lavora per la pace»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 27/05/2014, a pag. 23, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "L'abbraccio del Papa alle vittime del terrore e alla storia di Israele" e dal CORRIERE della SERA, a pag. 24, l'intervista di Gian Guido Vecchi a Papa Bergoglio, dal titolo "Il colloquio con Francesco sull'aereo 'Non escludo altri Papi emeriti' ", da REPUBBLICA, a pag. 27, l'articolo di Fabio Scuto dal titolo "Quella lettera a Peres ecco come Bergoglio lavora per la pace".  
Dell'intervista di Vecchi segnaliamo i passaggi relativi all'invito rivolto ad Abu Mazen e Shimon Peres, alla causa di beatificazione di Pio XII e allo status di Gerusalemme.
L'articolo di Scuto, che ipotizza un conflitto tra il presidente d'Israele Peres e il premier Netanyahu,  si basa sulla mancata comprensione della distinzione di ruoli tra i due. Mentre Peres rappresenta Israele ed esplora ogni strada per pervenire a un accordo di pace, ma non ha potere esecutivo, Netanyahu ha la responsabilità di condurre le trattative di pace e di accettare accordi solo se non compromettono l'esistenza e la sicurezza dello Stato. 

Ecco gli articoli:

                                                                                         
                                        
Al memoriale delle vittime del terrorismo               A Yad Vashem



Alla tomba di Theodor Herzl


LA STAMPA - Maurizio Molinari - L'abbraccio del Papa alle vittime del terrore e alla storia di Israele


Maurizio Molinari 

Papa Francesco termina il pellegrinaggio in Terra Santa con due gesti carichi di significato destinati a Stato e popolo d’Israele: prima in raccoglimento davanti al muro delle vittime del terrorismo e poi inchinato davanti a sei sopravvissuti della Shoah, archivia un viaggio segnato in ogni tappa da momenti emotivi.
Nel primo giorno, in Giordania, la scelta era stata di toccare le acque di Betania dove Gesù fece il battesimo, per evocare la difesa dei diritti dei cristiani in Medio Oriente, e nel secondo, a Betlemme, la sorpresa è arrivata con la sosta davanti a un tratto del muro di separazione, costruito da Israele nel 2002 per difendersi dagli attentati e vissuto con sofferenza dalla popolazione palestinese. A Gerusalemme la sorpresa si ripete, sempre davanti a un muro. Quando la carovana di auto del Pontefice lascia il Muro del Pianto per dirigersi verso Monte Herzl fa una deviazione inattesa e raggiunge il memoriale che ricorda le vittime degli attentati, in Israele e all’estero. Francesco ha a fianco il presidente Shimon Peres e il premier Benjamin Netanyahu ed è quest’ultimo che gli mostra la lapide in ricordo delle 85 vittime del massacro di Buenos Aires, quando nel 1994 un’autobomba fece strage nella sede della maggiore organizzazione ebraica argentina. Allora Bergoglio era vescovo ausiliario di Buenos Aires, ricorda quanto avvenne, si ferma in raccoglimento, posando entrambe le braccia sul muro in pietra. L’omaggio alle vittime del terrorismo raggiunge il pubblico israeliano lì dove è più sensibile e Francesco, riferendosi agli attentati, pronuncia la frase «Mai più». Torna così su un concetto che in precedenza aveva espresso al Gran Mufti di Gerusalemme: «Non bisogna strumentalizzare la violenza in nome di Dio». Ovvero, basta terrorismo. Passano pochi minuti e Francesco ripete «Mai più», riferendosi questa volta alla Shoah, davanti alla fiamma perenne dello Yad Vashem, il memoriale per i sei milioni di ebrei trucidati dai nazifascisti. «Uomo cosa hai fatto? Dio salvaci da questa mostruosità» afferma il Papa, che sul libro d’onore scrive «Vergogna per l’uomo che si è fatto Dio per sacrificare i propri fratelli». E non si limita alle vibranti parole ma va oltre, compiendo un gesto di rispetto personale per i sopravvissuti che incontra: bacia a ognuno la mano. Avraham Friedberg è sopravvissuto ad Auschwitz, Chava Shik ha visto la famiglia sterminata sul Danubio, Joseph Gottdenker è stato salvato da una famiglia polacca, Moshe Ha-Elion ha fatto la marcia della morte, Eliezer Grynfeld ha assistito alla liquidazione del ghetto di Lodz e Sonia Geron è vissuta per due anni con i partigiani ebrei nei boschi della Bielorussia. Baciando le loro mani, Francesco si identifica con la memoria dei singoli che compone l’identità collettiva di Israele e ciò contribuisce a comprendere perché viene accolto come una star: dai talk show tv addobbati con bandiere vaticane alle dirette no-stop su etere e web. Neanche Barack Obama nel 2013 aveva ricevuto una simile attenzione.
Ma dietro le quinte qualcosa è avvenuto. È stato l’ufficio del premier Netanyahu a far sapere a Francesco l’esistenza del memoriale delle vittime del terrorismo e il Pontefice ha deciso quindi di andarci, bilanciando di fatto il gesto di Betlemme. Ecco perché è Netanyahu, in due occasioni, a difendere con Bergoglio il muro di separazione: «Costruito per fermare i terroristi». Diversa l’atmosfera del Papa nell’incontro con Peres, a cui dice: «È uomo saggio e buono, lei prega per me e io prego per lei». Assieme discutono l’appuntamento di inizio giugno in Vaticano al fine di «pregare per la pace» assieme al presidente palestinese Abu Mazen tentando di far compiere un balzo al negoziato entro il 10 giugno, quando la Knesset eleggerà il nuovo capo di Stato d’Israele.

CORRIERE della SERA - Gian Guido Vecchi - 
Il colloquio con Francesco sull'aereo 'Non escludo altri Papi emeriti'


Gian Guido Vecchi

Dice che «abusare di un minore è come fare una messa nera», parla sereno della possibilità di dimissioni e di altri «Papi emeriti», risponde a tutto, salvo le europee: «In questi giorni ho pregato il Padre Nostro, non ho notizie delle elezioni». Sul volo El Al LY514, Francesco ha l'aria stanca ma, come promesso, arriva sorridente in fondo all'aereo per parlare ai settanta giornalisti che lo seguono da tutto il mondo e hanno preparato alcune domande, libere e non preannunciate. Anche questa è stata una giornata lunga. La preghiera al Muro occidentale e la scelta di lasciare fra le pietre il Padre nostro scritto di suo pugno in spagnolo, «con le parole miache mi ha insegnato  mamma». L'appello dalla Spianata delle moschee, «nessuno strumentalizzi con la violenza il nome di Dio!», e l'incontro allo Yad Vashem con sei sopravvissuti alla Shoah («mai più, Signore, mai più»), ai quali si è chinato a baciare la mano. La corona di fiori sulla tomba di Herzl, fondatore del sionismo, e la visita fuori programma al monumento per le vittime di attentati, «non più terroristi nel mondo!».
Santità, è stato un viaggio massacrante. Se un domani sentisse di non avere più forza, farebbe la stessa scelta di Benedetto XVI?
«Io farò quello che il Signore mi dirà di fare, bisogna pregare per cercare la Sua volontà. Ma credo che Benedetto non sia un caso unico. E successo che non aveva più forza e onestamente, da uomo di fede tanto umile, ha preso questa decisione. Settant'anni fa quasi non esistevano i vescovi emeriti. Cosa succederà con i Papi emeriti? Io penso che dobbiamo guardare a Benedetto come a una istituzione, lui ha aperto una porta, la porta dei Papi emeriti. Se ce ne saranno altri, Dio lo sa, ma la porta è aperta Un vescovo di Roma che sente le forze venir meno, credo debba farsi le stesse domande di Benedetto». Santità, come ha pensato al gesti di questo viaggio? La preghiera al muro di divisione, l'invito a Peres e Abu Mazen in Vaticano, baciare la mano dei sopravvissuti alla Shoah...
«I gesti più autentici sono quelli che non si pensano, vengono così. Come è stato allo Yad Vashem. L'invito rivolto ai due presidenti, invece, era un po' pensato perché la preghiera si svolgesse là, da loro, ma c'erano troppi problemi logistici: dove si va? Non è facile. Alla fine mi è venuto di dire quello». Nelle Chiesa si parla ormai di obbligo morale e legale contro la pedofilia. Ma che cosa farà, in concreto, quando un vescovo lo tradirà?
«In Argentina, dei privilegiati, diciamo: questo è un figlio di papà Ecco, su questo problema non ci saranno figli di papà. Ora ci sono tre vescovi sotto indagine. Di un altro, condannato, sto studiando la pena. È un reato tanto brutto, e a me interessa la Chiesa: un sacerdote che fa questo, tradisce il corpo del Signore. Deve portare un minore alla santità e invece ne abusa. Farò un paragone: è come fare una messa nera. A giugno incontrerò a Santa Marta alcune persone abusate, ci sarà una messa Si deve andare avanti, tolleranza zero».
Lei parla di Chiesa povera e per i poveri. A volte però vediamo scandali: l'appartamento di  Bertone, la festa nel giorno delle canonizzazioni, il buco di 15 milioni allo Ior...
«Gesù una volta ha detto ai suoi discepoli: è inevitabile che ci siano scandali. Siamo umani e peccatori, gli scandali ci saranno. Il problema è evitare che siano di più. Nella amministrazione economica serve onestà e trasparenza La Chiesa è sempre da riformare, dobbiamo stare attenti. Ma la nuova Segreteria per l'Economia aiuterà ad evitare scandali. Allo Ior sono stati chiusi circa 1.600 conti di chi non ne aveva diritto. Quanto al caso dei 15 milioni, è ancora sotto studio, non è ancora chiaro».
Potrete imparare qualcosa dagli ortodossi, ad esempio sul cellbato?
«La Chiesa cattolica ha preti sposati, tra i cattolici di rito orientale. II celibato non è un dogma di fede, è una regola di vita che io apprezzo tanto e credo sia un dono per la Chiesa Non essendo un dogma di fede, c'è sempre la porta aperta. Ma non ne abbiamo parlato, con Bartolomeo. L'unità si fa camminando insieme. Dovremmo risolvere il problema della data di Pasqua, adesso è un po' ridicolo: il tuo Cristo quando resuscita, la settimana prossima?».
Ha intenzione di andare avanti con la causa di beatificazione di Pio XII, o aspetta che si aprano gli archivi?
«La causa è aperta, io mi sono informato ma ancora non c'è nessun miracolo. E senza un miracolo la beatificazione non va avanti. Quindi ora non posso pensare a questo».
Lei suscita molte aspettative, dalla pace tra israeliani e palestinesi alla comunione al divorziati e risposati. Non teme fallimenti?
«L'incontro con i due presidenti sarà di preghiera, non per fare una mediazione. Ci riuniremo solo per pregare, ci sarà un rabbino e un esponente islamico, poi ognuno torna a casa. Ma la preghiera è importante. Quanto ai divorziati e risposati, il sinodo è sulla famiglia Un tema ampio, i giovani non si sposano...Non mi è piaciuto che alcune persone, anche nella Chiesa, parlassero come se la questione fosse solo quella Bisogna comunque chiarire che i divorziati non sono scomunicati e non vanno trattati come scomunicati. Benedetto XVI per tre volte aveva suggerito di studiare le procedure di nullità matrimoniale. Studiare la fede con cui una persona si sposa».
Come risolverebbe la questione di Gerusalemme?
«Le misure concrete per la pace vanno discusse in un negoziato tra le parti. Io non mi sento competente, sarebbe una pazzia da parte mia. La Santa Sede ha la sua posizione dal punto di vista religioso: la città sia custodita come la capitale di tre religioni».

LA REPUBBLICA - Fabio Scuto - Quella lettera a Peres ecco come Bergoglio lavora per la pace


Fabio Scuto

GERUSALEMME L'invito a Roma lanciato da Papa Bergoglio al presidente Shimon Peres e al presidente palestinese Abu Mazen per «una preghiera di pace» in Vaticano è il frutto di una molto discreta operazione diplomatica che la Santa Sede ha compiuto nei giorni immediatamente precedenti la visita del Pontefice in Terrasanta. La settimana scorsa il Nunzio apostolico in Israele, Monsignor Giuseppe Lazzarotto, ha chiesto di essere ricevuto privatamente da Peres per consegnargli una lettera personale del Pontefice. Si trattava di un tentativo di Papa Bergoglio di tastare il terreno con il vecchio statista israeliano per verificare se l' idea avesse una speranza di concretizzarsi; contemporaneamente anche Abu Mazen veniva informato del progetto dalla diplomazia vaticana. Peres ha accolto l'idea del Papa. Ne ha informato il primo ministro Netanyahu — con il quale nell'ultimo anno gli scontri sugli esiti della trattativa di pace sono continui — ma senza chiedere alcun permesso di recarsi in Vaticano. Ha semplicemente informato il premier che quella era la propria intenzione. Non è un caso che solo pochi minuti dopo che la tv aveva rilanciato le immagini da Betlemme con l'invito del Papa in Vaticano, il Capo di stato israeliano abbia fatto sapere di aver accettato l'invito. Perché si può ( forse) dire di "no" all' invito del presidente Obama alla Casa Bianca ma non a quello del Papa, e Netanyahu ha dovuto incassare il colpo. I due leader israeliani non si sono mai amati né politicamente né personalmente. Dietro i sorrisi per le photo-opportunity, c'è una sfida senza esclusione di colpi. Solo due settimane fa Peres si è tolto un altro sassolino dalla scarpa, accusando Netanyahu di aver fatto fallire nel 2011 un accordo di pace da lui negoziato con Abu Mazen e che era a portata di mano. Repubblica è in grado di rivelare che Peres e Abu Mazen si incontrarono in segreto per due volte ad Amman nel 2011. I due leader avevano trovato anche il modo di risolvere la disputa sul riconoscimento di Israele come Stato ebraico per mezzo di un' idea originale: l'intesa di pace sarebbe stata firmata «per conto dello Stato palestinese» da Abu Mazen e «per conto dello Stato ebraico» da Netanyahu. In questo modo — de facto— Abu Mazen avrebbe riconosciuto che Israele è lo Stato-nazione degli ebrei. Si sarebbe aggirato lo scoglio che blocca la trattativa di pace da tre anni. Un terzo incontro dove si prevedeva di firmare una lettera di intenti che erano in grado di mettere in moto colloqui diretti venne annullato, perché Netanyahu disse a Peres di essere certo che Tony Blair— l'inviato del Quartetto — era sul punto di raggiungere un accordo migliore. Ma poi, sono parole di Peres, «i giorni passarono senza che l'accordo migliore si concretizzasse». Peres nella sua ricerca di un accordo con i palestinesi non si è mai arreso ma adesso si trova nella scomoda condizione di essere ormai al termine del mandato: a fine luglio dovrà passare la mano al successore, che sarà eletto dalla Knesset tra quindici giorni. Da settimane il processo di pace ristagna, anzi regredisce. Dopo l'accordo di riconciliazione fra Fatah e Hamas ( gli integralisti palestinesi che negano il diritto all'esistenza di Israele ), Netanyahu ha infatti decretato un congelamento totale dei contatti con i dirigenti palestinesi, incluso Abu Mazen. Di fronte a questa situazione, Bergoglio ha coraggiosamente cercato di smuovere le acque; Mazen e Peres sono pronti ad assecondarlo. Ma è chiaro per tutti che l'interlocutore decisivo resta Netanyahu. Per il premier il ritorno di Hamas sulla scena politica palestinese blocca sul nascere ogni nuova iniziativa di dialogo: anche se questa giunge da un Pontefice come Bergoglio che è riconosciuto dal governo israeliano — e la sua visita lo ha dimostrato— come un grande amico del popolo ebraico.

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