Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Disinformazione per omissione: scompare la violenza contro Israele sul quotidiano comunista e su quello cattolico
Testata:Avvenire - Il Manifesto Autore: Susan Dabbous - Michele Giorgio Titolo: «La Naqba palestinese finisce nel sangue - Giorno della Nakba. Due giovani uccisi dal fuoco israeliano»
Riportiamo da AVVENIRE di oggi, 16/05/2014, a pag. 20, l'articolo di Susan Dabbous dal titolo "La Naqba palestinese finisce nel sangue" e dal MANIFESTO, a pag. 8, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo "Giorno della, Nakba Due giovani uccisi dal fuoco israeliano". L'articolo di Susan Dabbous ripropone i temi della propaganda palestinese sui "profughi" del 1948 e sui loro discendenti, oltre che sulla barriera di separazione. Le guerre scatenate per distruggere Israele, che originarono il problema dei profughi, la volontà di perpetuarlo come arma di delegittmazione, il terrorismo, che rende necessaria la barriera di sicurezza, sono completamente omessi. Dabbous riporta però correttamente le circostanze del ferimento, e della successiva morte, di Muhammad Abu Thahr eNadim Nuwara: un assalto armato durante il quale "i giovani palestinesi hanno iniziato a lanciare sassi e molotov contro la polizia israeliana che ha risposto" Michele Giorgio, sul MANIFESTO omette invece anche questa circostanza, facendo così credere al lettore che la polizia israeliana abbia sparato contro una manifestazione pacifica.
Lanci di sassi durante una "manifestazione" palestinese
Ecco gli articoli:
AVVENIRE - Susan Dabbous - La Naqba palestinese finisce nel sangue
Susan Dabbous
GERUSALEMME pallottole di gomma come proiettill letali. È già alto il sole sopra Ramallah quando Muhammad Abu Thahr di 22 anni e Nadim Nuwara di 17, arrivano quasi esanimi all'ospedale dove troveranno la morte pochi minuti dopo. È iniziato così, ieri, il 66esimo anniversario dell'esodo di massa palestinese del lontano 1948, seguito alla proclamazione d'indipendenza dello Stato d'Israele. Un esodo che in arabo prende il nome di «Naqba», catatrofe, la cui commemorazione ogni anno porta con sé manifestazioni e un'immancabile scia di morti e feriti. Muhammad e Nadim stavano protestando insieme a un gruppo di altre 150 persone (per lo più coetanei) nei pressi della prigione di Ofer, poco fuori Ramallah. Scandendo slogan antisraeliani e chiedendo la liberazione dei prigionieri, i giovani palestinesi hanno iniziato a lanciare sassi e molotov contro la polizia israeliana che ha risposto. «Sono stati colpiti al cuore e al collo», ha spiegato una fonte ospedaliera. Chiara la versione della polizia: «Abbiamo risposto ad una minaccia che stava mettendo in pericolo la vita degli agenti»; anche in questo caso, come in altri analoghi, le autorità israeliane apriranno un'inchiesta per fare chiarezza sull'uso della forza. Intanto le ore passano e le manifestazioni si moltiplicano, a Gaza, a Hebron e Nablus, i luoghi simbolo dell'occupazione che, contrariamente ad altre città palestinesi, sono stati tagliati fuori dai benefici elargiti informalmente dagli israeliani a una piccola parte di borghesia palestinese: soprattutto di Betiemme e Gerusalemme Est. Ma è in giorni come ieri che tutti si ri-posizionano sulla linea del fronte, una linea diversa da quella del 1948, segnata oggi dal muro di cemento, costruito nel 2002, e da vecchi e nuovi checkpoint come quello di Qalandiya. È qui che i ragazzi sfidano i soldati per camminare sulla cresta del muro. Pochi minuti di insano equilibrismo, giusto il tempo di lanciare una pietra dall'altra parte, in Israele, senza guardare quel vuoto pauroso di otto metri che somiglia tanto alle loro vite. «Mettiamo al mondo figli senza un futuro», dice una madre a Ramallah. Sono tante le donne che affollano la piazza di fronte alla tomba diYasserArafat. E urlano dopo i 66 secondi di rimbombo di sirene: 66 come gli anni passati dalla Naqba, quando partirono 700.000 palestinesi per i Paesi limitrofi. Gli avi dei cinque milioni di profughi odierni che non possono tornare. «Nuove costruzioni e una legge che definisca chiaramente che Israele è lo stato del popolo ebraico», è la risposta a fine giornata del premier israeliano Benjamin Netanyahu. Seppure preceduta da qualche apertura: «Lo stallo nelle trattative di pace con i palestinesi non mi piace—dice—il mio staffè in cerca di opzioni per rimuovere gli ostacoli».
IL MANIFESTO - Michele Giorgio - Giorno della Nakba. Due giovani uccisi dal fuoco israeliano
Michele Giorgio
GERUSALEMME PALESTINA Giorno della, Nakba Due giovani uccisi dal fuoco israeliano Suheila ieri si è svegliata alle prime luci del giorno, ha pregato, ha bevuto un tè caldo ed è andata al cimitero non lontano dal campo profughi di Deheishe. «Sono passati dieci anni da quando è morto mio marito - racconta la donna con un filo di voce, chiedendoci di non rivelare la sua piena identità -, è spirato nella notte tra il 14 e 15 maggio, nell'anniversario della Nakba. Se ne è andato proprio nel giorno che più di ogni altro lo amareggiava, che più gli ricordava la sua condizione. Per me questo giorno è doppiamente triste, per la perdita di mio marito e per la nostra catastrofe nazionale». Suheila come tanti palestinesi, ha una buona parte della famiglia nei campi profughi, in Palestina e in Giordania. Anche per i suoi parenti in esilio quello di ieri è stato un giorno molto diverso dagli altri, un giorno in cui si piange e si sogna una vita lontano dai campi per rifugiati, nella terra d'origine, nel vecchio villaggio che ora non c'è più e al quale, comunque, non è possibile tornare. Una risoluzione dell'Onu sancisce il "diritto al ritorno" per i profughi palestinesi Israele si oppone e fa valere la sua forza, 66 anni dopo il 1948. Gli anniversari della Nakba non sono mai rituali per i palestinesi, ovunque essi siano. Perché troppo spesso sono bagnati dal sangue di giovani che della Catastrofe conoscono solo le conseguenze, che vivono ogni giorno sulla loro pelle. A maggior ragione se le commemorazioni si accompagnano ad altre iniziative di lotta. Come per la scarcerazione dei detenuti politici palestinesi. Ieri Muhammad Abu alThahir, 22 anni, e Nadim Nuwarah, 17 anni, sono stati colpiti al torace dai proiettili esplosi dai soldati israeliani davanti al carcere di Ofer, vicino Ramallah, mentre manifestavano a sostegno dei prigionieri in sciopero della fame contro la "detenzione amministrativa". Sono entrambi spirati in ospedale. Una notizia che ha generato rabbia e commozione tra le migliaia di palestinesi che manifestavano in quelle stesse ore in Cisgiordania, Gaza, in Galilea e a Gerusalemme Est. E che ha contribuito a rendere più teso il clima. A Hebron almeno 11 giovani sono rimasti feriti in scontri con i militari. Ad Al-Walaje, tra Gerusalemme e Betlemure, cinque manifestanti sono stati arrestati durante la giornata di mobilitazione organizzata dalla ong Badil e da varie associazioni palestinesi, interrotta dall'intervento delle forze armate israeliane. I militari hanno disperso i manifestanti con il lancio di lacrimogeni e hanno abbattuto la tenda in cui era stata allestita una mostra fotografica. I raduni e le manifestazioni di ieri, perla prima volta dal 2007, hanno visto i movimenti Fatah e Hamas sfilare insieme in molte località, grazie all'accordo di "riconciliazione" tra le due forze politiche "nemiche" fino a qualche settimana fa. Quest'anno perciò le bandiere di partito hanno fatto posto a quella palestinese e alle hifieh appoggiate sulle spalle dei manifestanti di ogni colore politico. «E' tempo di mettere fine alla più lunga occupazione nella storia ed è tempo per i leader di Israele di comprendere che i palestinesi non hanno altra casa che la Palestina», aveva detto il presidente dell'Anp Abu Mazen mercoledì sera in un discorso alla vigilia dell'anniversario della Nakba. negoziatore capo palestinese Saeb Erekat da parte sua, in un intervento scritto per il quotidiano Haaretz, ha avvertito che Israele «non può cancellare dalla storia la Nakba e l'esilio forzato di oltre 750.000 palestinesi nel 1948». Parole che hanno suscitato la pronta replica del premier israeliano Netanyahu. La risposta alla memoria palestinese della Nakba è l'approvazione di una legge fondamentale che definisca Israele come Stato ebraico, ha detto Netanyahu. «Israele continuerà a costruire e sviluppare il paese, compresa Gerusalemme», ha aggiunto il primo ministro in evidente riferimento all'espansione delle colonie israeliane dei Territori occupati.