Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Offensiva terrorista di Boko Haram Cronaca di Paolo G. Brera
Testata: La Repubblica Data: 21 maggio 2014 Pagina: 17 Autore: Paolo G. Brera Titolo: «Vendetta di Boko Haram: 200 morti»
Riprendiamoda REPUBBLICA di oggi, 21/05/2014, a pag. 17, l'articolo di Paolo G. Brera dal titolo "Vendetta di Boko Haram: 200 morti".
Strage al mercato di Jos in Nigeria
«Duecento morti», dicono le prime cronache nigeriane commentando l’orrore di fotografie che mostrano decine di corpi carbonizzati e devastati, e pile di cadaveri raccolti e accumulati tra sangue e fumo, tra frutta rovesciata e brandelli di vesti. Ieri alle 14,30 e alle 15 locali due autobomba hanno fatto esplodere i due anni di pace relativa a Jos, nella città di frontiera che domina dall’altopiano le due Nigerie in lotta, quella musulmana del nordest e quella cristiana del sud. Non ci sono rivendicazioni ma la firma assassina è quasi certamente di Boko Haram, i terroristi islamici ripudiati anche da Al Qaeda ed esecrati in tutto il mondo per il rapimento di trecento studentesse: hanno lanciato una controffensiva di attentati che, dopo i 120 morti di aprile ad Abuja, lunedì è costata decine di morti anche a Kano. Hanno scelto di colpire dove e come il massacro sarebbe stato più grave, e hanno puntato sul mercato del terminal ferroviario dietro Ahmadu Bello Way, la strada principale di Jos. A quell’ora, raccontano decine di testimoni scioccati, c’erano migliaia di persone tra i banchi e gli uffici della zona, e tra le fermate degli autobus e dei taxi davanti alla stazione. Quando è esploso il furgone Peugeot J5 che qualcuno ora dice di aver notato parcheggiato da troppo tempo, la strage è stata immediata e inevitabile. Ma era solo il prologo, una dannata trappola per una strage anche peggiore. Mezz’ora più tardi, mentre gli uomini dei soccorsi cercavano di districarsi tra la folla dei curiosi per aiutare i feriti e spegnere l’incendio, una monovolume Toyota Sienna imbottita di esplosivo è saltata in aria portando con sé decine di anime. Le prime cronache ospedaliere parlavano di «almeno duecento vittime», ma il conteggio ufficiale della polizia è più prudente e parla di «almeno 118 morti e decine di feriti». Sono soprattutto donne, ancora una volta è sulle donne che si scarica l’odio e il furore islamista. Lo stato del Plateau, al confine con il fronte aperto del terrorismo islamico, è sconvolto. Le cronache dei testimoni oculari piovono sui social media e rimbalzano sui giornali con diverse declinazioni dell’orrore, su cui non ha senso indulgere. Ma sono le lacrime di un Paese che non sa da dove cominciare a cercare una via di riconciliazione, quelle che impressionano. Il dolore di chi chiede esausto la benedizione per i cristiani si salda con le liti sul diritto di costituire uno Stato indipendente islamico basato sulla Sharia. Nel mirino delle critiche, intanto, finisce il governo, già sotto tiro per non aver impedito il rapimento delle studentesse: dovrà rispondere a chi dice di aver segnalato alla polizia il van e il furgone sospetti, parcheggiati «da prima delle 6» in un’area così delicata. Nessuno, accusano, è andato a controllare.