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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Rassegna Stampa
22.05.2014 Così Israele protegge la propria sicurezza
Intervista a Maurizio Molinari

Testata:
Autore: la redazione
Titolo: «La messa in sicurezza»
Riprendiamo da LOOK OUT, supplemento mensile a PANORAMA, di maggio 2014,  a pagg. 44-45 un' intervista a Maurizio Molinari, corrispondente per la STAMPA da Gerusalemme, dal titolo "La messa in sicurezza".


Maurizio Molinari Benyamin Netanyahu


Il vertice 5+1 sul nucleare iraniano

"Il Medio Oriente è una regione dove la percezione produce frutti concreti, si trasforma in realtà. Se Teheran sarà in grado di mantenere l'arricchimento dell'uranio al termine di un braccio di ferro con la comunità internazionale in corso da oltre dieci anni, sarà percepita come una potenza nucleare, a prescindere se ha o meno I' atomica. Israele, come anche l'Arabia Saudita, le monarchie del Golfo e l'Egitto, temono tale scenario perché implica la trasformazione dell'Iran nel Paese più temuto, e dunque influente, dell'intero Medio Oriente. Con conseguenze a pioggia a favore dei suoi alleati: Hezbollah, Hamas, i Fratelli Musulmani e le minoranze sciite, dallo Yemen all'Arabia Saudita. E questo smottamento strategico l'incubo peggiore di israeliani e sunniti, sul quale s'inseriscono le informazioni, contenute negli ultimi rapporti dell'Agenzia atomica dell'ONU, che riguardano i possibili aspetti nucleari del programma iraniano. In particolare, il reattore ad acqua pesante di Arak e i test sui detonatori svolti a Parchin vengono indicati, da tali documenti, come gli interrogativi a cui Teheran deve dare più urgentemente risposta".
Maurizio Molinari, da Gerusalemme, descrive così i timori di Israele, il cui governo ritiene di non poter avere reali garanzie dai negoziati sul nucleare in corso a Vienna tra Teheran e il Gruppo 5 +1  
"Israele non è parte diretta nei negoziati del Gruppo 5 +1 con l'Iran sul programma nucleare ma gli Stati Uniti hanno scelto di coinvolgerla e informarla sugli sviluppi - ricorda il corrispondente per La Stampa - La tesi del governo di Gerusalemme è che per avere successo tali negoziati devono portare alla fine dell'arricchimento dell'uranio da parte dell'Iran. Il motivo è che l'Iran, per Israele, è oramai in possesso del know-how per realizzare un ordigno e l'unica maniera per impedirglielo è smantellare le 19mila centnfughe che possiede.
Per l'Iran l' arricchimento dell'uranio invece è un diritto acquisito che punta a vedere sancito dalla comunità internazionale, proprio grazie ai negoziati. Non credo che Israele o Iran modificheranno le rispettive posizioni, in lampante contrasto
". Ciò nonostante, la vita va avanti e sul Paese non grava Io spettro della crisi europea. "Israele attraversa una forte fase di espansione economica, dovuta al boom dell'hi-tech, a un mercato immobiliare in costante crescita e agli investimenti in arrivo sul versante dell'energia, dal Texas all'Australia fino alla Russia". Insomma, i consumi crescono e il benessere è visibile. "Ma ciò non toglie che resta una nazione la cui spina dorsale sono le forze armate. Dunque, la percezione di ogni possibile minaccia è immediata. Si diffonde in un attimo, ovunque. Sono i due volti della società israeliana". E non si tratta solo di minaccia nucleare: "Iran a parte, la maggiore minaccia per Israele viene dalle aree lungo i propri confini dove vi sono gli 'Stati falliti' come la Siria, i gruppi militari apertamente ostili, Hezbollah nel Libano del Sud e Hamas a Gaza. Oppure, situazioni di forte instabilità, come nel Sinai egiziano. In concreto, ciò significa che su cinque confini terrestri, Israele ne ha ben quattro ad allo rischio, ovvero da dove possono arrivare attacchi militari diretti. Per proteggersi da tale minaccia, Israele si è dato una strategia". Quale? "É quella che alcuni esperti militari hanno denominato 'strategia del castello'. Essa ha tre componenti: barriere fisiche difensive rafforzate, minuziosa raccolta d'intelligence su cosa avviene nel territorio a ridosso del confine, blitz oltrefrontiera per colpire e neutralizzare la minaccia prima che si concretizzi. Tale strategia 'del castello' spiega l'intensificazione degli attacchi israeliani in territorio siriano". Ma quanto consenso politico ha il governo di Benjamin Netanyahu per portare avanti tale strategia? "Nell'opposizione al nucleare iraniano, il premier può contare su un governo compatto, una maggioranza in Parlamento più larga rispetto a quella che sostiene l'esecutivo e un vasto sostegno popolare. La grande maggioranza degli israeliani ritiene che se Teheran arriverà all'atomica tenterà di usarla contro Israele, lanciandola con un missile a lungo raggio o affidandola ad un gruppo terroristico. Questo è il motivo per cui Netanyahu è esplicito nella minaccia del ricorso alla forza per bloccare il programma nucleare di Teheran. Quando si parla di forza bisogna immaginare più opzioni e scenari: ad esempio, da tempo le unità cibernetiche dell'esercito israeliano bersagliano gli impianti iraniani e, dunque, non si può escludere che l'eventuale decisione di colpire possa concretizzarsi con mezzi finora mai adoperati. Fermo restando l' ipotesi di un blitz tradizionale che potrebbe avere il consenso, e dunque il sostegno logistico, di molti Paesi sunniti". Quali sono le posizioni assunte dai vari partiti in merito a questo scenario? "I partiti della coalizione, dal Likud a Bait HaYehudì, hanno posizioni più dure del governo. Anche Yesh Atid, del leader laico Yair Lapid, è su posizioni dure al riguardo. Mentre, tra le forze di opposizione, sono i partiti arabi gli unici ad opporsi allo scenario di un ricorso alla forza. Il leader più in difficoltà è Isaac Herzog, capo dei laburisti, perché consapevole che la carta-Iran gioca comunque a favore di Netanyahu. A dimostrarlo è anche la convergenza di approccio sull'Iran tra Netanyahu e il leader politico più in grado di rivaleggiare con lui, il novantenne presidente Shimon Peres". Resta aperta la questione Palestina. "I negoziati sono in una fase di impasse che si spiega non solo con i disaccordi contingenti sul prolungamento delle trattative oltre la scadenza del 29 aprile, stabilita dai mediatori Usa, ma con l'affermarsi, in entrambi i campi, di un forte scetticismo sulla possibilità di arrivare a un accordo finale basato sulla formula dei "Due Stati" Tanto fra gli israeliani come tra i palestinesi sta maturando la convinzione di dover esplorare vie alternative. Questa è la maggiore novità all'orizzonte".

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